Il cuore liquido di Milano
La darsena è per definizione un bacino d’acqua artificiale utilizzato per l’ormeggio e il rimessaggio delle barche; inoltre sta anche ad indicare la parte più interna di un porto, fornita di officine e di uno o più bacini di carenaggio, dove si eseguono lavori di riparazione o si custodiscono navi in disarmo, mentre talvolta, specialmente sui laghi, si tratta di luoghi attrezzati per tenere al coperto piccole imbarcazioni.
La parola “darsena” ha un’etimologia incerta: probabilmente arriva dall’arabo dār–ṣinā, divenuto darsena e con alcune modifiche dialettali italiane si è trasformato nell’attuale termine; fonti ne attribuiscono origini genovesi, altre siciliane.
Anche Milano ne ha una, seppur non abbia il mare, con una storia lunga secoli: la storia di Milano, la sua anima e il suo cuore sono strettamente legati all’acqua. Nonostante sia parecchio lontana dal mare e non sia nemmeno in riva a un lago e tanto meno a un fiume, Milano è una città d’acqua perché è nata lungo la “linea delle sorgive”, in un punto in cui sembra che tutte le acque confluite a valle dalle Alpi si siano date appuntamento per creare una miriade di fiumi, torrenti e laghetti.

Milano è veramente una città d’acqua, anche se sarebbe più corretto dire che lo è stata, e la Darsena è uno degli ultimi simboli rimasti di un luogo che non c’è più. Un luogo ormai lontano anni, secoli, dove lungo le vecchie mura spagnole non si srotolavano strade intasate da auto, moto e camion, ma canali solcati da chiatte e barche.
La Darsena, per come la conosciamo ai nostri giorni, è stata costruita nel 1603, sotto il dominio spagnolo, dal governatore Don Pedro Enríquez d’Azevedo y Toledo, conte di Fuentes de Valdepero.
La genesi va però ricercata quattro secoli più indietro, ovvero nel 1179, poco tempo dopo la distruzione di Milano da parte di Federico Barbarossa; qualche anno prima i milanesi decisero di creare un canale che partisse dal Ticino a Tornavento, utilizzandolo come canale difensivo per dividerli dal pavese che era alleato con il Barbarossa e per trasportare più comodamente le merci in città, migliorandone la qualità di vita.
Questo è il prototipo di ciò che poi diventerà il Naviglio Grande ma che allora si chiamò Ticinello, e che entrerà a Milano soltanto nel 1211. Per trasportare i marmi per la costruzione del Duomo di Milano dalle cave di Candoglia, nell’attuale provincia del Verbano-Cusio-Ossola, vennero utilizzate i barconi che, scendendo lungo il Naviglio Grande, arrivavano fino al Laghetto di Sant’Eustorgio, situato tra la relativa basilica e lo spazio ove oggi sorgono gli ex caselli daziari di piazza XXIV Maggio, per poi percorrere l’ultimo tratto di strada via terra.
Nel 1439, per velocizzare e facilitare i trasporti, fu realizzata la Conca di Viarenna (attualmente in via Conca del Naviglio) che fu utile per il collegamento diretto tra il Laghetto di Sant’Eustorgio e la Cerchia Interna (che nel frattempo venne resa navigabile), e così i barconi potevano arrivare vicinissimi al Duomo nel laghetto di Santo Stefano, nella zona dove attualmente sorge la sede centrale dell’Università Statale di Milano, nella Ca’ Granda (l’ex Ospedale Maggiore di Milano, progettato dal Filarete a metà del XV secolo e costituente uno dei primi edifici rinascimentali in città).
Infine vi fu un altro laghetto in zona Brera, utile al collegamento tra la Martesana e la Cerchia Interna, ribattezzato il Laghetto di San Marco per via dell’omonima chiesa che sorge nell’area (da non confondere con il Tombone di San Marco, o Tumbùn de San Marc in milanese, che era l’area appena al di sotto dei Bastioni di Porta Nuova dove l’acqua della Martesana, per via di canali e rogge che la alimentavano, creava pericolosi mulinelli).
