È sera, quando non c’è più nessuno tra i vicoli del piccolo borgo Rivera, una delle zone più antiche del centro storico, e io vado a passeggiare. Amo sedermi sul bordo della sua monumentale fontana delle 99 cannelle, simbolo della città dell’Aquila insieme alla basilica di Santa Maria di Collemaggio, e restare lì per ore ad ascoltare il suono dell’acqua che sgorga dai suoi mascheroni.


Perché amo tanto questo monumento? Perché racchiude tutto il fascino e il mistero della fondazione della mia città: è qui che ebbe inizio la storia dell’Aquila che vide la sua prima alba nel 1254 per volontà di Corrado IV figlio del grande Federico II° e perché spiega il significato del nome Aquila ossia “città ricca di acque”.
La fontana fu costruita nel 1272 dall’architetto Tancredi da Pentima per volontà dell’allora capitano di città Lucchesino da Firenze come riporta l’iscrizione murata in alto sulla parete centrale: ANNO DOMINI MCCLXXII MAGISTER TANCREDUS DE PENTOMA DE VALVA FECIT HOC OPUS.
La piazza ha una forma trapezoidale e tutto ha l’aspetto di un chiostro dove il silenzio invita ad ascoltare lo sgorgare delle acque. La fontana è composta da 93 mascheroni e da sei ulteriori cannelle aggiunte successivamente per arrivare, così, a formare il numero leggendario 99.
Una leggenda narra, infatti, che la città sia stata fondata da 99 castelli dei dintorni e per questo ci sarebbero 99 piazze, 99 chiese e 99 fontane. La parte più antica della fontana è quella centrale con ben 40 mascheroni, poi nel ‘400 furono aggiunti i 23 del lato sinistro, mentre i restanti 30 del lato destro sono stati aggiunti in epoca successiva, probabilmente nel Cinquecento, e più tardi le altre 6 cannelle senza decorazione. La tradizione vuole quindi che i mascheroni rappresentino i signori dei 99 castelli che diedero vita alla città nel 1200.
Questo monumento fu costruito come lavatoio, non per i panni, ma per la lana. Il parametro murario è stato realizzato con delle pietre bianche e rosse, il bianco e il rosso che erano, fino a mezzogiorno del 2 febbraio del 1703, i colori della città. In quel maledetto giorno tutto cambiò!

Dalla terra uscì un forte boato e le case, le chiese crollarono e i morti furono più di 3000; da allora la città decise di adottare, come colori il nero, in ricordo del lutto che ancora oggi ci portiamo nel cuore e il verde in segno di speranza e di rinascita come oggi.
Un’altra leggenda ci narra che l’architetto Tancredi da Pentima fu qui assassinato per evitare che rivelasse dove fosse la sorgente che alimenta la fontana; nessuno deve sapere da dove arriva l’acqua per evitare, così, che uno dei borghi della città possa rivendicare la fondazione della città. Un’altra leggenda ancora, ci dice che Tancredi sia sepolto proprio dietro la lapide che ne ricorda la costruzione.

