DAL TRITTICO ALLA PALA RINASCIMENTALE
Nella magnifica Basilica di San Zeno a Verona, e precisamente sull’altare maggiore, si erge una maestosa Sacra Conversazione di Andrea Mantegna.
Grande padre della pittura rinascimentale, il Mantegna è stato un “caparbio” interprete del proprio sentire, un ricercatore raffinato e attento, capace di cogliere dagli altri artisti ogni tecnica, dettaglio, sfumatura di colore che potesse contribuire al miglioramento del suo stesso stile. Influenzato in particolare dai veneziani Antonio Vivarini e Giovanni Bellini, del quale era cognato avendone sposato la sorella, da Albrecht Dürer e da Donatello, dal quale ha tratto l’innovativo utilizzo della prospettiva codificata già compiutamente maneggiato dal maestro toscano nei bronzi dell’altare del Santo, il Mantegna è stato spesse volte descritto come un pittore schivo e geloso delle proprie conquiste artistiche: circondato da pochi collaboratori, scrupoloso e pignolo esecutore delle proprie opere, timoroso di vedersi sottrarre le innovazioni a cui era arrivato, Andrea Mantegna ha rivoluzionato, che piaccia o meno, e nonostante le annotazioni sul carattere forte e verace, tipico dei veneti, e sulla personalità talvolta scorbutica che gli è stata attribuita, la pittura del 1400 e ha creato capolavori che ancora oggi sono considerati pietre miliari nel cammino dello svecchiamento dall’arte medievale a quella rinascimentale. Allievo a undici anni di Francesco Squarcione, dal quale si affrancherà al raggiungimento della maggiore età, e non senza scontro (avremo modo di parlare in altra occasione dell’intervento nella Cappella Ovetari a Padova), Andrea aveva già dato capacità del proprio innato talento nelle prime opere, subito percepite da Squarcione come “diverse” e, appunto, moderne. Da quel momento in poi il suo genio creativo non si arrestò più, riuscendo a mantenere sempre un linguaggio artistico elevato e mai ripetitivo, fino ai capolavori indimenticabili e fondamentali del Cristo Morto e della Camera degli Sposi a Mantova, solo per citare i più noti.
A Verona abbiamo la fortuna di conservare, nella straordinaria Chiesa romanica di San Zeno, poco lontana, a piedi, dal centro considerato turistico degli ormai celeberrimi Romeo e Giulietta e dell’Arena romana, un’opera intensa e magnifica, considerata in pittura l’ultimo trittico e la prima pala d’altare della Storia dell’Arte.

Della pala, come verrà poi eseguita da Piero della Francesca, Giovanni Bellini e altri artisti, non ha sicuramente la forma ma ne ha il respiro: la cornice non divide più i personaggi raffigurati, ma appartiene a un tutto armonico che si fonde con l’architettura dipinta nella quinta scenica alle spalle della Madonna e dei Santi, quattro per parte. Non mancano, tra le solenni figure ritratte dal Mantegna, i riferimenti al committente Gregorio Correr (evocato dall’omonimo San Gregorio in fila a destra) e al vescovo del IV secolo tanto amato a Verona e qui sepolto, San Zeno appunto. È la soluzione nuova della cornice che si fonde in continuità con il disegno interno che ha fatto sorgere l’enigma sulla definizione dell’opera: trittico o pala? Gli esperti si dividono sulla questione, tuttavia resta indiscusso il valore di questa tempera su tavola che il grande Mantegna portò a termine nel 1459, appena prima della sua partenza per Mantova, dopo un lavoro scrupoloso che pare abbia interessato anche la parte absidale della chiesa, con l’apertura di una finestra a lato dell’altare maggiore per dare, a detta del maestro, la luce giusta al capolavoro.

L’opera verrà trasferita da Napoleone in Francia e solo nel 1815 si riuscirà a ottenere la restituzione della parte superiore. I tre episodi della predella, l’Orazione nell’orto, la Crocifissione e la Resurrezione, poi sostituiti da copie, sono rimasti in Francia, ed è per questo che la tavolozza del Mantegna è riuscita così bene a influenzare lo stile di alcuni impressionisti e in particolare dell’attento Edgar Degas. Squillante e deciso, come ci piace definirlo, il colore del Mantegna ci attrae con tutta la sua magica e solenne stesura, che si ammorbidisce nel volto triste, malinconico e così umanamente materno, presagio di quello che accadrà al figlio, della Madonna, di cui qui vi mostriamo il dettaglio.

Altri sono i capolavori presenti nella Basilica di San Zeno, Questo è solo l’inizio del nostro lungo viaggio alla scoperta dei tesori veneti.
La piazza davanti alla Basilica di San Zeno e le zone limitrofe sono un’oasi perfetta per una sosta. In particolare segnaliamo l’Osteria Abazia, che con i tavolini all’esterno consente anche la vista della bella facciata della chiesa.
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