Oggi non vi parlo di Posti, ma nemmeno di Pasti: in fondo l’altra volta abbiamo parlato abbondantemente di cibo e non so se avete già digerito tutto.
Vi parlerò di Passione.
La passione che in Emilia e in Romagna abbiamo per i motori.
Da dove nasce non ne ho la più pallida idea, ma fin dalla fine del XIX secolo nella mia regione si registrano casi di aziende che producono macchine. Non pensate solamente alle automobili, ma anche a trattori e aerei.
Perché qui e perché con tale concentrazione mi è difficile dirlo. L’unica spiegazione che posso darmi è che tutti sia legato allo sviluppo. La pianura Padana è fertile e mediamente ricca, ma non così fertile come altre pianure del sud Italia. Il clima poi è buono per molti tipi di coltivazioni, ma gli inverni sono (erano, accidenti al cambio climatico!) rigidi, primavera e autunno piovose. Insomma è una terra che dà frutti, ma richiede anche un grande sforzo per essere lavorata. La meccanizzazione era quindi una necessità per il lavoro agricolo e non appena possibile venivano applicate in queste zone le più moderne tecnologie per aumentare la resa. Da lì a sviluppare una classe di imprenditori ed operai capaci di creare le proprie macchine e inventare nuove tecnologie il passo è breve. La passione per le competizioni e per i prodotti d’eccellenza ha fatto il resto.
Vi convince come spiegazione? A me sì. Se infatti allarghiamo lo sguardo oltre l’Emilia vediamo che quasi tutte le industrie meccaniche più vecchie sono nella zona padana. Anche in altre nazioni esistono concentrazioni di aziende meccaniche in aree simili, quindi forse la motivazione regge.
Ma veniamo in soldoni su cosa c’è in Emilia, perché lo so che tutti state pensando “dai, parlaci della Ferrari”.
Parliamo invece di trattori, perché molto nasce da lì. E il pensiero subito corre ad un nome: la Landini di Reggio Emilia. Pur essendo una fabbrica molto più antica, che produceva da fine ‘800 locomobili (macchinari di grandi dimensioni usate soprattutto per la trebbiatura dei cereali), avrà il suo apice negli anni’30 con i suoi famosi trattori “a testa calda”. Un sistema di riscaldamento del motore e del carburante già usato in motori di grandi dimensioni che permetteva di utilizzare delle “benzine” di diverso tipo, spesso poco raffinate. Nelle fiere agricole questo genere di trattori fa ancora bella mostra di sé.
Un altro produttore di trattori che ha avuto successo fu invece Ferruccio Lamborghini. Nel secondo dopoguerra ebbe la geniale idea di utilizzare i motori dei camion abbandonati in Italia dopo il conflitto per trasformarli in trattori. Fu l’uovo di Colombo, perché i motori erano piccoli ed efficienti, ma soprattutto i trattori erano molto economici. Il trattore ingombrante e costoso degli anni ’30 poteva essere acquistato solo da grandi imprenditori agrari o cooperative di braccianti (ma nel secondo caso poi veniva bruciato dagli squadristi), mentre i piccoli trattori Lamborghini potevano essere acquistati anche dal piccolo proprietario o addirittura da un mezzadro. Fu un successo e di sicuro contribuì al miglioramento agricolo post bellico, oltre ovviamente a contribuire al successo dell’azienda.
Ferruccio aveva però un pallino fin da giovane: quello delle corse. Da ragazzo aveva sicuramente visto sfrecciare le Maserati sulle strade e circuiti del Bolognese, così come le Alfa Romeo della Scuderia Ferrari. Nel ’48 decise quindi di modificare una FIAT Barchetta per partecipare alla Mille Miglia (per la cronaca la sua corsa terminò ad una curva presa troppo in velocità). Era un chiaro segnale della sua passione. Con i primi soldi veri fatti dall’azienda di Cento arrivarono quindi anche le prime auto sportive, in particolare delle Ferrari che lui ammirava tantissimo.
Poi ci fu “l’incidente diplomatico” del litigio con Enzo Ferrari a causa di una frizione, dove Ferruccio pensò due cose: la prima era che poteva rispolverare la sua passione e tornare alle auto sportive, la seconda che i pezzi di ricambio delle auto di lusso non erano così diversi dai ricambi di altri motori ma venivano venduti a prezzi dieci volte più alti quindi c’erano margini per guadagnarci molto più che con i trattori. Sulla seconda si sbagliava di grosso.
