Veneto delle meraviglie – “I Vicentini son magna gati!”

Veneziani, gran signori,
Padovani, gran dottori,
Visentini, magna gati,
Veronesi, tuti mati”….

E la filastrocca, che crediamo la maggior parte di voi abbia sentito almeno una volta nella vita, continuerebbe elencando altre città del Veneto e fuori dal Veneto… ma oggi desideriamo soffermarci sulla nota leggenda che descrive gli abitanti di Vicenza come appassionati degustatori di felini. Dove finisce la realtà e inizia la favola? Da dove proviene questo modo curioso di descrivere i Vicentini? Cominciamo con il chiarire che prove certe sulle varie origini di tale nomea non esistono. Di tutte le versioni leggendarie quella con cui ci piace iniziare il nostro racconto chiarisce come i gatti siano giunti a Vicenza. E a buon ragione è necessario partire da qui, perché prima di mangiarli si devono per forza trovare e catturare! Il compianto scrittore vicentino Virgilio Scapin racconta, forse con una punta di ironia, che i gatti siano giunti a Vicenza attratti dal buon odore del baccalà, del quale nel precedente articolo abbiamo narrato la storia.

Una foto ironica relativa alla questione di cui parleremo in questo articolo!

Eppure… manca ancora un passaggio: d’accordo, i gatti potrebbero anche essere giunti nella città perché attratti dal baccalà, ma come si è arrivati a nutrirsene? Leggendo le varie teorie, la più nota, e ahi noi!, comunemente segnalata, denuncia la povertà della popolazione, soprattutto durante le guerre. Se così fosse, allora dovremmo ricordare che anche in altre città della nostra bella penisola ci sono documenti che riportano il consumo di carne di gatto durante guerre e carestie, tant’è vero che una circolare del Ministero dell’Interno, datata 1943, vietava a tutti gli Italiani, e sottolineiamo a tutti gli Italiani, di uccidere i gatti per scopi alimentari e invitava a lasciarli proliferare al fine di scongiurare le invasioni di topi. Eppure, nonostante comprovate e ben archiviate documentazioni nazionali, questa “scomoda” etichetta è rimasta attaccata solo ai Vicentini. Quindi deve esserci dell’altro. Lasciamo da parte le leggende legate alle invasioni di topi a Vicenza e ai fattacci avvenuti tra Vicentini e Padovani durante la Lega di Cambrai (1509) (Ah, il campanilismo e le rivalità tra città vicine! Nessuna regione ne è priva!), su cui potete facilmente recuperare tutto in internet. Proviamo invece a concentrarci su eventi reali e più consolidate testimonianze.

La prima affascinante origine potrebbe derivare dal visitatore francese Jerome Lalande, astronomo, che nel 1765 visitò Vicenza e la descrisse come città abitata da “montanari selvatici e violenti”, facili alle armi e pronti a “sistemare le questioni” … uccidendo gli avversari. A conferma di ciò, i dati relativi a quell’anno attestano che gli omicidi erano stati ben 300 su una popolazione di circa 200mila abitanti, quindi 1 omicidio ogni 660 abitanti circa, rapporto ben più alto, segnalano le fonti, di quello attuale! Questa inclinazione alla violenza della popolazione vicentina veniva all’epoca descritta con l’espressione “vicentini cani e gatti”, ossia litigiosi tra loro… Versione interessante, da non trascurare. Ma andiamo avanti.

Un’altra ipotesi, quella probabilmente più credibile, si fa risalire al dialetto veneto. Si sa, i popoli si riconoscono dal loro linguaggio, e di conseguenza i “magna gati” devono avere per forza derivato la fama dalla lingua locale. E qui ci viene in soccorso lo studioso di cultura veneta Emilio Garon che appoggia la teoria, già nota nel passato, della probabile derivazione del termine “magna gati” dalle parlate locali e, nello specifico, dall’espressione “hai mangiato” che in padovano suona “gheto magnà”, in veneziano “ti ga magnà” e nel dialetto vicentino arcaico “gatu magnà”. E da quest’ultimo il passo al “magna gati” è davvero breve! Perché gli abitanti delle altre città venete, rivali di Vicenza, cominciarono a sbeffeggiare la popolazione berica indicandoli appunto come “magna gatu”. Sull’ampio e variegato uso di “magna” nella nostra lingua, e in particolare nella lingua veneziana, e per un approfondimento di quanto narratovi fin qui rimandiamo al divertente articolo in La Domenica di Vicenza:
http://ladomenicadivicenza.gruppovideomedia.it/a_ITA_1540_2.html

Nonostante l’aver nominato il “gato in tecia” sia costato la sospensione dagli schermi televisivi di un celebre gastronomo, che ha vantato pubblicamente, e forse ingenuamente, i valori nutrizionali del nostro amico felino, desideriamo rassicurarvi sul nostro amore per i gatti, tanto profondo che qualcuno a Vicenza ha deciso di aprire un CatCafè chiamato Neko, che in giapponese significa appunto ”gatto”: NekoCatCafè è la prima caffetteria del Veneto ad essere abitata da graziosi felini ed essere aperta agli esseri umani: un connubio perfetto che ribalta tutte le antiche credenze. In questo luogo accogliente e colorato, i gatti sono liberi di circolare e condividono tutto con i visitatori, anche il gustoso aroma del caffè!
Ecco la pagina Facebook: www.facebook.com/nekocafeitalia

