Valle d’Aosta: uno scrigno da scoprire – Il mistero delle stele antropomorfe, capolavori dell’arte preistorica

L’Area megalitica di Saint-Martin-de-Corléans di Aosta

Nel giugno del 1969, durante i lavori di sbancamento per la costruzione di una serie di edifici abitativi nella zona ovest di Aosta, venne alla luce qualcosa di insolito: un’estesa area monumentale di circa 10.000 mq divenuta presto uno dei più interessanti siti archeologici in Europa ricco di significative testimonianze di quasi 5 millenni di storia, dalla fine del Neolitico sino ai giorni nostri, indagati e riconosciuti dagli archeologi della Soprintendenza regionale Rosanna Mollo e Franco Mezzena. Sono state individuate 5 fasi strutturali che, a partire dalla fine del V millennio a.C. e attraverso tutta l’Età del Rame (IV-III millennio a.C.), giunge all’Età del Bronzo (II millennio a.C.) Sì, avete letto bene… alcuni di questi reperti hanno più o meno la stessa età della Piramide di Cheope, databile al 2550 a.C.!

Il cantiere Nord

L’Area megalitica di Saint-Martin-de-Corléans (il nome si riferisce alla via del ritrovamento) è un luogo emozionante e suggestivo, alle volte misterioso e difficile da decifrare, ma incredibilmente affascinante: entrando al suo interno si compie un vero e proprio viaggio a ritroso nel tempo, alla scoperta di antichi rituali e pratiche ancestrali dall’altissimo valore culturale.

Con la scoperta fortuita del sito archeologico, l’Amministrazione regionale ha deciso di acquisire l’intera area interessata e di costruire al di sopra un museo/parco archeologico al fine di conservare in situ i preziosi reperti con significati rituali senza spostarli, consci del fatto di essere in presenza di un’area sacra destinata sin dall’inizio ad essere sede di ricorrenti manifestazioni legate al culto e alla sepoltura e non di un semplice allineamento di menhir o pietre.

Il percorso espositivo, inaugurato nel giugno 2016, inizia percorrendo delle passerelle che conducono il visitatore a circa 6 metri sotto il livello stradale, in una vera e propria discesa temporale sino alla Preistoria. Nel sottosuolo lo sguardo si perde in un ambiente grandioso dal forte impatto emozionale, scorgendo il complesso monumentale nel suo insieme, con un gioco di luci che mutano gradatamente ricreando le diverse ore del giorno. La visita è accompagnata dalle guide museali e da pannelli contenenti spiegazioni, approfondimenti e interpretazioni per facilitare la comprensione.

In ordine cronologico sarà possibile apprezzare: i solchi di un’aratura sacra propiziatoria (fine V millennio a.C.), una serie di pozzi allineati (fosse dalla forma cilindrica di varia profondità, fino a un massimo di 2 metri) sul cui fondo giacciono resti di offerte come frutti, cereali e grandi macine, l’allineamento di 24 pali lignei totemici degli inizi del II millennio a.C. e non più conservati (dalla funzione religiosa-astronomica o di segnacolo), 46 imponenti stele antropomorfe perlopiùin roccia calcarea, capolavori della statuaria preistorica dalle sembianze umane.

I pozzi allineati

La destinazione d’uso dell’area si fa nettamente funeraria con la costruzione delle prime tombe megalitiche, probabilmente occupate da membri di eminenti famiglie della comunità, costruite totalmente fuori terra. Protagonista esemplare è la cosiddetta “Tomba II”, un dolmen che si erge su una piattaforma triangolare di pietrame. Da santuario all’aperto destinato al culto dei viventi, l’area assume negli ultimi secoli del III millennio una funzione prettamente funeraria, divenendo una necropoli privilegiata, con tombe monumentali. Col passare del tempo si trovano le sepolture a inumazione con corredo, sino alla pratica dell’incinerazione. La frequentazione del sito prosegue anche dopo la fondazione della colonia di Augusta Prætoria Salassorum (la città di Aosta) nel 25 a.C. conservando la sua funzione funeraria; nel Medioevo nei pressi dell’area viene costruita una chiesa dedicata a San Martino di Tours, attestata per la prima volta nel 1176, forse proprio sui resti di una villa romana: un santo-soldato con la funzione di vigilare e presidiare i luoghi strategici e gli importanti assi viari. Scorrono i millenni, ma la storia e la destinazione sacra dell’area non cambiano.

L’area megalitica
La cappella di San Martino a ridosso dell’Area megalitica

Informazioni: da aprile a settembre l’Area megalitica è aperta tutti i giorni tranne il lunedì con orario continuato 9-19, il costo del biglietto intero è di 7€.