In via Larga, v’era persino una banchina portuale, dove potevano attraccare le barche che percorrevano il Seveso. Il laghetto di Santo Stefano era senza dubbio il più famoso, fu lì che infatti attraccavano i barconi carichi del marmo di Candoglia utilizzato per la costruzione del Duomo. Sui teli che li coprivano c’era la scritta AUF, ovvero Ad Usum Fabricae, vale dire la Veneranda Fabbrica del Duomo. Grazie a quella sigla, i materiali non pagavano dazi e nel tempo, in dialetto milanese, auf, e poi “a ufo”, sono diventati sinonimo di gratuito, di qualcosa che si ottiene senza pagare.
Il ruolo commerciale del Laghetto di Sant’Eustorgio convinse il governatore spagnolo alla realizzazione della Darsena. Un vero e proprio porto, uno specchio d’acqua di quasi 20 mila metri quadri e profondo un metro e mezzo circa, che ha cambiato volto alla zona sud di Milano e nel tempo è divenuto tra i primi porti d’Italia e addirittura d’Europa.
La forma della Darsena è dovuta al fatto che si appoggiò sulle mura spagnole terminate nel 1560, le stesse venute alla luce durante i lavori e “inglobate” nei nuovi argini.
A questo periodo risale anche lo scavo del primo tratto del Naviglio Pavese: la storia comincia nella seconda metà del Cinquecento, quando il governo spagnolo decise di rimettere mano al progetto di congiungere Milano al Ticino, passando per Pavia, ma fu un esempio di sperpero di denaro e del malgoverno spagnolo. I lavori cominciarono vent’anni dopo e con il cambio di potere e la morte dell’ingegnere incaricato, venne tutto bloccato, per ripartire con il conte di Fuentes.
Vennero quindi riprese le attività, gravando con pesanti tasse sui cittadini e insinuando profondo malumore, ma i lavori procedettero speditamente e così il conte, per festeggiare il completamento della seconda conca, la Conca Fallata, decise di erigere un Trofeo (di cui ne rimangono resti al Castello Sforzesco e in qualche opera pittorica) all’imbocco del Pavese con la Darsena. Si erano costruiti poco più di due miglia di canali, nulla in confronto a ciò che doveva essere, ma sta di fatto che alla morte del conte nel 1610, tutto si fermò per un secolo.
L’intera vicenda restò come esempio a futura memoria del modo di governare degli spagnoli: un’opera che, giunta a metà, non fu mai conclusa, gettando al vento tutte le risorse impegnate fino a quel momento.
Per i milanesi, quella conca nel nulla divenne la Conca Fallata, nome che ancora oggi conservano la conca stessa e il quartiere circostante. Quell’aggettivo, solitamente tradotto con sbagliata, in realtà esprime un giudizio popolare ben più severo di una banale valutazione tecnica.
La Conca Fallata è l’opera di ingegneria più importante del Naviglio Pavese, ma anche il più grande sperpero di denaro: resterà inutilizzata fino al 1840, quando vicino si insedieranno le Cartiere Binda, chiuse nel 1997.
Purtroppo, ancora oggi, la piccola centrale elettrica che avrebbe dovuto ricavare energia dal salto dell’acqua del naviglio è bloccata dalle alghe e dall’asciutta, confermando che non abbiamo imparato nulla dal passato.
Il nome dell’area rimase anche quando, passato quasi un secolo, Napoleone conquistò Milano e decise di riprendere i lavori lasciati in sospeso dagli spagnoli. Il Naviglio Pavese fu inaugurato, tutto stavolta, dall’arciduca Ranieri, viceré del nuovo regno Lombardo-Veneto, il 16 agosto del 1819.