Il NekoCatCafè

Prima di lasciarvi però vogliamo consigliarvi una buona ricetta per cucinare il gatto. Sì, sì proprio la celebre ricetta del “gato in tecia” poc’anzi nominata. Riportiamo e sintetizziamo nelle parti salienti, la ricetta da “La Cucina Vicentina”, edizioni Franco Muzzio, così come gli autori, Amedeo Sandri e Maurizio Falloppi, la pubblicano in dialetto, piuttosto semplice da capire, e vi incoraggiamo a procedere solo dopo aver appurato di avere tutti gli ingredienti a disposizione e una buona dose di … coraggio. Per prima cosa, sappiate che è una pietanza invernale, perché “se sa che d’inverno, [il gatto] el zè pi’ grasso ch’in tute le altre stajòn de l’ano …ocore prima de tuto che serchè de vèdare qualo ch’el zè pi’ in carne, sperando de intivàrghene uno che n’ol gài superà i dò ani de età e che la so parona la ve gabia fato on dispeto tempo indrio ”. Questo è un punto fondamentale: cercate sì un gatto di massimo due anni di età e in carne, ma cercate soprattutto il gatto della vicina che, in passato, vi ha fatto un dispetto.

Così, uscite di buonora una mattina, preferibilmente dopo una bella nevicata, cercate il gatto e, dopo averlo steso con un colpo “de s-ciopo”, pulito e messo per otto giorni sotto la neve facendo attenzione che el sia ben coèrto e ch’el can resta ligà a caéna” (al cane avrete comunque già dato la testa della preda), ch’ol zè deventà tènaro, pelélo e lavélo … félo a tochiti e metili in ona piana co na siòla, na carota, na ganba de sèino, on spigolo o do de àjo, el tuto trità … qualche gran de pévare… neghélo de vin bianco pitosto seco, e metilo a marinarse par tuta la note”. La mattina seguente, dopo aver tolto dal vino i pezzi e averli asciugati, fateli rosolare in un “poco de ojo. Co’ i gà ciapà colore cavéli via da l’onto … pestè fina na siòla, on pugneto de parsimolo e on spigolo de àjo … na s-ciànta de buro e ojo, fojete de salvia e on rameto de rosmarin. Lassè sfritegare e po meti rènto i tòchi de gato”. Dopo dieci minuti, versate qualche pomodoro pelato o un po’ di conserva, mischiate con il cucchiaio di legno, aggiungete un bicchiere di vin bianco e uno de rosso, coprite con il coperchio e lasciate sul fuoco per circa un’ora e mezza, due ore, aggiungendo brodo se vedete che si asciuga.  “I tochi de gato” vannopresentati in tavola “col so pocieto e co’ la polenta calda”. Dite agli ospiti che “ze conèjo nostràn … e vedari che rassa de figuròn che fari. Co’ i gà ben magnà e bevù, servighe, insieme co la graspeta, la novità…”. Ovvero, solo dopo che gli ospiti avranno mangiato e bevuto, servendo la grappa migliore, racconterete la verità. La grappa manda giù tutto, come diciamo noi…

La nostra ricetta vi avrà forse scandalizzato, eppure più di qualcuno da queste parti sostiene di aver assaggiato il “gato in tecia” e, comunque sia, si tratta pur sempre di una ricetta di tradizione, una ricetta ideale, perfetta per sbarazzarsi di ospiti indesiderati perché, come conclude l’allegro cuoco veneto, “chea zente là, sèrto, in casa vostra no la tornarà a mètare pi piè e la ve torà il saludo”, ossia quella gente là di certo non metterà più piede a casa vostra e vi toglierà il saluto.

Ma Voi, amici di Posti e Pasti, avrete sicuramente sorriso e la prossima volta che vi chiederanno: “E i Vicentini?”, risponderete: “I Vicentini son tutti magna gati … burloni!”


CHIAVE di VOLTA è un’organizzazione di guide turistiche qualificate, esperte e appassionate, che opera dagli anni ‘90 in Veneto. Ha sempre puntato alla qualità dei servizi offerti e alla ricerca di itinerari meno frequentati e noti. Il gruppo delle guide è coordinato da Deborah Marra, guida accreditata in Veneto da molto tempo. Laureata in Lingua e Letteratura Giapponese, è lei stessa un’instancabile viaggiatrice e, da qualche anno, ha pubblicato anche dei libri, “Vegana? No, chemio” (2016) e “Cupido è guercio” (2020).
Per chi ama visitare città e luoghi artistici accompagnato da una guida professionale, CHIAVE di VOLTA è sicuramente il referente per scoprire, e riscoprire, il Veneto. Consigli e itinerari personalizzabili sono disponibili nel sito www.chiavedivolta.com e nella pagina Facebook  www.facebook.com/deborahmarrachiavedivolta

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