Ad Aosta vi consiglio di assaggiare la classica crêpe alla valdostana, una morbida crespella con all’interno un cuore di Fontina dop e fette di prosciutto cotto, una vera prelibatezza per il palato, abbinata ad un vino di produzione locale come il Blanc de Morgex et de La Salle, ottenuto dalle vigne più alte d’Europa, dal sapore minerale e molto delicato.

Crêpe alla valdostana

Le stele antropomorfe, un popolo di pietra!

Cosa sappiamo di queste misteriose testimonianze scolpite nella pietra? Con il termine statua-stele o stele antropomorfa vengono identificate le lastre litiche infisse verticalmente nel terreno che riproducono in forma sintetica la figura umana, le cui sembianze sono riconoscibili dalla sagomatura della pietra e dai motivi iconografici incisi sulle superfici. Ottenuta la forma, venivano rappresentanti i particolari anatomici come il viso, le braccia, le mani e i seni unitamente agli attributi di corredo, come le armi, i monili, i pendagli e le cinture utilizzando strumenti appuntiti in pietra. 

La loro funzione resta in buona parte enigmatica, dato che non si hanno dati archeologici sufficienti per conoscere certi fenomeni culturali nella loro interezza. Qualche indizio significativo si può trarre dal confronto con monumenti simili rinvenuti nelle altre aree geografiche: il fenomeno delle stele antropomorfe è infatti ampiamente diffuso sul territorio europeo, dall’area caucasica fino alle coste atlantiche, in un arco cronologico che va dalla fine del Neolitico e l’età del Rame fino alle soglie dell’età del Bronzo (IV/III millennio a.C. – 2200 a.C. circa). Nella Preistoria le stele erano collocate nei punti nodali dei grandi itinerari che attraversavano l’Europa, in prossimità di corsi d’acqua, in zone montane in corrispondenza di importanti vie di comunicazione inluoghi strategici dal punto di vista commerciale come Aosta, importante carrefour verso i valichi alpini del Grande e del Piccolo San Bernardo – ma raramente sono state rinvenute nel luogo e nella posizione originaria poiché furono spesso abbattute e riutilizzate per la costruzione di strutture funerarie o di uso civile successive, come le cinte murarie. Le statue stele dell’arco alpino si trovavano lungo le valli che collegano le regioni mediterranee con quelle nordiche di oltralpe e si suddividono in 2 aree principali: una orientale che comprende Sion, Aosta, la Lunigiana e la Provenza e una occidentale con la Valcamonica, la Valtellina e il Trentino-Alto Adige.

Le statue-stele vengono datate con il metodo dell’analogia: se, per esempio, è presente un pugnale, lo si confronta con altri simili ritrovati in altri contesti archeologici e correttamente datati. È una cronologia indicativa, che lascia però spazio all’ambiguità.

Ma cosa rappresentavano esattamente queste lastre di pietra dalle sembianze umane? Erano dei monumenti funerari ai defunti, oppure l’esaltazione individuale di un capo eminente nella comunità locale? Molto probabilmente erano legate al culto di personaggi divinizzati, antenati eroizzati con scopo propiziatorio nei confronti della comunità o entità “sovrumane” protettrici o dei di pietra posti come punti di riferimento o di “guardia ” alla sommità dei villaggi, in zone di transito o di interesse economico, oppure collocati in un’area sacra, al di fuori dei centri abitati o dalle necropoli in una sorta di santuario all’aperto o in radure boschive. La loro funzione è ancora oggetto di dibattito tra gli studiosi: il mistero é la loro essenza! Idoli di antiche divinità, monumenti funebri, ritratti totemici di capi tribù oppure simulacri destinati alla venerazione? Il professor Cesare Augusto Ambrosi, fondatore del Museo delle Statue Stele di Pontremoli in Toscana, affermava “Che siano divinità vere e proprie o soltanto personaggi emergenti, guerrieri e grandi madri che si volevano ricordare e commemorare, non ha molta importanza. Questa folla misteriosa e suggestiva, queste pietre, erano certamente monumenti nei quali si trasfondeva una carica di affetto e di amore che, in tutti i casi, doveva confluire in quell’acceso sentimento che oggi chiamiamo idolatria.”

Con il passare del tempo le stele, così ben sagomate, diventano comodo materiale di reimpiego da riutilizzare per la costruzione di edifici civili e religiosi, come il simpatico caso avvenuto nella Lunigiana di uno studente che, vedendo per la prima volta la foto di una stele antropomorfa ha affermato di averne una simile nel pollaio. Altre invece, per motivi non ben definiti, vengono distrutte intenzionalmente, danneggiate o rivolte con il volto verso il suolo.

