Piccola grande Umbria – Ciò che resta di Raffaello

Con la fine del 2020 si concludono le celebrazioni per i cinquecento anni dalla morte del grande Raffaello Sanzio.

Questo artista, nato a Urbino nella primavera del 1483 da un padre vivacissimo scrittore e pittore di corte, Giovanni Santi, è particolarmente caro all’Umbria per avervi soggiornato alcuni anni della sua formazione a partire dall’ultimo decennio del secolo e per aver donato a questa terra, una “provincia” rispetto ai grandi centri di novità in campo artistico, notevoli opere d’arte, decorando così alcuni dei luoghi di culto più significativi e venendo incaricato dalle migliori famiglie.

Lo Sposalizio della Vergine in San Francesco a Città di Castello

A Città di Castello, in Valtiberina, esegue una tavola per la cappella Baronci in Sant’Agostino, mentre per gli Albizzini dipinge lo Sposalizio della Vergine in San Francesco; destina una bella Crocifissione (Gavari) alla chiesa di San Domenico.

Si occupa, secondo gli studiosi all’unanimità su base stilistica in mancanza di documenti, anche di uno stendardo da processione a due lati, l’uno raffigurante la Trinità con San Rocco e Sebastiano e l’altro la Creazione di Eva. Quest’ultimo, che mostra chiare suggestioni signorelliane e rimandi agli altri dipinti menzionati, è tuttora conservato nella Pinacoteca comunale del piccolo centro, ospitata nell’elegante Palazzo Vitelli alla Cannoniera.

Le opere di Raffaello a Perugia

A Perugia, però, Raffaello trova gli agganci giusti per poter ascendere al “rango dei maestri”. Nel 1502, a diciannove anni, Bernardino di Betto detto Pintoricchio lo vuole con sé per progettare i disegni da farsi alla Libreria Piccolomini di Siena mentre Perugino (Pietro Vannucci), che aveva una bottega in centro e una a Firenze, lo ispira fortemente e lo incanala nel suo stile aggraziato, dandogli lo slancio per approfondire questo risultato e ampliarlo attraverso le innovazioni e le scoperte che altri artisti stavano conducendo a Firenze.

In questi anni e fino al 1508, i dipinti di Raffaello arredano le chiese e i complessi religiosi più affascinanti della città, come quello delle monache di Monteluce, in cui progetta un’Incoronazione della Vergine portata a termine da Giulio Romano, e il monastero Camaldolese di San Severo, per il quale esegue un affresco finito da Perugino; i potenti nobili locali tra cui gli Ansidei, gli Oddi, gli Alfani, i Baglioni lo reclamano per Pale d’altare e quadri di dimensione ridotta.

Il caso ha voluto che tutte le opere pittoriche su supporto, di cui Perugia si è fregiata con orgoglio in passato, non si trovino più al loro posto, rubate, vendute o andate perdute per sempre.

L’unico dipinto del Sanzio documentato che potrete trovare in Umbria è infatti l’affresco su muro con la Trinità e Santi per la cappella di San Severo, realizzato tra il 1505 e il 1508 e conservato nella sua posizione originaria ma, al contempo, in un ambiente estremamente mutato nei secoli. Questo contesto rende ancora più suggestiva l’esperienza di visita.

L’antica chiesina di San Severo, demolita nel XVIII secolo (di cui resta solo la cappella musealizzata con l’affresco, mentre in piazza un altro edificio di culto intitolato al santo viene consacrato, in sostituzione del precedente, negli anni Cinquanta del Settecento) edificata nel Quattrocento su una preesistenza, era stata voluta dall’Ordine dei monaci di Camaldoli, di cui una piccola propaggine si era insediata nel silenzioso e panoramico quartiere di Porta Sole.

Emblema posto sulla facciata della nuova chiesa di San Severo (1756 ca.), recante a destra lo stemma dell’Ordine di Camaldoli: due colombe che si abbeverano dallo stesso calice eucaristico, ad indicare la coesistenza di vita eremitica e cenobitica della Regola.

Una delle cappelle poco dopo l’ingresso era stata dedicata ai Padri fondatori e alla massima realizzazione della fede cristiana: ecco che allora Raffaello ventiduenne dipinge sotto all’arco sommitale della parete Dio con in mano il libro recante la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto greco, l’alfa e l’omega, poiché Egli è l’inizio e la fine di tutto (la figura oggi è leggibile ma purtroppo danneggiata), inserisce poi la candida colombina dello Spirito Santo e Cristo benedicente, insomma, rappresenta la Trinità!

L’artista esegue anche dei dolcissimi angeli e, seduti su delle nuvole, in Paradiso, sei santi vestiti di bianco: i più anziani e prossimi a Gesù, con la lunga barba, sono anche i più importanti per i committenti del pittore, infatti a destra troviamo San Romualdo, colui che in provincia di Arezzo, a Camaldoli, diede avvio all’eremo e di conseguenza al monastero, seguito da Benedetto Martire e San Giovanni Martire, appena visibile.

A sinistra, simile nelle fattezze a Romualdo, a testimonianza della loro fratellanza, si trova San Benedetto da Norcia: infatti, la regola del nuovo ordine camaldolese compilata nel 1012 è di aperta ispirazione benedettina. A seguire, si trovano i due seguaci del monaco nursino, ovvero il giovane martire Placido e San Mauro.

