Valle d’Aosta: uno scrigno da scoprire – Il Castello di Quart

PREZIOSO FORZIERE DEL PASSATO

Il toponimo “Quart” (che si pronuncia “Car”) deriva dal latino “quartus” in quanto il centro abitato si trova “Ad quartum ab Augusta lapidem”, ovvero a quattro miglia romane da Augusta Prætoria, l’odierna città di Aosta, lungo l’antica via romana consolare delle Gallie. 

Il Castello di Quart
La vista panoramica e lo stemma sabaudo

Sul soleggiato versante sinistro che domina la plaine di Aosta, si erge sull’alta balza rocciosa un maestoso complesso di più corpi di fabbrica all’interno di una cinta muraria: è il Castello di Quart, risultato di numerose fasi costruttive che si sono protratte dall’XI al XVIII secolo rendendolo un vero e proprio castello-borgo. Si presenta ai miei occhi come un grande forziere che conserva al suo interno secoli di storia, vicissitudini e preziose testimonianze artistiche che non vedo l’ora di iniziare a svelarvi.

La vista dal Castello sulla plaine di Aosta

Il maniero è stato eretto verso la fine dell’XI secolo sotto forma di castello primitivo, con una semplice torre circondata dalle mura (le cui fondamenta sono in parte visibili nel vano ipogeo), dalla nobile famiglia valdostana dei De Porta Sancti Ursi – originariamente residente presso la Porta Prætoria di Aosta – divenuti poi De Quarto o, più semplicemente, i Signori di Quart. Essi controllavano i possedimenti su entrambe le sponde del fiume Dora, una vasta area compresa tra Saint-Marcel, Brissogne e Pollein, assieme alle terre che da Nus arrivano in città passando, ovviamente, attraverso Quart e Saint-Christophe, sino alla valle del Gran San Bernardo, con Roisan, Doues, Valpelline, Bionaz e, al di là del confine, verso l’odierna Martigny (Svizzera). Con il rafforzarsi del prestigio, tra il XII e il XIII secolo vengono costruite la seconda cinta muraria e la primitiva cappella, assieme alla cisterna e al corpo abitativo addossato alle mura.

Il vano ipogeo in cui si possono vedere le fondamenta della prima cinta muraria dell XI sec

Un viaggio nel tempo, al cospetto di grandi eroi

Il cuore pulsante del castello è il donjon, il torrione trapezoidale ricostruito nel 1261 circa a seguito della distruzione, (forse a causa di un evento bellico) che custodisce al suo interno un meraviglioso ciclo pittorico, risalente agli anni 60-70 del Duecento, a decorazione delle pareti della sala di rappresentanza commissionata molto probabilmente da Giacomo II di Quart.

Gli affreschi a tema profano, seppur solo parzialmente conservati, ci riportano indietro nel tempo, tra le pagine del Roman d’Alexandre, una raccolta di racconti leggendari molto in voga nel Medioevo che ripercorrono le tracce di uno dei più grandi conquistatori del passato: Alessandro Magno.

Essi si sviluppano orizzontalmente su tre fasce divise tra loro da cornici a bande rosse e nere, dove la parte più bassa ospitava un finto velario che copriva in modo omogeneo tutte le pareti della sala. Partendo da nord, ci viene narrato tramite immagini un episodio della vita del prode condottiero macedone: “Alexander”, con indosso l’usbergo ma senza corona, attraversa la foresta sul dorso del suo cavallo Bucefalo alla ricerca delle piante oracolari per conoscere la propria sorte. Gli Alberi del Sole e della Luna gli predicono un futuro glorioso, ricco di conquiste, ma una morte precoce, lontano dalla patria e senza mai più rivedere la madre Olimpia. Nella scena è presente anche un arbusto misterioso (e mostruoso) dal titulus “Arbor sica”, ossia un albero secco a nove rami con altrettante teste umane alle estremità: un caso più unico che raro, forse per racchiudere in un solo essere i vari alberi “parlanti” incontrati, in una sorta di sovrapposizione dei diversi momenti per semplificare la narrazione.

L’arbor Sica

Proseguendo lungo la parete est, si nota l’inizio del Calendario con la personificazione dei mesi in base alle attività agricole svolte. Gennaio (“Ianuarius”) è rappresentato da Giano bifronte che guarda da una parte l’anno passato e dall’altra quello nuovo, intento a mangiare delle salsicce dinnanzi ad una tavola imbandita. A Febbraio si nota un contadino medievale nell’atto di sfilarsi un calzare per asciugarlo e scaldarsi accanto al fuoco. Si passa poi a Settembre in quanto tutti gli altri riquadri sono andati perduti: si intravedono due grappoli d’uva appesi ai tralci con dei tini come ad indicare il periodo della vendemmia. Ad Ottobre (“Octob”) il nostro personaggio con la mantella rossa scuote i rami della quercia per far cadere le ghiande per i maiali, mentre a Novembre (“Novemb”) si dedica alla macellazione e a Dicembre (“December”) porta sulle spalle una fascina di legna per scaldarsi durante il freddo inverno.

