Liguria da scoprire – Alla ricerca delle ribelli sul Monte Turchino (GE)

La natura selvaggia ha da sempre affascinato gli uomini, senza però mai smettere di intimorirli, anche quando si prodigavano nel tentativo di comprenderla e renderla a loro meno ostile. Il selvatico è da sempre riconosciuto come l’animale che vive in libertà, che risponde alle sole leggi della natura sottraendosi a quelle dell’uomo. Ancor più affascinanti sono le storie in cui la dimensione selvatica non appartiene per diritto di nascita, ma viene riconquistata spezzando le catene della domesticazione.

L’entroterra genovese è stato ed è tuttora il teatro di una di queste storie di liberazione dal giogo dell’uomo e l’escursione qui proposta si addentra nei luoghi protagonisti della curiosa vicenda.

Prendete quindi posto, si spengano le luci ed entrino in scena gli attori.

Un fitto bosco si estende ai piedi del Monte Turchino; in lontananza il porto di Genova Voltri

Località “Giutte”, fine anni Novanta

Tutto ha inizio in questo sparuto gruppo di case abbarbicato sul versante mediterraneo del Monte Turchino, nel territorio di Mele, a sua volta piccolo comune sito alle spalle di Genova Voltri. Campi, pascoli e vecchie cascine dipingono un tipico paesaggio agreste, eroso dall’inesorabile avanzare del bosco.

Un giorno come tanti, il proprietario di una delle locali aziende agricole si sveglia con una brillante idea. Non c’è tempo da perdere e, recatosi di buon mattino agli uffici preposti, avvia tutte le pratiche necessarie per accedere a dei fondi europei. La richiesta va a buon fine e l’azienda riesce così a ottenere un cospicuo finanziamento per il mantenimento di una mandria di circa settanta vacche, oltre ad alcuni tori, di razza mista (Limousine, Pirenaica, Sarda…chi più ne ha più ne metta). La gestione dell’allevamento rientrava pienamente nell’ambito di un ambizioso progetto, mirato al contrasto e alla prevenzione degli incendi. I fondi vennero quindi concessi perché garantire la presenza stabile di bestiame al pascolo significava favorire la conservazione di un sottobosco pulito. Di certo un’iniziativa lodevole, segno di grande bontà d’animo, almeno così verrebbe da pensare.

Ma si sa, l’occasione fa l’uomo ladro e purtroppo la mandria si rivela essere un semplice espediente per ricavare denaro. Infatti, alcuni anni dopo, in seguito a indagini della magistratura su maltrattamenti e cattiva gestione del bestiame, i finanziamenti europei vengono bloccati. Scoperchiato il Vaso di Pandora si scatena una serie tragicomica di rimpalli e passaggi di mano, nel tentativo di definire il destino delle malcapitate vacche.

In prima istanza la loro tutela viene affidata al comune di Mele, anche per cercare di salvare il nobile progetto di manutenzione dei boschi in ottica antincendio, ma la parentesi pubblica ha vita tristemente breve. L’onda d’urto provocata dalla crisi finanziaria del 2008 si abbatte inevitabilmente anche sull’Italia e nel 2010 l’amministrazione di Mele dichiara di non essere più in grado di gestire l’allevamento per sopraggiunte difficoltà economiche, così da rendere necessario l’ennesimo intervento della magistratura. A quel punto è ormai chiaro a tutti come alla tutela della mandria non sia interessato più nessuno, per non parlare della manutenzione del bosco.

L’area un tempo adibita al pascolo della mandria, oggi completamente invasa dalla boscaglia

Urge qualcuno che risolva l’annosa questione e chi meglio del Tristo Mietitore è in grado di mettere la parola fine? A convocarlo è il Pubblico Ministero alla guida del caso, il quale emana un ordine di cattura delle “vacche delle Giutte”, decidendo per il loro trasferimento in un macello in Lombardia.

La storia continua…

Qualche lettore potrebbe pensare che la storia sia amaramente giunta al termine…niente affatto, meglio riprendere posto perché la commedia ha ancora molto da dire. Infatti, alcuni personaggi sembrano non gradire l’epilogo proposto e, gettato il canovaccio, decidono di riscriverlo. Ferite di beffa, fioriscono di beffa.

Infatti, proprio beffardamente alcune vacche riescono a sfuggire alla cattura, abbattendo le vecchie recinzioni e dileguandosi nei boschi circostanti di fronte agli sguardi attoniti degli agenti dell’allora Polizia Provinciale, oggi Polizia Metropolitana, domani non si sa. Mancano numeri precisi ma i testimoni presenti parlano di almeno 5-6 esemplari scappati, per di più comprendenti due tori.