Uno sguardo alle “sorelle” della Lunigiana

Il Castello del Piagnaro domina dall’alto la cittadina di Pontremoli, in provincia di Massa Carrara, ed ospita al suo interno il Museo delle Statue Stele “Augusto Cesare Ambrosi” ritrovate nella Lunigiana, completamente rinnovato nel 2015. È possibile ammirare 42 delle complessive 82 stele antropomorfe finora rinvenute in varie epoche e in diverse località avvalendosi anche di strumenti multimediali e pannelli informativi. In questo caso il visitatore viene accompagnato da una guida virtuale che racconta la storia dei ritrovamenti in diverse lingue: anche qui si compie un viaggio nel tempo scoprendo queste importanti testimonianze di civiltà preistoriche e protostoriche che hanno interessato l’area lunigianese a partire dal III millennio a.C. fino al VI secolo a.C. circa. Esse raffigurano in maniera stilizzata personaggi maschili e femminili accompagnati da alcuni elementi caratterizzanti del loro armamento o da monili, in rarissimi casi sono presenti iscrizioni. Tutte le statue stele lunigianesi sono realizzate in arenaria, una roccia sedimentaria diffusissima nella valle del fiume Magra, e sono state quasi tutte rinvenute al di fuori del loro contesto originario: per questo motivo non è facile ricostruire il significato e la funzione che questi monumenti potevano assumere nell’ambito della civiltà che li ha prodotti. Sulla base della loro forma e delle peculiarità sono state divise in tre gruppi distinti (A, B, C) per risalire alla cronologia, notando una graduale evoluzione nel realismo della rappresentazione della figura umana partendo da figure stilizzate dell’Eneolitico a statue dalla maggiore definizione anatomica (dalla caratteristica forma della testa a cappello di carabiniere) sino ad un evidente tentativo di ricerca tridimensionale in quelle più recenti (Età del Ferro). Su alcune stele del gruppo C appaiono anche delle iscrizioni in alfabeto etrusco (forse nomi di persona) databili al VI secolo a.C.

Castello del Piagnaro 

Molto emozionante la visita alla sala delle “Sette sorelle” dov’è stato ricreato l’allineamento di stele antropomorfe rinvenute a Groppoli.


Informazioni: https://www.statuestele.org/

Ma la šmania l’è granda, tantë granda che të:
«Stia sicuro, Signore, testaroli ce n’è!».
«Me ne porti un gran piatto, io li voglio provare,
me n’han detto faville, roba da immortalare!».

Luciano Bertocchi

A Pontremoli vi consiglio di assaggiare uno dei piatti tipici della zona della Lunigiana, i testaroli (têstarê) fatti semplicemente di acqua, sale e farina mescolati in una pastella fluida cotta a legna per alcuni minuti fino a formare una specie di crespella spessa all’interno di formelle in terracotta chiamati testi, da cui il nome. Essa viene poi tagliata a losanghe (rombi) a loro volta bollite e condite con un pesto di parmigiano reggiano invecchiato (o pecorino) trito di basilico fresco, pinoli e olio extravergine di oliva a crudo. Potete abbinare al piatto il Vermentino Colli di Luni, un vino bianco doc la cui produzione è consentita nelle province della Spezia e Massa-Carrara, fruttato e armonioso.

I testaroli

E non dimentichiamoci delle vicine stele eporediesi…

Nell’estate 1997 in una cava di sabbia nell’Anfiteatro Morenico di Ivrea (Piemonte), a circa 1 chilometro da Tina, nel comune di Vestignè, sono state estratte, a circa 5 metri sotto il piano di campagna vicino al fiume Dora Baltea, 2 lastre di gneiss grigio chiaro. Gli operai, come di norma, hanno destinato alla vendita i reperti assieme al resto del materiale, ma data la loro singolarità, le lastre vennero utilizzate per la pavimentazione di un’area adibita a giardino in una casa di Pavone Canavese. La forma strana colpì il proprietario che decise di farle analizzare, scoprendo un’analogia con le statue stele rinvenute in Lunigiana e ad Aosta: esse infatti risalgono all’età del Rame (3500-2200 a.C.) e appartenevano forse ad una necropoli non ancora ritrovata. Le stele antropomorfe di Tina rappresentano un nuovo tassello nello studio della Preistoria italiana e sono esposte al Museo Archeologico del Canavese a Cuorgné.

Stele di Tina esposte al museo archeologico di Cuorgné

Informazioni: http://cesmaonline.org/museo-archeologico-del-canavese/


Ciao a tutti, mi chiamo Caterina e sono giornalista, accompagnatrice turistica e guida museale. Nel tempo libero mi dedico alle altre mie passioni: l’arte, i viaggi e la promozione della mia amata regione, la Valle d’Aosta, un piccolo scrigno tutto da scoprire! Seguite i miei consigli per conoscere le curiosità e le meraviglie custodite tra le montagne più alte d’Europa. Siete pronti a partire?
Non esitate a contattarmi: libellulatour@gmail.com

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