I mesi di settembre, ottobre, novembre e dicembre e Sansone

È possibile ammirare un altro Ciclo dei 12 mesi all’interno della Cattedrale di Aosta, ma questa volta sotto forma di mosaico pavimentale, databile alla fine del XII secolo: in questo caso però le attività contadine rappresentate nei mesi di novembre e dicembre sono invertite rispetto agli affreschi di Quart.

Il ciclo dei mesi all'interno della Cattedrale di Aosta
Il ciclo dei mesi all’interno della Cattedrale di Aosta
Il ciclo dei mesi a Otranto

La parete sud ospita un riquadro raffigurante un altro eroe del passato: Sansone che spalanca a mani nude le fauci del leone, simbolo del Bene che sconfigge il Male. Accanto al titulus “Sanson” appare il testo poco leggibile “Dali Ux”, quindi molto probabilmente accanto a Sansone era rappresentata anche la moglie (uxor) Dalila.

Sansone rappresentato nel mosaico di Otranto

Sempre ad Aosta, all’interno della Collegiata dei Santi Pietro e Orso, è possibile ammirare un mosaico pavimentale raffigurante Sansone che smascella il leone, risalente al XII secolo, conosciuto anche come “Quadrato magico” o “Sator”.

Mosaico raffigurante Sansone che smascella il leone all’interno della collegiata di Aosta

Nell’ultimo registro, quello più alto, si nota a nord la presenza di un elefante, sempre legato ai viaggi di conquista di Alessandro Magno, accanto ad un imponente edificio e a qualche frammento della battaglia contro i Saraceni ad est, identificabili dal titulus “Sarraceni”. A sud si possono riconoscere gli zoccoli dei cavalli e le gambe di alcuni personaggi, forse all’interno di un torneo, e infine ad ovest, sopra la porta d’ingresso, appare un albero sinuoso su sfondo azzurro con un simpatico gufetto appollaiato.

Pensate alla sensazione di meraviglia che si doveva provare entrando in questa sala, completamente circondati dall’arte e dalla bellezza degli affreschi, di cui oggi rimane ahimè solo il 16% del totale. Evidentemente esisteva un fil rouge che collegava tutte le rappresentazioni, un progetto decorativo unico il cui significato d’insieme tutt’ora sfugge: la sola compresenza dei tre elementi iconografici (le gesta di Alessandro Magno, Sansone che smascella il leone e il Ciclo dei mesi) si trova all’interno della Cattedrale di Otranto sotto forma di mosaico pavimentale, databile al 1163-65.

Il mistero si infittisce… e acquisisce sempre più fascino!

Ma proseguiamo con la storia del Castello…

Nel 1363 Enrico di Quart sposa in seconde nozze Pentesilea di Saluzzo e per l’occasione viene utilizzata la nuova sala di rappresentanza, la Magna Aula, decorata da affreschi molto raffinati riconducibili stilisticamente al celebre Maestro di Montiglio, proveniente dal Monferrato (Piemonte), e datati alla prima metà del Trecento.

Nel 1377, alla morte di Enrico (l’ultimo discendente della nobile famiglia senza eredi maschi) il maniero diventa proprietà dei Savoia che apportano ulteriori modifiche e trasformazioni alla struttura rendendo le sue funzioni maggiormente militari e difensive. È in questo periodo che vengono coperti con la calce (scialbatura) gli splendidi affreschi duecenteschi del mastio, forse perché troppo “vecchi” e “fuori moda” per i gusti sabaudi.

Io con gli affreschi duecenteschi

Seguono diversi passaggi di proprietà: a fine Cinquecento subentra la famiglia Balbis, responsabile della ricostruzione della cappella, intitolata a San Nicola, distinta da una candida decorazione a stucco (unicum in Valle d’Aosta) ad opera di Giovanni Gabuto da Lugano che, nel 1606, firma e data il suo intervento in un cartiglio nel timpano della porta d’ingresso. Durante i lavori di restauro della cappella sono emersi sotto al pavimento i frammenti degli affreschi precedenti risalenti al XIII secolo (e quindi riconducibili ai Signori di Quart) e al XVI secolo (tra il 1520 e il 1530 su commissione sabauda) a tema devozionale e religioso. Piccoli pezzi di un puzzle prezioso che si possono ancora ammirare all’interno di apposite teche nella cappella.

