Un lungo corridoio di roccia

È mattina. Esco dal sacco a pelo, apro la tenda e vedo il sole spuntare tra i monti della Val di Susa mentre, fornello alla mano mi preparo la colazione. Si prevede una calda giornata, forse fin troppo, ma questo non ci scoraggerà dal fare quello per cui siamo qui.
Finisco di mangiare, mi vesto, prendo lo zaino preparato la sera prima; c’è tutto: moschettoni, imbrago ed elmetto. Salgo in macchina e mi dirigo verso il centro di Bussoleno dove ho appuntamento con il mio amico Alessandro per un rapido caffè insieme prima di affrontare questo fantomatico corridoio. Ripartiamo ed arriviamo nella piazza della frazione di Foresto; qui lasciamo la macchina, ci attrezziamo e ci avviciniamo all’Orrido che inizia di lì a poche decine di metri.
Un anfratto di roccia lungo centinaia di metri, formato dalla lenta azione di un corso d’acqua (il Rio Rocciamelone) che si è fatto strada nella montagna per migliaia e migliaia di anni.
Le rocce che ci troviamo davanti sono principalmente calcescisti: rocce metamorfiche con aspetto stratificato di colore grigio-verdastro, originatesi da processi di metamorfismo dinamo termico di rocce ofiolitiche. In alcuni punti, la roccia presenta la particolarità di assumere caratteri di un marmo; questo perché in certi punti diminuisce la componente silicatica della roccia in favore di quella carbonatica.
Ci tengo a ricordare che questo non è un semplice sentiero escursionistico ma una via ferrata, per cui, vi rimando al mio articolo sulla Via ferrata della Sacra di San Michele per leggere qualcosa a proposito dell’attrezzatura necessaria per la percorrenza di questa tipologia di itinerario.
Due bastioni rocciosi si parano davanti a noi. Tra essi, si intravedono in una leggera penombra, le pareti verticali che si inoltrano nelle profondità di questo canyon metamorfico.

Quasi come se stessimo entrando in una cattedrale, in silenzio e con ammirazione, attraversiamo i bastioni camminando lentamente, con uno strano senso di venerazione, alzando sempre più lo sguardo verso le sommità rocciose man mano che avanziamo, come se una volta affrescata si illuminasse a poco a poco sopra di noi.
Siamo dentro la gola. Procediamo guadando il torrente una prima volta e dopo aver proceduto sulla sinistra orografica torniamo a guadarlo tornando sulla sua destra (la nostra sinistra); la striscia di cielo sopra di noi si fa sempre più stretta e le due pareti si fanno più ravvicinate.

Siamo all’attacco della via. Facile direi; iniziamo sul lato sinistro del canyon camminando su sporgenze rocciose; man mano che andiamo avanti la verticalità delle pareti si fa via via maggiore e il sentiero via via più alto finché arriviamo al primo ponte sospeso: un ponte che porta sulla parete opposta dell’orrido, composto di quattro cavi di cui uno in basso per i piedi, due ai lati per le mani e uno posto sopra la testa, a cui agganciare i moschettoni della longe.
Questo ponte non è molto lungo, men che meno alto, tuttavia sa regalarci un buon momento adrenalinico, soprattutto quando ne arriviamo al termine.
Non appena si arriva sulla parete opposta, ci si rende conto di quanto questa sia verticale…maledettamente verticale; gli unici appoggi per i piedi e per le mani sono le staffe in acciaio poste alla nostra sinistra; meglio mantenersi calmi e concentrati mentre si spostano i moschettoni sul cavo che segue la parete. A questo punto mi metto in sicurezza, mi fisso con un rinvio e attendo Ale che in questo momento sta iniziando a percorrere il ponte. Ne seguo i movimenti, do qualche consiglio ogni tanto ma non troppi per non distrarlo.
Una volta che ci troviamo entrambi appesi alla parete tipo due Spiderman che se la credono un po’ troppo, proseguiamo pancia al muro.

Da qui possiamo apprezzare il torrente che scorre sotto di noi, la prima cascata e parte dell’itinerario seguente che si snoda tra le rocce. Pochi metri ed eccoci a dover affrontare un secondo ponte sospeso, più breve e stabile del primo e che perciò superiamo con una certa scioltezza.

Avanziamo sulla destra orografica del torrente fino a ritrovarci davanti la seconda cascata dell’orrido. Leggermente più in basso della via, l’acqua caduta ha formato una conca, nella quale scendiamo per scattare un paio di foto. Dopo aver passato qualche minuto ad ammirare ciò che ci sta intorno riprendiamo la via. Quello che ci aspetta è uno dei tratti più interessanti di questo itinerario: la via decorre totalmente in verticale appena a fianco alla cascata, con tratti leggermente
Ci agganciamo al cavo a seguiamo di nuovo la roccia fino ad arrivare ad uno spigolo che cela il tratto successivo.
Aggirato questo spigolo, procediamo ancora qualche metro e ci ritroviamo in una zona molto più aperta, l’orrido si sta iniziando ad allargare. Ci sganciamo dal cavo visto che siamo in una zona sicura in cui si può camminare a piedi e ammiriamo quel che ci troviamo davanti: alla nostra sinistra ci appare una cascata altissima che va ad alimentare il rio mentre alla nostra destra, sull’altra sponda del torrente, si manifesta una parete totalmente verticale al termine del quale svetta un ponte sospeso che porta sulla parete opposta.
Scattiamo un po’ di foto dal basso ed iniziamo ad inerpicarci sulla parete che a tratti diventa leggermente strapiombante inducendoci così a sfoderare tutte le nostre abilità tecniche. Arrivati in cima ci fissiamo al ponte e da qui possiamo ammirare la cascata in tutta la sua altezza, dal punto in cui nasce, fino a terra.
E facciamole due foto! Ci fissiamo in modo statico al ponte e iniziamo a scattare qualche foto da appesi come fanno i professionisti. Questa cosa ci gasa parecchio.
La terza cascata Poco fa eravamo laggiù…
Giunti all’altra estremità del ponte, la via prosegue per un tratto molto facile in mezzo alla vegetazione, l’ideale per riposarci ed affrontare il tratto successivo. Usciti dal boschetto, eccoci a dover fare un traverso che man mano si alza arrivando quasi a toccare la quarta ed ultima cascata davanti a noi, superata la quale, inizia la parte finale della ferrata: il tratto di uscita dall’orrido il quale ricorda vagamente una via alpinistica.

