La Fontana del Mosè, il cui nome deriva dalla grande scultura al centro, è solo una delle numerosissime fontane di Roma, una città che giustamente può essere definita anche attraverso l’acqua, un elemento sempre presente ed imprescindibile nella storia dell’Urbe. Non a caso la città è puntellata di numerose fontane, grandi e piccole, monumentali o particolari, tutte però con una personale storia alle spalle. In questo caso, poi, siamo di fronte ad una cosiddetta fontana-mostra, un progetto architettonico il cui scopo non era solo quello di portare acqua ad una determinata zona della città, ma anche quello di indicare, più o meno con precisione, laddove termina un acquedotto. Un modo come un altro, ovviamente, per omaggiare e celebrare lo sponsor che volle la fontana. Inoltre, per non farsi mancare nulla, aggiungo che la Fontana del Mosé è portatrice di una storia molto triste che ha a che fare con lo scultore della statue centrale, considerata sin dal momento della sua realizzazione particolarmente ed irrimediabilmente brutta…

La storia della Fontana del Mosè inizia alla fine del ‘500 quando il pontefice Sisto V commissionò la realizzazione di una nuova fontana-mostra in città. Il motivo? Sia per irrorare d’acqua un’area di Roma sino a quel momento in parte sprovvista, sia per celebrare se stesso e l’ultimo dei suoi grandi progetti urbanistici volti a rendere Roma una città moderna ed all’avanguardia per l’epoca: il restauro, con relativa riapertura, di un antico acquedotto romano. Un’impresa sicuramente, se consideriamo che l’acquedotto in questione fu voluto dall’imperatore Alessandro Severo nel 226 d.C., ultimo degli undici acquedotti che alimentavano la Roma antica con acqua fresca, pura e pulita. Quindi c’è da immaginare come Sisto V fosse ben contento di far sapere ai cittadini come lui, a distanza di secoli, fosse riuscito a riportare quella stessa acqua a Roma, proprio come un imperatore romano.
Probabilmente, in parte, fu proprio questa smania ad originare la Fontana del Mosè, una struttura che certamente non brilla per armonia e proporzione. Il grande problema della fontana, difatti, sta proprio nel suo non essere perfetto ed in sintonia con i vari elementi che la compongono.
Abbiamo i tre grandi nicchioni in cui campeggiano statue e rilievi, i due piccoli obelischi ai lati, sulla sommità, che appaiono un poco fuori dal contesto generale. Si noti anche la parte sommitale con l’iscrizione dedicatoria, apparentemente non in equilibrio, per dimensioni e non solo, con la parte sottostante. Insomma alla Fontana del Mosè manca quella bellezza, derivata da una ricerca armoniosa delle distanze, delle grandezze e dei moduli, che invece fa parte di tantissime altre fontane romane, soprattutto quelle monumentali.
L’intero progetto fu affidato a Giovanni Fontana, fratello di quel Domenico Fontana che era l’architetto di fiducia del pontefice, il quale giustamente pensò, nonostante tutto, di andare sul sicuro. Peccato che così non fu, anche per atti vandalici che nel corso degli anni infangarono la memoria della fontana; basti pensare alla sorte dei quattro leoni in granito, che vediamo sul prospetto frontale della fontana tra le tre grandi vasche, le quali furono oggetto di ripetuti atti vandalici tanto che oggi le sculture originarie sono conservate ai Musei Vaticani, mentre qui abbiamo solo delle copie.
Purtroppo, però, ciò che maggiormente colpisce in negativo è proprio la statua centrale, quel Mosè che dà il nome alla fontana e che dovrebbe essere l’assoluto protagonista dell’opera. Purtroppo per lui, e per il suo scultore, le cose non andarono per nulla bene…
La statua fu affidata alle mani ed agli strumenti del Sormani, probabilmente coadiuvato da Prospero Antichi. Nelle iniziali intenzioni degli artisti la statua del Mosè doveva essere una copia, sicuramente non paragonabile ma comunque somigliante, di un’altra scultura raffigurante il profeta che sicuramente ha tutt’altra fama: quella scolpita da Michelangelo e conservata nella romana Basilica di San Pietro in Vincoli. Così come il Mosè del geniale maestro rinascimentale, realizzato qualche anno prima di questo della fontana, è sinonimo di bellezza e perfezione, così questo del Sormani è accomunato a concetti quali imprecisione e sproporzione. Sembra essere completamente sgraziata e mal proporzionata, con il grande braccio proteso in avanti ed il corpo non ben modellato. Il problema non è solo estetico e non sta solo nei moduli realizzativi della scultura, in quanto ci sono anche delle inesattezze dal punto di vista storico e religioso. Qui vediamo Mosè nell’atto di indicare la roccia da cui lui fece scaturire acqua fresca, elemento imprescindibile per la sopravvivenza degli Ebrei nel deserto. Peccato che qui Mosè abbia anche le Tavole della Legge, che però gli furono consegnate da Dio dopo l’episodio biblico dell’acqua e della roccia.

Si comprende bene come, dunque, il progetto della fontana nella sua totalità fosse sbagliato, tanto che se ne discute ancora oggi, così come avvenne all’epoca in quanto numerose furono le critiche mosse agli architetti ed agli scultori della Fontana del Mosè. E proprio a causa di tali critiche, sfociate spesso in insulti veri e proprio, il Sormani cadde in un profondo stato depressivo il quale, probabilmente, lo portò al gesto estremo: il suicidio.
Purtroppo non sapremo mai il motivo per cui la Fontana del Mosè fosse stata progettata con così tanta approssimazione, qualcosa che poteva capitare certo ma che difficilmente accadeva, soprattutto se a commissionare un’opera fosse un pontefice.
Ecco, forse è proprio Sisto V ad esser stato, suo malgrado, l’artefice di tale disastro. Pare infatti che il Papa mise fretta, molta fretta agli artisti chiamati per realizzare l’opera, una fretta che mal si coniugava però con l’esigenza di creare un elemento architettonico, importante come una fontana-mostra, perfetto e bello.
Perché mai Sisto V ebbe così tanta smania di veder completata l’opera? Da una parte si pensa che, semplicemente, volle subito avere sotto gli occhi il risultato tangibile di un’altra sua decisione politica ed urbanistica che sicuramente gli valse onori e gloria. Dall’altro, secondo i più maligni, si pensa che Sisto V fosse a conoscenza del fatto che non aveva poi così tanto tempo per ammirare i risultati delle politiche e dei suoi atti, in quanto si sentiva pedissequamente vicino alla morte. Chissà, fatto sta che effettivamente Sisto V governò Roma per soli cinque anni, dal 1585 al 1590…
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