Dove osano le fate
“C’era una volta, in un luogo incantato sospeso tra nuvole e cielo…”
È così che dovete immaginare Casertavecchia: un borgo da favola dove il tempo sembra essersi fermato.

Sergioizzo su Wikipedia
Situata a 400 metri s.l.m. sul pendio del Monte Virgo e a 4 km in linea d’aria dalla famosissima Reggia di Caserta, Casertavecchia costituisce il nucleo originario della città. La posizione in altura sarebbe evocata nel nome stesso: Casa Hirta, abitato posto in posizione erta, ripida.
Lasciata l’auto ai piedi del castello, in prossimità della Cappellina di San Rocco, potrete scegliere tra la strada carrabile a sinistra e il ripido cammino nella pineta di fronte. Il mio consiglio è di prendere la carrabile (Provinciale per Casertavecchia/Via del Seggio) e percorrerla per pochi minuti fino al Belvedere: se siete fortunati e la giornata è limpida, lo sguardo spazierà dalla Reggia al Vesuvio, da Napoli alle isole del golfo.


Dopo aver immortalato il prezioso panorama, prendete la stradina che si apre alle vostre spalle, pavimentata in pietra bianca. Inizierete così a vivere la fiaba: case di tufo giallo e grigio su cui si stagliano rossi gerani, massicci portoni di legno socchiusi, rampicanti coraggiosamente abbarbicati sui muri, il campanile dell’antica cattedrale che vi da’ il benvenuto.

Alla fine della strada giungerete a Piazza del Vescovado, su cui si innalzano a destra la Cattedrale, di fronte la casa Canonica e, a sinistra, il Seminario e il Palazzo Vescovile.
La Cattedrale di San Michele Arcangelo è l’espressione più significativa del periodo di massimo splendore del borgo, a cavallo tra XII e XIII secolo. Costituisce una sintesi preziosa delle componenti culturali presenti nella Campania medievale: la pianta della chiesa è improntata sull’abbazia di Montecassino, mentre l’uso degli archetti pensili è di ispirazione lombarda. Una terza componente, che la rende tanto straordinaria quanto inaspettata, è quella arabo-normanna: si esprime nell’accentuata bicromia e nel motivo degli archi intrecciati del timpano, del tiburio e del campanile.

La facciata è fortemente caratterizzata dalla cromia: il biancore del marmo di Luni dei portali e delle monofore si sublima nel contrasto col paramento murario di tufo giallo e grigio. Sculture zoomorfe e motivi floreali nelle ghiere degli archi impreziosiscono l’insieme.

Varcato il portone centrale, vi ritroverete in un interno ombroso e semplice, dove è potente il dialogo tra il legno delle capriate a vista, il tufo delle pareti e il candore del pavimento lapideo. Non fermatevi sulla soglia, immergetevi nel silenzio e avanzate lentamente fino al presbiterio: qui ammirate il pavimento cosmatesco prima di alzare gli occhi e godervi l’incanto della possente cupola. Tornando sui vostri passati non potrete non notare l’armonia delle 18 colonne di spoglio che dividono le navate. Narra la leggenda che solo l’intervento delle fate dei Monti Tifatini avrebbe reso possibile l’impresa architettonica: sarebbero state loro a trasportare fin lassù le pesanti colonne monolitiche provenienti da antichi siti romani, tra la meraviglia e lo stupore degli abitanti del borgo.
Usciti dalla cattedrale, contemplate l’insieme armonico della Piazza prima di girare a sinistra e passare sotto l’arco gotico su cui si innesta l’aereo campanile: avanzate di qualche metro, poi giratevi a godere della sua struttura slanciata dal sapore arabeggiante.
Procedete lungo Via dell’Annunziata e, in corrispondenza dell’entrata laterale della Cattedrale, sollevate lo sguardo per ammirare la decorazione esterna del tiburio (la struttura che cela la cupola): un capolavoro di cromia in cui motivi geometrici e floreali dialogano con i due piani di archi intrecciati.
Al nr. 1 un cancello vi permetterà di gettare uno sguardo al profilo esterno delle absidi, prima di raggiungere la graziosa Chiesa dell’Annunziata, preceduta da un portico settecentesco. Un portale marmoreo sormontato da stemma nobiliare cela parzialmente la struttura ogivale dell’originario ingresso gotico. L’interno, semplice e unitario, è caratterizzato dal bell’arco di accesso al presbiterio.
Alla fine di Via dell’Annunziata girate a destra e continuate lungo Via della Pineta fino a guadagnare, a sinistra, l’accesso all’area del Castello. Vi si erge l’imponente mastio cilindrico: alto 30 metri, con zoccolo poligonale in calcare e corpo di tufo giallo, è organizzato su tre livelli coperti da volte. Il pianoterra è cieco: restano tracce dell’ingresso al piano superiore accessibile tramite ponte levatoio. Il passaggio alla sala superiore avveniva tramite una scala in pietra ricavata in spessore di muro, mentre il vano inferiore era raggiungibile solo per mezzo di una botola. Intorno al mastio restano strutture architettoniche di diversa cronologia.