Nel 1612 subentra la famiglia Perrone di San Martino che nel corso degli anni modifica il mastio (esternamente e internamente, aggiungendo un piano con scala) e la Magna Aula, suddividendola in più ambienti ridotti. Vengono inoltre edificate le cosiddette fabriques a monte del Castello, utilizzate per la lavorazione del rame estratto nelle miniere della Valpelline. Anche la meridiana sulla terrazza risale a questo periodo.

Nel 1800 il Comune di Quart acquisisce la struttura dall’influente Carlo Baldassare Perrone, segretario di Stato per gli Affari Esteri del Regno di Sardegna, e la cede in affitto a privati con uso prevalentemente agricolo per circa un secolo e mezzo; la vendita all’Amministrazione regionale risale al 1951.

Il passato che ritorna, grazie alla tecnologia

Attualmente il Castello è chiuso al pubblico per restauro e i prossimi interventi interesseranno la Magna Aula che recupererà la sua funzione originale e verrà adibita a sala convegni e matrimoni; le scuderie che diventeranno spazi espositivi; le cantine e le prigioni sotterranee e gli edifici della Bassa corte.

Il futuro progetto d’allestimento museale, molto interattivo e tecnologicamente all’avanguardia, farà rivivere quel glorioso passato legato al mondo cavalleresco e alla vita cortese grazie alle simulazioni e alla realtà aumentata, offrendo al visitatore un’esperienza immersiva. Un vero e proprio viaggio indietro nel tempo, alla scoperta degli usi e dei costumi – dall’alimentazione, alla musica e all’abbigliamento – ripercorrendo i vari ambienti e le diverse epoche storiche. Potrete ad esempio entrare nella camera del Signore di Quart, specchiarvi e vedervi vestiti alla moda medievale, curioso no? 😊

Visita alla Cappella del Beato Emerico

Dal Castello è possibile compiere una piacevole escursione panoramica per raggiungere un ambiente xerico, molto secco e arido, distinto dalla presenza di roverelle e del curioso “lino delle fate piumoso” (stipa pennata). Lungo il sentiero si possono scorgere persino delle incisioni rupestri (coppelle preistoriche) sulle rocce montonate, forse legate a qualche culto ancestrale, e proseguendo per circa un’ora si arriva in una radura circondata da pini silvestri, a 1.150 metri, dove si cela l’oratorio del Beato Emerico.

Secondo la tradizione, Emerico, figlio di Giacomo II di Quart, prima di diventare vescovo si rifugiava in questo luogo appartato e silenzioso per fuggire dalla vita di corte e dedicarsi alla preghiera e alla contemplazione. Una leggenda narra che, sui massi vicino alla cappella, ci siano ancora le impronte delle sue ginocchia impresse nella roccia, a testimonianza della sua intensa dedizione.

Da qui si possono vedere anche le sopracitate fabriques dove si lavorava il rame.

Gli antichi vigneti di Quart

La strada che conduce al Castello passa nel bel mezzo dei rigogliosi vigneti di Quart, dove spicca l’antica Vigna Rovettaz che fino a qualche decennio fa era interamente ricoperta di boschi di roverella, per lo più incolti. Questo antico sito di vinificazione ben si presta alla viticoltura biologica grazie all’esposizione ai costanti venti di Föhn che limitano il proliferare di malattie funginee. Attualmente, coi suoi 5,5 ettari, è il vigneto di maggiore importanza dell’azienda Grosjean che vi coltiva diversi vitigni autoctoni valdostani a bacca rossa, come il Petit Rouge (da cui deriva il famoso vino “Torrette” di cui vi ho già parlato), il Cornalin e, nella zona di massima pendenza, il Fumin, il cui nome potrebbe derivare dal caratteristico profilo aromatico che vira spesso su toni fumé, ma anche dal colore grigio fumo degli acini ricchi di pruina. 

Le vigne Rovettaz
Grappoli di Fumin con pruina

Vi invito a scoprire e degustare questi vini eroici poiché rappresentano l’identità del territorio, con i loro sentori e profumi unici ed inequivocabili, brindando tutti assieme ai Signori di Quart per averci lasciato questa preziosa eredità storico-artistica, davanti alla quale ancora oggi ci emozioniamo. Cin cin!


Ciao a tutti, mi chiamo Caterina e sono giornalista, accompagnatrice turistica e guida museale. Nel tempo libero mi dedico alle altre mie passioni: l’arte, i viaggi e la promozione della mia amata regione, la Valle d’Aosta, un piccolo scrigno tutto da scoprire! Seguite i miei consigli per conoscere le curiosità e le meraviglie custodite tra le montagne più alte d’Europa. Siete pronti a partire?
Non esitate a contattarmi: libellulatour@gmail.com

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