La vicenda torna quindi nelle mani dell’ormai spazientito PM e per presunte ragioni di sicurezza viene emanato l’ordine di abbattimento degli esemplari maschi e rinnovato quello di cattura dei restanti capi. Correva l’anno 2011 e da allora ci si aspetta che tutto sia stato risolto, ma la realtà è invece ben diversa. Fin da subito l’operazione di abbattimento e cattura si rivela ben più complessa di quanto immaginabile e immaginato.

A determinare la difficoltà dell’intervento contribuiscono diversi fattori, quali la natura aspra del territorio, la dimensione degli esemplari in questione e il loro comportamento estremamente elusivo ed errante. Nonostante alcuni abbattimenti legali, i bovini sono riusciti a riprodursi con successo in più di un’occasione e ad oggi si stima vaghi libera almeno una decina di esemplari, suddivisi in piccoli nuclei comprendenti almeno un maschio e frequentanti i boschi dei due versanti, padano e ligure, del Monte Turchino.

Pascoli naturali lungo i crinali posti oltre il limite superiore della vegetazione arborea

Terminato il racconto e ripercorsi i fatti salienti di questa storia, in una chiave sicuramente romantica ma comunque rigorosamente fedele a quanto realmente accaduto e riportato dai vari protagonisti, si può dunque fare ritorno all’attualità con maggior cognizione di causa.

L’incontro con la “popolazione” durante l’escursione

Difatti, l’escursione non offre unicamente l’occasione di volgere lo sguardo al passato e rivivere ciò che è successo, ma consente anche di perlustrare il territorio alla ricerca di questi bovini e soprattutto di affrontare, in modo scientifico ma accessibile a tutti, le possibilità di studio, gestione e conservazione della popolazione “ribelle”.

Nel territorio di Mele non tutte le vacche sono ribelli

Una volta in cammino, lungo i sentieri sarà possibile imbattersi in una traccia dei bovini, per esempio una fatta fresca o un’impronta. Il loro ritrovamento permetterà di introdurre il tema dello studio e monitoraggio di una popolazione che raramente si riesce a contattare e sulla quale è difficile ottenere informazioni precise riguardanti distribuzione e status. Studiare una specie elusiva non è mai semplice e richiede la definizione di uno schema di campionamento essenzialmente fondato su metodi d’indagine non invasivi. Tra questi si annovera senz’altro la selezione di una rete di transetti, ovvero percorsi coincidenti con sterrate, sentieri e tratturi facilmente individuabili.

Lungo ognuno di essi viene presa nota di tutti i segni di presenza della specie e dei suoi potenziali competitori e predatori (escrementi, impronte, vocalizzazioni, avvistamenti diretti etc…). Solo apparentemente un qualsiasi sentiero può sembrare privo di vita animale, perché in realtà è un micromondo esplosivo, una miniera a cielo aperto ricca di informazioni preziose che ogni specie lascia al suo passaggio e che bisogna solo imparare a riconoscere e interpretare.

Impronta di vacca rinvenuta nel fitto della boscaglia ai margini del sentiero

Ma un campionamento efficace necessita di più metodi complementari tra loro. Quale altro metodo adottare? Il foto-video-trappolaggio rappresenta certamente una seconda soluzione molto informativa e di minimo impatto ambientale.

Proseguendo l’escursione si incontreranno diversi siti ideali per la messa in loco di una fototrappola, garantendo l’opportunità di affrontare a più riprese le modalità applicative della tecnica. Un singolo scatto è un dato che si estende attraverso il tempo e fornisce indicazioni che superano la sola identificazione della specie, includendo anche l’identificazione individuale, l’età, il sesso e diversi dettagli comportamentali. L’utilizzo di queste fotocamere risulta pertanto molto utile per capire come e quando una specie, una popolazione o un singolo nucleo di esemplari si muove all’interno del proprio habitat.

Ampio incrocio tra sentieri nel bosco, un sito ideale dove posizionare una fototrappola
Fototrappola con apposite cassetta e catena antifurto

A questo punto sorgono spontanee alcune domande: quali caratteri ci aspettiamo di riscontrare, adesso e in futuro, in questa piccola popolazione di bovini? La conquistata libertà avrà delle ripercussioni?

Le ipotesi attualmente in gioco, in attesa e nella speranza di essere o meno validate da un progetto di ricerca, affondano le loro radici in un terreno per nulla profondo e fertile. Infatti, il substrato conoscitivo a disposizione risulta decisamente parziale, nonostante più fonti contribuiscano alla sua costruzione.

Alcune indicazioni utili possono essere estrapolate dall’analisi della storia evolutiva della linea filetica dei bovini, a partire dai primi episodi di addomesticamento avvenuti circa 10000 anni fa in Medio Oriente. Altri elementi possono invece emergere dal confronto con alcune specie selvatiche del continente asiatico come il Gaur e il Banteng. Purtroppo anch’esse sono ben poco conosciute, oltre che drammaticamente a rischio estinzione a causa di fattori antropogenici quali la riduzione e frammentazione dell’habitat, la persecuzione diretta e la competizione con il bestiame.