Tornando alla Darsena, dal suo completamento una moltitudine di barche animerà la zona, favorendo lo sviluppo dell’economia del quartiere, con l’apertura di osterie, locande, botteghe e l’espansione del mercato che si svolgeva nell’antistante piazza rispetto alle mura spagnole (tutt’oggi esistente come Mercato coperto), dove venivano venduti viveri e soprattutto cavalli. Si insediò anche la criminalità, come la figura romantica dello sfrosatore, vale a dire del contrabbandiere che cercava di portare in città merci senza pagare il dazio.
La navigazione fino alla Darsena era assai lunga: i barconi, distinti in base alle dimensioni, discendevano sfruttando la corrente e quindi la pendenza del canale.
Governare una barca era molto difficile, soprattutto durante le curve e l’attraversamento dei ponti: tutte le sponde erano quindi rinforzate con grossi pali di legno, in modo che le chiatte potessero appoggiarsi senza causare danni.
Fu proprio Leonardo da Vinci a consigliare ai barcaioli di allungare la pala del timone di ben due metri per aumentarne l’efficacia. Sul Naviglio Grande si trasportava principalmente la sabbia, e in base alla cava di provenienza, vi erano dei cerchi colorati che le identificavano sullo scafo frontale.
Sul Pavese, oltre che alla sabbia, si trasportarono i latticini, che giunsero in città dall’Oltrepò pavese.
Proprio da queste barche, l’area attorno a Corso San Gottardo, prese il nome di El burg dè furmagiatt, poiché per non pagare il dazio cittadino in Darsena si fermavano appena prima in quest’area: qui si svilupparono nelle case a corte numerose casere, con i depositi per la conservazione e la stagionatura dei formaggi.
Risalire i navigli era invece assai più complicato: per navigare controcorrente fu necessario che le barche, sprovviste di motore, venissero trainate da animali da tiro, tramite una fune detta alzaia.
Gli animali faticavano molto in questa operazione, così che dagli anni Trenta del secolo scorso vennero sostituiti dai trattori.
Da ciò presero il nome una delle due strade che costeggia ogni naviglio, dove appunto passavano gli animali e, visto che erano strade di servizio, si svilupparono magazzini per le merci, mentre dalla parte opposta, su quella strada denominata Ripa (ovvero riva), iniziava la città vera e propria.
A Milano, grazie alla Darsena, alla Cerchia Interna e ai vari navigli, venne creato un collegamento tra l’Adda e il Ticino attraverso Milano. Si pensò all’inizio del Novecento anche a un collegamento con il Po, e quindi con il mare Adriatico, attraverso il progetto di Porto di Mare, rimasto incompiuto.
Nell’Ottocento la Darsena registrò un grande traffico in entrata e in uscita, con un tonnellaggio complessivo di merci assai elevato. L’inizio del Novecento invece vide sorgere in Darsena due realtà che ancora oggi caratterizzano il Naviglio Grande: la Canottieri Milano e la Canottieri Olona. Quest’ultima aveva la sua sede verso piazza Cantore, proprio dove l’Olona sfocia in Darsena, mentre la prima era situata accanto a piazza XXIV Maggio, dove oggi sorge il nuovo mercato.
La vocazione di Milano come città d’acqua iniziò a vacillare durante il Fascismo, che con i suoi piani urbanistici coprì la Cerchia Interna, la quale era diventata un problema di igiene pubblica, fonte di esalazioni malsane, luogo perfetto per aspiranti suicidi e pericolo per gli ubriachi.
Ma non fu durante il Ventennio che la Darsena smise di essere un porto: furono lo sviluppo della rete stradale, l’affermarsi del trasporto su gomma e l’epoca consumistica che ne decretarono la fine.
La sua definitiva chiusura fu il 30 marzo del 1979, quando alle ore 14 entrò l’ultimo barcone carico di sabbia. Erano 120 tonnellate, l’equivalente di 20 autocarri che da ora in poi sarebbero andati a intasare strade e tangenziali.