Nel ’63 decise di fondare una nuova fabbrica per la progettazione e costruzione di vetture sportive di alta gamma. Nel ’64 usciva la prima vettura, la 350 GT. Nel ’72 Ferruccio fu portato a vendere la fabbrica di auto a causa dell’enorme buco economico che si era creato nella sua azienda: costruire supercar non era poi così redditizio.
Nel frattempo però si era circondato di ingegneri che poi avrebbero fatto la storia delle auto sportive italiane e aveva creato alcune delle vetture iconiche che tutti conosciamo. In questo la filosofia era diametralmente opposta a quella di Enzo Ferrari: per Ferrari la produzione di vetture stradali era funzionale solo a generare reddito per finanziare la scuderia. Questo lo portava a creare auto che erano sì sportive e di alta gamma, ma a volte un po’ “conservative”. Lamborghini invece si disinteressò del settore corse ma volle che le sue macchine stradali fossero sempre con le migliori e più moderne tecnologie. Estreme è la parola che a tutti salta subito sulle labbra.
Tutto ciò ebbe una icona: la Miura. Nel ’65 tutti rimasero stupefatti, perché si utilizzava su una vettura da strada il motore posteriore, che già da alcuni anni mieteva successi in Formula 1. Se un’auto ha il motore anteriore, questo ostruisce la vista del pilota, quindi anche l’abitacolo deve essere più alto. Col motore dietro invece la vista è sgombra e la linea può essere molto più bassa e filante. L’anno successivo la carrozzeria Bertone creò una livrea che avrebbe consacrato il successo: da quando entrò in produzione le supercar che avevano fatto sognare gli automobilisti di tutto il mondo apparivano di fianco alla Miura quasi dei banalissimi coupè.
Fra i progettisti c’era un giovane ingegnere: Gian Paolo Dallara.
La crisi petrolifera portò alla vendita dell’azienda. Mentre la famiglia proseguiva sulla redditizia strada di trattori e caldaie, la fabbrica automobilistica passò attraverso diverse vicissitudini, ma fortunatamente senza mai snaturare l’idea di produrre delle auto sempre potenti e avveniristiche. Fra queste non si può tralasciare la Countach, che per il suo design estremo può figurare tranquillamente in un film di fantascienza: come navicella spaziale. Sul finire degli anni ’80 veniva poi progettata la Diablo (presentata nel ’90), altra vettura rimasta iconica nell’immaginario degli amanti delle auto sportive di lusso.
Fra i progettisti c’era un giovane ingegnere: Horacio Pagani.
Nel ’98 la fabbrica automobilistica passò al gruppo Audi, che proseguì la filosofia di auto estreme, riportando la Lamborghini al top delle vetture sportive di lusso.
E dei due ingegneri di cui ho parlato? Magari non a tutti hanno fatto battere il cuore, ma molti probabilmente li conoscono bene. Dallara dopo i successi in Lamborghini decise di avviare la sua fabbrica di auto da corsa, vicino a Parma. Una piccola azienda, dedita solo al mondo delle competizioni. Qualcuno forse ricorderà negli anni ’90 la Scuderia Italia di Formula 1, che utilizzava vetture Dallara ed ottenne anche qualche buon risultato. La consacrazione nel mondo delle corse però fu negli USA. Alla fine degli anni ’90 cominciò a fornire i telai per le vetture della IndyCar: nel ’98 vinse per la prima volta il campionato e con Eddie Cheever la prima 500 miglia di Indianapolis. Da quel momento divenne il costruttore (ora monofornitore) delle vetture di quella serie.

Pagani, originario dell’Argentina, invece si dedicò alle supercar stradali e negli anni in cui la Dallara mieteva successi negli USA, apriva la sua piccola azienda vicino a Modena. Una piccolissima produzione di auto fatte completamente a mano e prodotte in solo una trentina di esemplari all’anno (anche se stanno allargando la produzione: presto dovrebbero riuscire a fornire anche 50 macchine in un anno). Un solo modello in produzione: fino a pochi anni fa era la Zonda, mentre dal 2018 è la Huayra. Entrare nella loro fabbrica è incredibile, perché non ha nulla della normale linea di produzione motoristica.
Siamo partito dai trattori e siamo arrivati alle più esclusive supercar, trascurando i due miti assoluti della nostra regione. Uno lo abbiamo già citato: Enzo Ferrari. L’altro è ovviamente la famiglia Maserati.