Infine, le rare osservazioni e registrazioni effettuate restituiscono l’immagine di esemplari divenuti sorprendentemente agili, principalmente in virtù di dimensioni inferiori a quelle di un capo d’allevamento, estremamente elusivi e schivi e prevalentemente attivi durante la notte. L’oscurità delle ore notturne potrebbe favorire l’utilizzo indisturbato di campi e zone coltivate, siti di foraggiamento di elevata qualità.

Molti meno dubbi circondano le possibili modifiche alla dieta delle vacche “ribelli”. Tenendo conto delle caratteristiche vegetazionali dell’area è piuttosto semplice immaginarsi un ampliamento del range trofico della popolazione; da pascolatori obbligati ad abili fruitori di tutte le risorse che l’habitat gentilmente offre.

Un raro e fugace incontro con le “vacche delle Giutte”

Il conflitto con l’uomo

In ultima analisi non rimane che affrontare l’argomento del conflitto con l’uomo. Lungo il sentiero del ritorno non mancherà l’occasione di passare accanto ad alcune delle proprietà private e delle attività locali, in primis agriturismi e aziende agricole, che negli ultimi anni hanno denunciato numerosi danni a coltivazioni e recinzioni (anche elettrificate). L’assoluta mancanza di una qualche garanzia di risarcimento e/o contributo per la messa in opera di strumenti di prevenzione non ha fatto altro che esacerbare le tensioni, sfociate in diversi tentativi di farsi “giustizia” illegalmente. L’ultimo episodio risale alla fine del 2017, quando avvenne il ritrovamento in un dirupo della carcassa di uno dei tori adulti della popolazione, privato della testa e già in stato di decomposizione.

La ricerca di una soluzione non può che partire dall’adozione di un approccio multilaterale, che sappia contemplare le diverse istanze e le reali esigenze dei numerosi portatori di interesse, al fine di individuare una possibile convergenza tesa alla pacifica convivenza. Prevedere una sosta presso una delle aziende agricole si inserisce perfettamente in quest’ottica, fornendo sia la possibilità di ascoltare la testimonianza diretta dei titolari sia la ghiotta occasione di gustare alcuni prodotti locali di assoluta qualità.

Campi e pascoli gestiti di una delle numerose aziende agro-zootecniche che punteggiano i versanti del Monte Turchino

Questa singolare vicenda si inserisce in un momento storico particolarmente turbolento in tema di convivenza uomo-fauna selvatica, e anche se di risonanza mediatica inferiore perché estremamente localizzata, non manca di complessità.

La questione offre alla società una nuova occasione in cui mettersi alla prova, favorendo l’abbandono della logica utilitaristica della natura per puntare alla formazione di una coscienza diffusa, popolare e scientificamente fondata in grado di facilitare la nostra convivenza con le altre specie animali, siano esse predatori o prede. Per rendere possibile questa convivenza è necessaria una buona conoscenza della situazione e una ancor migliore informazione e divulgazione della stessa. Tutto ciò non può esistere se non all’interno di un serio progetto di ricerca mirato alla conservazione e gestione della popolazione bovina.

Una corretta divulgazione scientifica si può e deve fare anche fuori da aule e convegni. In questo senso i sentieri di montagna possono rappresentare una cornice ideale in cui rendere una semplice escursione un percorso d’informazione e sensibilizzazione.

Trasmettere dei concetti chiave, non mediante una lezione frontale ma tramite il coinvolgimento diretto dei partecipanti può risultare un’operazione efficace, sicuramente non semplice, ma proprio per questo stimolante e meritevole del massimo impegno di una guida.

Se siete interessati alla scheda tecnica dell’escursione o se volete avventurarvi alla ricerca delle “ribelli” con me non esitate a contattarmi!


LUCA CAVIGLIA – Hike&Climb
Sono Luca Caviglia, Accompagnatore di Media Montagna iscritto al Collegio delle Guide Alpine del Piemonte e membro del gruppo di accompagnatori e guide alpine “Hike&Climb Liguria”.
Nato a Genova nel 1991, mi sono prima laureato in “Scienze Naturali” presso l’Università degli Studi di Genova e successivamente ho conseguito il titolo Magistrale in “Evoluzione del comportamento animale e dell’uomo” presso l’Università degli Studi di Torino, con specializzazione in ricerca e gestione di carnivori e ungulati.
Amo la montagna in tutti i suoi molteplici aspetti e ogni mia escursione vuole essere una tavolozza piena di colori, con cui dipingere insieme ai partecipanti le meraviglie del nostro territorio.

RIFERIMENTI E CONTATTI
Sito: hikeandclimb.it
E-Mail: info@hikeandclimb.it – lcaviglia91@gmail.com
Instagram: @luca_cailean

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