Veneto delle meraviglie – I veneti e il culto per il baccalà

“Sei proprio un baccalà!”

Certo che se qualcuno si rivolgesse a noi dandoci del “baccalà”, non ne saremmo di sicuro contenti. Sbirciando nei vari idiomi italiani ci siamo accorti che tutte le espressioni linguistiche, più o meno dialettali, sono concordi nell’indicare come “baccalà” una persona “segaligna”, “priva di movimento”, “imbambolata”, “rigida” e, forse, pure un po’ “sciocca”.

Ma a ben considerare la storia di questo pesce divenuto uno dei simboli della cucina veneta e, in particolare, uno dei piatti tipici vicentini, ci si accorge invece che lo stoccafisso (altro nome usatissimo qui da noi) vanta radici, diciamo, “mitiche” e la sua unicità è oggi tutelata e continuata addirittura da una Confraternita!

Prima di parlarvi della Confraternita del Bacalà (e notate la scelta del nome dialettale, che fra l’altro rivela anche, se pur discretamente, il difficile rapporto che i veneti hanno, in generale, con le doppie) e “svelarvi” il segreto della ricetta del nostro baccalà, vogliamo raccontarvi come questo gustoso pesce sia giunto nelle nostre cucine.

Cosa vedremo in questo articolo:
1. La storia del baccalà veneto
2. Il segreto di un buon baccalà

Una tipica cena a base di baccalà veneto

La storia del baccalà veneto

Si narra che il mercante veneziano Piero Querini fosse alla ricerca di fortuna. Il Mar Mediterraneo non pareva più essere in grado di offrirgli un granché. Così partito da Candia carico di merci raffinate come spezie, cera, cotone, legni aromatici e altro, prese la rotta per le Fiandre.

Il viaggio era di sicuro, per il tempo,  parliamo del 1431, rischioso ed audace; tuttavia il nostro Querini non si fece sopraffare da alcun timore e, nonostante la perdita di metà equipaggio annegato tra le tempeste incontrate durante la navigazione all’altezza dell’Irlanda, giunse su un’isola, Sandøy, vicino a Røst, nell’arcipelago norvegese delle Lofoten, descritta come isolotto coperto di neve e senza tracce umane. 

Dopo qualche tempo i superstiti, ossia il Querini e sedici dei suoi coraggiosi uomini, vennero raggiunti dagli abitanti di un’isola vicina che li aiutarono a sopravvivere.

Il soggiorno su questa terra prima sconosciuta, fece apprezzare al Querini e ai suoi uomini lo “stockfiss”, lo stoccafisso, appunto, vale a dire il merluzzo che pulito, salato ed essiccato veniva esposto all’aria diventando, come spiega l’etimologia della parola, “duro come un bastone”.

Dopo circa quattro mesi, il mercante veneziano decise di ritornare a casa e imbarcò con sé, nel viaggio di ritorno, questo alimento eccezionale (pare ben 60 pezzi) e, nelle varie soste lungo il percorso, il nostro eroico esportatore del baccalà ebbe anche l’intuizione di servirsene come merce di scambio per garantirsi il rientro, piuttosto costoso, a Venezia.

L’arrivo del baccalà in terra veneta segnò senza dubbio un momento importante nella Storia di questo popolo, non solo dal punto di vista gastronomico, perché la ricetta, come sappiamo, resiste ed è tramandata ancora oggi, ma anche dal punto di vista dell’alimentazione dei meno abbienti (il baccalà era considerato piatto “povero”, ma gustoso e di lunga conservazione) e del rispetto delle regole religiose (i famosi divieti culinari imposti dalla Controriforma che Venezia superò brillantemente con il consumo di baccalà, soprattutto il venerdì).

Insomma, il baccalà è uno dei piatti che meglio rappresentano il Veneto. Pur non sapendo con certezza l’origine del termine, qualcuno lo fa derivare dal norvegese “stokkfish”, qualcun altro dall’olandese stocvish”, ad indicare in entrambe le lingue “il pesce messo a bastone”, noi riteniamo più elegante avvicinarlo alla parola germanica “stockfisch” per il suono simile al nostro amato vocabolo “stoccafisso”.

Ma qual è il segreto di un buon baccalà?

Perché tanto rigore da parte della Confraternita nata nel 1987 a Sandrigo (Vicenza) proprio con il desiderio di proteggere e perpetuare la ricetta originale antica di secoli?

Come espresso con orgoglio dalla stessa Confraternita nel sito web, “da un pesce legnoso e stopposo come lo stoccafisso, battuto, bagnato, cotto, aggiustato con infinita pazienza”, i vicentini sono riusciti a realizzare piatti incredibili: la polpa di consistenza tigliosa viene trasformata in un boccone morbido e saporito.

Le varianti proposte dai cultori del baccalà sono moltissime: differenze si trovano nella forma data ai tranci di pesce passati o meno nella farina, nell’uso più o meno abbondante di acciuga e cipolla, nell’aglio usato a pezzi e tolto a metà cottura o sminuzzato e unito agli altri ingredienti, nell’utilizzo del latte, nelle ore di cottura…

Il baccalà veneto

Nonostante tutte queste “interpretazioni”, su un solo ingrediente non si transige: l’olio di cottura deve essere della migliore qualità e abbondante… il baccalà non deve mai essere rimescolato, ma deve “pipare” piano piano, ossia, tradotto, deve essere cotto lentamente, ma “pipare” è uno dei termini dialettali più curiosi e divertenti, e per spiegarvelo meglio forse può bastare richiamare l’utilizzo che ne facciamo quando si vuole descrivere la “condizione sospesa” di uno spasimante “lasciato a pipare”, forse con un po’ di crudeltà, dalla donna che prende tempo prima di cedere al corteggiamento…

Certi di non avervi proprio svelato tutto, vi invitiamo a leggere la ricetta completa, corredata da un interessante video, nel sito della Confraternita www.baccalaallavicentina.it e vi lasciamo con i versi  del poeta vicentino Adolfo Giuriato (1881 – 1945) che così scriveva sottolineando il vero e proprio culto dei suoi concittadini per questo pesce.

Vicenza, la patria del bacalà
Done, pestèlo. Dopo, imbrombélo.
Cavèghe i ossi; levèghe el spin.
Taièlo a tochi; pò infarinelo
come se’l fusse pèsse fin.
Par cusinarse, sto pastizzetto
gà da pipare ma a pian pianin.
Eco: xè un grostolo ogni tocheto;
se’l pipa ancora l’è soprafin.
E a quei che dise che i visentini
xè “magna gati” nati e spuà,
sù regalèmoghe sti boconzini
che alora in estasi i cantarà:
“Viva la patria del bacalà!”.

CHIAVE di VOLTA è un’organizzazione di guide turistiche qualificate, esperte e appassionate, che opera dagli anni ‘90 in Veneto. Ha sempre puntato alla qualità dei servizi offerti e alla ricerca di itinerari meno frequentati e noti. Il gruppo delle guide è coordinato da Deborah Marra, guida accreditata in Veneto da molto tempo. Laureata in Lingua e Letteratura Giapponese, è lei stessa un’instancabile viaggiatrice e, da qualche anno, ha pubblicato anche dei libri, “Vegana? No, chemio” (2016) e “Cupido è guercio” (2020).
Per chi ama visitare città e luoghi artistici accompagnato da una guida professionale, CHIAVE di VOLTA è sicuramente il referente per scoprire, e riscoprire, il Veneto. Consigli e itinerari personalizzabili sono disponibili nel sito www.chiavedivolta.com e nella pagina Facebook  www.facebook.com/deborahmarrachiavedivolta

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