Prendete infine il sentiero ai piedi del mastio e vi troverete su uno spiazzo panoramico: da qui, potrete scegliere di scendere a sinistra attraversando la pineta per riguadagnare la Cappellina di San Rocco oppure, opzione consigliata, indugiare ancora un po’ nel borgo. Perdetevi nelle stradine dagli scorci incantevoli, immortalate gli angoli più caratteristici e fermatevi a mangiare in uno dei ristorantini che avrete incontrato. Tra le tante specialità della cucina locale una menzione speciale merita il suino nero casertano, chiamato anche “pelatello” per la totale assenza di setole. Di colore grigio ardesia, il maialino risulta particolarmente gustoso per l’abbondante tessuto connettivo intramuscolare, che rende le carni sapide e morbide. La ricchezza di grasso addominale è ideale per la produzione della sugna (strutto), frequentemente utilizzata nelle specialità da forno campane (taralli, tortano) e con cui si conservano le “salsicce sotto sugna” del casertano. Consumato fresco sotto forma di costatelle e tracchie (spuntature), vi si confezionano anche pregiati salumi locali (prosciutti, capocolli, pancette e soppressate) che troverete in abbinamento ai prodotti caseari degli allevamenti della zona: mozzarella, ricotta e scamorza di bufala.
In certi periodi alcuni dei ristoranti del borgo includono nel proprio menù la Mnestra Mmaretata (minestra maritata): il nome allude allo sposalizio culinario tra la verdura e la carne. Si tratta di una pietanza tipica dei pranzi di Natale e Pasqua, in cui le donzelle vegetali (scarola, cicoria; verza e borragine) “si maritano” con virili tagli di suino solitamente poco pregiati, come spuntature e salsicce. Pane tostato o i tradizionali scagliuozzi (frittelle di farina di mais) sono gli “inviati” al lieto evento e completano il piatto… Evviva gli sposi!

Laureata in Conservazione dei Beni Culturali, specializzata in Architettura Medievale, opero da 15 anni nell’ambito della divulgazione del patrimonio storico-artistico, archeologico e architettonico.
Collaboro con agenzie e tour operator nazionali e internazionali, curo la progettazione di itinerari tematici e negli ultimi anni mi sono concentrata sul segmento dei viaggiatori individuali: piccoli gruppi, coppie, famiglie.
Conduco visite guidate nei siti più noti della Campania: Napoli, Pompei, Ercolano, Caserta, Capri, Costiera Amalfitana, Salerno e Paestum, in lingua italiana, francese, inglese e spagnola.
Ho un interesse particolare per la legislazione del Turismo e dei BBCC e ho ricoperto il ruolo di Segretario Nazionale dell’Associazione GTI-Guide Turistiche Italiane”.
PAOLA ARTIZZU
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[…] A sinistra si indovina la sagoma del duomo vecchio, risalente alla fine del X secolo, corrispondente all’attuale Basilica del Crocifisso. A completare l’insieme si erge il massiccio campanile nella cui cella ritorna il motivo degli archi intrecciati, arricchiti da embrici maiolicati verdi e gialli. Potreste avere una sensazione di déjà vu se conoscete la cattedrale di Casertavecchia. […]