Pian piano la zona cadde nel dimenticatoio cittadino, divenendo in parte parcheggio per i locali dei navigli, quando la città si stava trasformando nella Milano da bere. Diventerà una discarica a cielo aperto e meta preferita dei tossici ma pian piano si trasformerà anche un’oasi floro-faunistica spontanea, l’espressione perfetta del Terzo Paesaggio di Gilles Clément dove attecchirono svariate essenze arboree e trovarono casa molteplici specie di uccelli.
All’inizio degli anni Duemila si paventò il progetto di trasformarla in un grande parcheggio per residenti ma i lavori vennero bloccati dai ritrovamenti archeologici a Piazzale Cantore, riguardanti la Conca di Viarenna.
L’area verrà riconsiderata per il suo grande passato glorioso soltanto nel 2004, quando sarà indetto un Concorso Internazionale di Progettazione per la riqualificazione dell’ambito Darsena.

La società Expo 2015, che come Amministratore Delegato ebbe l’attuale sindaco di Milano Giuseppe Sala, avviò nel 2013 il progetto esecutivo dei lavori, procedendo all’apertura della gara d’appalto. I lavori proseguiranno senza sosta sino al 2015, quando verrà inaugurata il 26 aprile, con l’allora sindaco Giuliano Pisapia.

I lavori, seppure con le polemiche annesse, hanno saputo restituire dignità ad un nodo centrale della storia cittadina, anche se ben lontano dal recuperare il suo antico splendore.
Andrea Cortinovis – Social Media Manager di FollowMi Around
A Milano c’è sempre qualcosa da scoprire, una città con molte anime che ogni giorno offre stimoli diversi che vanno dall’arte, alla moda, senza dimenticarci di molti altri aspetti tra i quali la modernità e la meravigliosa offerta culturale. FollowMi Around è proprio di ciò che si occupa, della scoperta di Milano considerando di primaria importanza la visita sotto una luce diversa, sottolineando l’idea di viaggio come se i viaggiatori fossero dei locali e deviando così dai soliti percorsi delle guide turistiche più gettonate.
Questa start up venne fondata nel luglio 2018 da Beatrice Odelli, classe 1990, che alle spalle aveva degli studi in ambito economico e un’esperienza lavorativa all’estero a Berlino e Maastricht ed è da qui che incomincia a capire che il lavoro in ufficio non fa per lei. Allora lascia tutto e decide di compiere un viaggio di un anno in Centro e Sud America ma purtroppo dopo sei mesi è vittima di un grave incidente che la costringerà a ritornare in Italia, in provincia di Cremona dove abita la sua famiglia, e così durante mesi passati senza la possibilità di muoversi le viene in mente l’idea di fondare la realtà di FollowMi Around. Da zero è stato creata questa realtà che per affermarsi ha visto l’importante collaborazione degli ostelli di Milano, con i quali ha instaurato un solido rapporto.
Principalmente FollowMi Around si muove con un sito ben strutturato e canali social quali Facebook, Instagram, You Tube e LinkedIn. Gli eventi che organizza sono principalmente tour specifici su vari aspetti della città: dal secret tour, ai tour sulla street art, a quelli su specifici quartieri; è infatti importante per FollowMi Around decentrare l’attenzione del pubblico ed è ciò che sta iniziando a fare persino il Comune di Milano con YesMilano, con un’importante campagna sui vari quartieri della città, ispirata ad altre realtà europee. In più FollowMi Around si occupa di veri e propri eventi come Cooking Class e serate legate all’opera, senza contare a gite fuori porta.
Il target è costituito sia da turisti stranieri che da locali, desiderosi di saperne di più sulla città in cui vivono, magari da anni o da tutta la vita. La squadra è composta, oltre che dalla founder Beatrice, da Simone che le fa da spalla nei tour e negli eventi, insieme a Nicola che però si è trasferito da poco all’estero, in più dei social se ne occupano Gloria e Andrea.
Contatti
Sito web: www.followmiaround.com
e-mail: info@followmiaround.com
Beatrice: +39 3664968257
Simone: +39 3458269039
Instagram: followmi_around