Bisogna dire famiglia, perché ad avviare la scuderia Maserati furono alcuni fratelli (successivamente se ne aggiungeranno altri). La loro era una passione per le corse che esplose ad inizio ‘900. All’inizio modificavano le Isotta Fraschini per partecipare alle gare, poi cominciarono a produrre in proprio le loro vetture. La famiglia non era emiliana come origine, ma a Bologna fondò nel ’14 la sua società. Nel ’26 crearono la loro prima vettura e il loro marchio: il tridente (icona della città bolognese) dai colori rossi e blu.
Successi in diverse competizioni, sia prima che dopo la II guerra Mondiale, decretarono il successo e la fama mondiale di questa piccola scuderia. Nel ’37, causa problemi economici, la fabbrica si spostò a Modena, a poche centinaia di metri dalla sede della Scuderia Ferrari. Nel dopoguerra tornò a trionfi in diverse categorie, fra cui la Formula 1 in cui vinse diversi titoli costruttori e piloti. Nel ’57, ancora per ragioni economiche, abbandonò il mondo delle corse e si dedicò alla sola costruzione di veicoli stradali.
Le ragioni della rivalità con la Ferrari erano molteplici. In primis Enzo era modenese purosangue e la Maserati era di Bologna: già questo sarebbe stato sufficiente (se vi ricordate ne avevo già parlato in uno dei miei primi articoli). Poi però c’era anche la rivalità sportiva: Maserati era una scuderia già affermata che costituiva per Ferrari un obiettivo in termini di fama e vittorie. Poi quando la Maserati venne a insediarsi proprio sotto il suo naso, la tensione divenne ancora maggiore. Si racconta che in diverse occasioni Enzo al termine di un gran premio (lui non assisteva praticamente mai alle gare dal vivo, ma si faceva raccontare com’era andata dai suoi assistenti) chiese semplicemente come erano andati “quelli in fondo alla strada”.
Un altro illuminante aneddoto è poi legato alla visita ufficiale del presidente Pertini negli anni ’80 allo stabilimento di Maranello. Il protocollo prevede che in caso di una visita ufficiale del Presidente l’anfitrione raggiunga la vettura, apra la portiera e accompagni il Presidente all’interno. Il problema era che la vettura ufficiale era una Maserati Quattroporte III! Ferrari semplicemente rimase fermo davanti alla porta, Pertini scese da solo e si recò da Ferrari. Ovviamente non ci fu nessun incidente diplomatico, Pertini era un uomo troppo intelligente per formalizzarsi per quello “sgarbo”, ma la cosa non passò inosservata agli esperti di protocollo.
Parlo di passioni e mi appassiono. Quasi centocinquant’anni di motori hanno creato una montagna di storia e aneddoti sui motori e sui personaggi che non è più possibile scalarla senza scriverne un’enciclopedia.
Quindi qua mi fermo, giusto citandovi alcuni dei luoghi dove poter approfondire la conoscenza dei personaggi e stabilimenti di cui abbiamo parlato:
- Museo Ferrari a Maranello
- Museo Enzo Ferrari a Modena
- Fabbrica e collezione Lamborghini a Sant’Agata Bolognese
- Museo Ferruccio Lamborghini a Funo di Argelato
- Fabbrica e showroom Maserati a Modena
- Collezione Umberto Panini (Maserati storiche) a Modena
- Dallara Academy a Varano de’ Melegari
- Collezione e fabbrica Pagani a San Cesario
RICCARDO SOLI
Sono Riccardo Soli, guida turistica abilitata dalla regione Emilia-Romagna. Nato nella provincia modenese 46 anni fa e qua sempre vissuto, da alcuni anni ho trasformato una passione in una professione diventando guida e accompagnatore turistico. Lavoro tanto con i turisti stranieri che vogliono conoscere la mia regione, occupandomi in prevalenza di enogastronomia e motori: due temi che dalle nostre parti sono sicuramente molto ricchi! Amo molto anche la storia ed è bellissimo ragionare sugli intrecci che si sono susseguiti in una regione che essendo in mezzo ha visto passare praticamente tutti gli eventi e personaggi storici italiani.
Vi racconterò della mia terra, magari di qualche specialità, qualche curiosità o qualche monumento.
E-mail: riccardo@soli.info
Sito internet: www.soli.info