Ogni volta che mi soffermo ad ammirare i mascheroni, ognuno diverso dall’altro, mi soffermo soprattutto su quello angolare a forma di uomo pesce che ricorda Nicola Colapesce uno dei personaggi della mitologia legata a Federico II° di Svevia, fondatore leggendario della città. Della leggenda di Nicola Colapesce ce ne parla Italo Calvino nelle sue “Fiabe Italiane”.
Voglio, però, concludere questa mia passeggiata con un omaggio ad un grandissimo narratore per l’infanzia, Gianni Rodari, che a questo monumento dedica questa bellissima fiaba “Il Pastore e la Fontana”.
«C’era una volta un pastore, che viveva in una capanna sulle montagne d’Abruzzo, passava il tempo a badare alle pecore ed era tanto povero che non conosceva il resto del mondo. Ogni giorno si lamentava: Ah, se conoscessi il mondo, forse potrei diventare ricco anch’io.
Una mattina passò di là una vecchietta, lo sentì che borbottava e gli domandò: Cos’hai da lamentarti, pastorello? Mi lamento perché non conosco il resto del mondo, così mi toccherà di restare sempre povero. Se mi fai un piacere, ti insegno io il modo di diventare ricco. Un piacere? Ve ne faccio anche sette. Più in là di sette non sapeva contare, perché aveva solo sette pecore.
Allora la vecchietta gli disse: devi andare all’Aquila, là troverai la fontana delle 99 Cannelle: conta le cannelle, torna a dirmi quante sono, e io ti farò contento. E chi mi guarda le pecore? Te le guarderò io. Però non posso guardarne più di sei. La settima devi portarla con te. Il pastore la ringraziò, prese la settima pecora e s’incamminò verso L’Aquila.
Arrivò in città che era mattina ed era giorno di mercato. Il pastore si fermò incantato a guardare la gente che discuteva e contrattava con animazione, gli animali in vendita nei recinti, i banchi su cui erano esposte merci d’ogni genere. Gli si avvicinò un mercante e gli domandò se la sua pecora era in vendita. Non so se è in vendita, è la mia pecora e finora non è mai stata malata – disse il pastore. Il mercante capì che aveva a che fare con un sempliciotto, ma era onesto e non volle approfittarne; gli offrì una giusta somma di denaro.
Il pastore, che non aveva mai visto tanti soldi insieme, accettò. Mise il denaro in un fazzoletto e si incamminò per tornare sulla montagna, quando si ricordò del piacere che doveva fare a quella vecchina, domandò a un passante la strada per la fontana delle 99 cannelle e ci andò.
Che meraviglia! La fontana correva tutt’intorno a una piazzetta e dalle sue bocche zampillava acqua allegra e fresca. Il pastorello, dopo essersi saziato di ammirare e di ascoltare la musica della fontana, cominciò a contare le cannelle. Purtroppo però, sapeva contare fino a sette.
Quando fu arrivato al sette ricominciò da capo, e così di seguito. Poi, tutto soddisfatto tornò sulla montagna, salutò la vecchina e le raccontò quello che gli era capitato in viaggio. Hai contato le cannelle? – gli domandò la vecchina. Certo! Sono sette. Figlio mio, hai sbagliato il conto. Non posso proprio rivelarti il modo di diventare ricco. Il pastore mortificato stava quasi per piangere.
Allora la vecchina, per consolarlo gli disse: – Tra sette giorni tornerò a trovarti, andrai di nuovo in città a contare la fontana delle 99 cannelle, e se troverai il numero giusto ti farò contento.
Sette giorni dopo, la vecchina puntale tornò dal pastore e disse: Va all’Aquila, ma prendi una pecora con te perché sono vecchia e più di cinque per volta non ne posso guardare. Il pastore prese la sesta pecora e scese in città.
Era di nuovo giorno di mercato e incontrò il mercante dell’altra volta disposto a comprare anche questa pecora al prezzo della precedente. No –disse il pastore – adesso mi dovete dare qualcosa di più, perché sono meno ignorante e ho già visto il resto del mondo. Il mercante rise e aggiunse al prezzo qualche soldo.
Il pastore, tutto contento, mise il denaro nel fazzoletto, poi andò alla fontana delle 99 cannelle e ricominciò la conta. Arrivato al numero sette si fermò e non sapeva più andare avanti. Per fortuna un bambino si era fermato a guardarlo.
Che cosa viene dopo il sette? L’otto. E dopo l’otto? Il nove. Così andarono avanti a contare insieme. Ma il bambino sapeva contare solo fino a venti. Per il pastore era già un bel numero. Tutto soddisfatto tornò alla montagna, salutò la vecchina e le gridò: Sono venti! Figlio mio, hai sbagliato un’altra volta. Mi dispiace, ma non posso fare nulla per te. Riproveremo tra sette giorni.
La settimana dopo, il pastore tornò in città, vendette una terza pecora, andò a contare le cannelle della fontana, ma giunto al numero venti si fermò, perché non sapeva più andare avanti. Per fortuna una ragazza si era fermata a guardarlo. Sapeva leggere, scrivere e contare ed era anche gentile, gli insegnò a contare tutte le bocche della fontana.
Erano proprio 99! Questa volta il pastore era sicuro di non aver sbagliato il conto. Tornò a grandi passi sulla montagna, ma la vecchina non c’era più. Le quattro pecore che gli restavano brucavano tranquillamente e non poterono rispondere nulla alle sue domande.
Il pastore non sapeva che pensare, però era contento: adesso aveva in tasca il denaro ricavato dalla vendita delle tre pecore, aveva in testa 99 numeri e aveva davanti agli occhi le incantevoli visioni della città.
Quel pastore, dopo aver cominciato a studiare i numeri e a conoscere il mondo, non si fermò più. Diventò un bravo mercante, andò a vivere in città, sposò quella brava ragazza che sapeva leggere e scrivere, e quando ebbe un bambino lo portò a vedere la fontana delle 99 cannelle e gli insegnò a contare proprio come aveva imparato lui, contando e ricontando quelle 99 meraviglie».
Gianni Rodari, “Il Pastore e la Fontana”.
Ciao, sono Carla, archeologa e guida turistica della regione Abruzzo e della provincia di Roma.
Sono nata a L’Aquila nel 1975 in pieno centro storico, in una delle strade più belle di questa meravigliosa città. L’Aquila mi ha formato, ha sviluppato il mio gusto per il bello e il piacere di scoprire l’antichità. È proprio questo mio amore che mi ha fatto decidere di diventare archeologa e poi guida turistica prima della regione Abruzzo e poi della provincia di Roma.
Alla mia città, a volte antipatica, a volte madre tenera, a volte respingente come quella notte di 11 anni fa che ha cambiato per sempre la mia vita e quella di tutti gli aquilani, ho promesso che avrei contribuito alla sua rinascita e fedele a questo impegno da quest’estate ho deciso di farla conoscere ai turisti ma soprattutto agli aquilani organizzando, almeno due volte a settimana, tour di un’ora circa che mi permettono di scoprire ogni giorno la ricchezza non solo storico-artistica ma anche gastronomica.
Che tipi di passeggiate organizzo? Cerco sempre di mostrare palazzi o monumenti difficili da visitare se non si è in compagnia di una guida amante dell’inedito; oltre alle passeggiate cittadine organizzo anche quelle nei dintorni non solo a piedi ma anche in bicicletta perché, da un paio di anni, ho deciso di abbandonare la macchina per i due pedali e io, il mio cagnolino Gerry, e la mia bici Guendalina andiamo ovunque alla ricerca del particolare.
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