Negli anni di esecuzione dell’affresco sappiamo che il Sanzio non si trovava più in Umbria ma stava apprendendo il fare artistico dei fiorentini. Nel 1508 poi, avviene un fatto straordinario: Raffaello viene chiamato a Roma da Papa Giulio II per la decorazione delle Stanze vaticane e lì, entrando nell’entourage delle potenti famiglie ecclesiastiche locali, è attivo non solo come pittore ma anche come architetto e “soprintendente” volto a segnalare le sopravvissute vestigia romane notevoli.

Raffaello Sanzio, Trinità e Santi, 1505-08, Perugia, Cappella di San Severo.

Impegnatissimo nella Città eterna, vi muore a 37 anni, il 6 aprile 1520, dopo una violenta febbre la cui origine è tuttora incerta e discussa già nei carteggi dei letterati a lui coevi.

Dopo questa insaspettata perdita, i poveri camaldolesi di Perugia che da più di un decennio attendevano speranzosi il ritorno dell’artista per terminare la parete lasciata a metà, sono costretti ad ingaggiare un altro pittore; colui il quale era vicino alla Cappella da affrescare, avendo la propria bottega in una via non lontana del centro storico, e anche prossimo allo stile di Raffaello, era proprio Pietro Vannucci.

Nel 1421, ormai attempato e alla fine della carriera (sarebbe poi morto due anni dopo) inizia ad eseguire i santi sottostanti l’affresco precedente, servendosi di due cartoni preparatori, ovvero disegni di figure standard, come santi o angeli, spesso ricalcati dagli allievi nelle botteghe, appoggiati al muro in maniera ripetuta e speculare a seconda della posizione, per tracciare tutte e sei le figure che presentano infatti la medesima posizione dei piedi e variano solo nelle vesti e nei volti.

Il risultato, un po’ modesto rispetto alle altre splendide opere dell’artista in giro per il centro Italia, è che i sei santi, riferibili genericamente alla sfera benedettina, appaiono piatti, quasi bidimensionali e senza molte ombreggiature.

Pietro Vannucci detto il Perugino, Santi, 1521, Perugia, Cappella di San Severo.

Se si paragona il dipinto del Vannucci con la parte di Raffaello, si può osservare come quest’ultimo abbia invece creato una prospettiva perfetta, culminante con il dettaglio centrale, in terza dimensione, del piede di Gesù appoggiato sulla nube che, grazie all’ombra, emerge dalla parete. Inoltre, le figure, con questo gioco di sguardi e pose diversificate, sono probabilmente prese da modelli reali.

La parete che ospita l’affresco e la statua in terracotta eseguita da Leonardo del Tasso a fine XV sec.

La cosa più sorprendente di tutte, però (che ci fa un po’ sognare, paragonando la parva Perugia alla grandiosità romana!) è che la composizione raffaellesca studiata per San Severo viene messa a punto nella Stanza della Segnatura in Vaticano con la Disputa del Sacramento del 1509, dove ritroviamo il medesimo Cristo frontale affiancato dai santi assisi sulle nuvole, in un andamento emisferico, prospettico e fortemente suggestivo.

Raffaello Sanzio, Disputa del Sacramento (dettaglio), 1509, Roma, Palazzo Vaticano, Stanza della Segnatura.

Nella cappella, a cui si accede dal portone che costituiva l’ingresso dell’antico monastero annesso alla chiesa (oggi mutato in palazzo privato), e passando per la biglietteria con il bookshop, si trovano anche una bellissima statua di terracotta raffigurante una Madonna con Bambino di Leonardo del Tasso, scultore fiorentino che la esegue a fine Quattrocento e un moderno busto-ritratto di Raffaello realizzato da Giuseppe Frenguelli, 1923, ora in restauro (2020).


Ciao, sono Gioia! La mia vita è eternamente legata a due regioni: l’Umbria, mia terra d’origine e di residenza e la Toscana, il luogo che mi ha fatto comprendere quale fosse davvero la strada giusta da percorrere: l’arte e la promozione del Patrimonio culturale locale.
Ho incentrato infatti la mia tesi di laurea di Storia dell’arte sugli affreschi aretini del Quattrocento e poi ho scelto di diventare una Guida turistica abilitata a Firenze e Accompagnatrice turistica. Lì, tra i Palazzi appartenuti alla famiglia de’ Medici e i grandi artisti del Rinascimento, ho trovato per qualche anno la mia dimensione ideale; il mio cuore, però, mi ha lentamente riportato a fare tour anche a Perugia, Assisi, Spoleto e tutti quei centri caratteristici dell’Umbria, in cui si trovano scorci fiabeschi e interessanti musei presso tre dei quali lavoro anche come dipendente.
Ad essere sincera non c’entra solo il cuore, ma anche la gola: non riesco proprio a dir di no ai piatti e prodotti tipici quali salumi, formaggi, olio, tartufo ma anche agli ottimi vini, da provare assolutamente più di una volta nella vita, senza trascurare il fatto che la mia città di nascita, Perugia, è considerata la patria del cioccolato grazie al famoso Bacio Perugina. Seguimi per delle esperienze emozionanti, per gli occhi e…per la pancia!
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