A questo punto iniziamo a procedere su un diedro appoggiato che si estende per quaranta metri circa lateralmente al decorso del Rio Rocciamelone, andando così a terminare il suo percorso in un sentiero attrezzato che ci porta al termine dell’itinerario. Lungo questo tratto, guardando al lato opposto dell’orrido scorgiamo un panorama affascinante: immense pareti rocciose che sembrano così vicine da poterle toccare con mano.
Il particolare metamorfismo avvenuto in loco, conferisce alla roccia un particolare aspetto dinamico, quasi fluido; sembra quasi che le rocce si stiano muovendo per mutare forma.
Rocce mutaforma Il circondario all’uscita dal canyon
Da qui in poi inizia il sentiero di discesa che ci riporta in piazza a Foresto, tuttavia i pregi naturalistici non sono ancora finiti. Il sentiero di discesa attraversa una delle oasi xerotermiche della Val di Susa, aree che per via del clima generalmente caldo secco ospitano specie inconsuete per la regione.
In questo SIC (Sito di Interesse Comunitario, e quindi area protetta, mannaggia a voi se staccate o portate via qualcosa), troviamo una sottospecie di ginepro rosso, chiamata ginepro coccolone (Juniperus oxycedrus macrocarpa) la cui presenza ci racconta la storia climatica della terra durante le ultime migliaia di anni; infatti, questa è una specie tipica della fascia costiera della zona mediterranea. Ma Cosa ci fa da queste parti?
All’incirca 7000 anni fa, in seguito a oscillazioni climatiche postglaciali, il clima caldo temperato tipico della fascia costiera mediterranea arrivò ad estendersi fino alla zona delle Alpi, con conseguente regressione dell’areale di specie tipiche di climi più freddi e un’espansione dell’areale di specie tipiche di climi più caldi.
Quando il clima cambiò fino a diventare come lo conosciamo oggi, gli areali delle specie vegetali cambiarono nuovamente in funzione della temperatura, in senso opposto a quanto successo in precedenza, tuttavia, sui versanti rivolti a Sud-ovest delle zone di Foresto e dintorni, rimasero piccole zone con un clima più caldo rispetto a quello generale delle Val di Susa. Questo permise ad alcuni individui di ginepro coccolone di sopravvivere e riprodursi fino ai giorni nostri.
Il clima anomalo di queste aree, permette la sopravvivenza di altre specie interessanti quali la lavanda vera (Lavandula angustifolia), l’ononide minuscola (Ononis pusilla), la fumana ericifolia (Fumana ericoides) e una particolare specie di felce detta felce odorosa (Cheilanthes acrostica). Sono presenti specie di orchidee quali la cefalantera rossa (Cephalanthera rubra) e il fior di legna (Limodorum abortivum).
In questo ambiente non è raro fare interessanti osservazioni ornitologiche quali la poiana (Buteo buteo), il gheppio (Falco tinnunculus), lo sparviere (Accipiter nisus), il biancone (Circaetus gallicus) e il passero solitario (Monticola solitarius).
Ora, dopo aver percorso l’orrido ed essere tornati alla base passando per un versante senza un filo d’ombra, Ale ed io siamo assetatissimi ed affamatissimi per cui, per oggi basta con le escursioni e le osservazioni naturalistiche; prossima fermata, un bar con una bella birra ghiacciata.
Questo articolo è dedicato a tutti gli abitanti della Val di Susa che da anni continuano a battersi per la difesa del loro ambiente che in fin dei conti, è l’ambiente di tutti.
Ciao a tutti, mi chiamo Matteo, e la natura è sempre stata una parte fondamentale della mia vita. Questa passione mi ha accompagnato durante la mia crescita, finché non è sfociata in determinazione nel volerla trasformare in una professione. Ho frequentato così un percorso universitario a tema ambientale naturalistico che mi ha dato modo di ampliare ed approfondire nel modo migliore le mie conoscenze in materia e, successivamente, spinto dal voler trasmettere le sensazioni che la natura può regalare, sono diventato guida escursionistica. Inoltre, faccio parte dell’associazione Docet Natura e collaboro con ASD La Ventura. Provo un’immensa soddisfazione nel vedere i sorrisi e gli sguardi pieni di meraviglia nelle persone che scoprono la maestosità di piccoli fenomeni naturali, a loro poco prima sconosciuti.
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