Una montagna tra due mari
Il mio articolo di oggi non parla di percorsi estremi in luoghi impervi ma di posti la cui bellezza ci può lasciare incantati anche rimanendo coi piedi per terra.
Sulla costa atlantica francese esiste un posto che io definisco assurdo; assurdo per come è fatto, assurdo perché si trova proprio li, assurdo per il quadro che crea con ciò che gli sta intorno. Ma se stiamo a vedere, le cose assurde molto spesso sono le più belle.
Sto parlando della mitica Duna di Pilat, situata nella regione della Nuova Acquitania, qualche chilometro a Sud di Archachon nel comune di La Teste de Buch.
Questa duna è un gigantesco deposito sabbioso lungo tre chilometri, largo cinquecento metri e alto diverse decine di metri al limite di una pianura boscosa. Assurdo eh?
Venni a conoscenza di questo luogo casualmente, dopo una altrettanto casuale ricerca in internet di qualcosa che non ricordo, durante un noiosissimo giorno d’inverno. Un posto simile stupisce già solamente nel vederlo su uno schermo e sapere che esiste davvero, figurarsi cosa può suscitare nel vederlo dal vivo. Immediatamente, nacque il mio desiderio di vederla di persona e mesi dopo, appena ci fu l’occasione, mi imbarcai in un viaggio on the road a bordo della mia Punto.
Durante la fase finale di questo road trip arrivai in una regione situata nella parte settentrionale della Nuova Acquitania in prossimità dell’oceano: Le Parc naturel régionale des Landes de Gascogne. Questa regione, totalmente pianeggiante, sulle mappe satellitari appariva completamente colorata di verde: una vasta regione totalmente boscosa appena prima dell’oceano. La foresta amazzonica?
Uscendo dalla regione della Linguadoca mi inoltrai in questa regione e subito ne apprezzai le particolarità: la civiltà scompare quasi del tutto, le strade si fanno quasi completamente dritte e attraversano distese immense di campi in cui sono piantate conifere da legna. Questo paesaggio, nonostante le apparenze non ha un’origine naturale; gli alberi sono piantati in perfette file e di tanto in tanto si passa davanti a terreni totalmente rasati. Tuttavia, esercita comunque un suo fascino. Queste immense fustaie creano un’atmosfera selvaggia; sembra di guidare attraverso una taiga in cui, all’incrocio di quelle poche strade, sorgono alcuni paesini che altro non sono che un ammasso di case, un alimentari e una piccola chiesa.
Questo è quello che ho visto per ore e ore dalla macchina Un mucchio di case e il paese è belle che fatto
Dopo averne attraversati un paio, decido di pernottare nel più grosso in cui mi imbatto: un piccolo paese chiamato Sore che sembra quasi costruito nel bosco. Le poche case si fondono col paesaggio circostante in modo armonioso e non esiste un confine netto tra paese e periferia. Dentro questo paese si perde la cognizione dello spazio: non sembra di essere a pochi passi dall’oceano; sembra di essere in qualche foresta pedemontana.
Piazzo la tenda in un campeggio pubblico e faccio un giro per il paese. Trovo già tutto chiuso, anche l’unico bar del paese dove speravo di poter bere una birra. A quanto pare ci sono meno persone di quanto pensassi e le poche che riesco ad incontrare non conoscono una parola di inglese, perciò, mi tocca fare del mio meglio con quel poco di francese che so.
La piazza del paesino di Sore Una chiesetta dall’aspetto curioso
Alla sera regna il silenzio più totale e provo quasi invidia per le persone che abitano in questo luogo. Solamente in mezzo ad un bosco si può trovare una tranquillità simile. Un posto ideale per praticare yoga.
Al mattino smonto tutto, mi rimetto in marcia alla volta dell’oceano, mi lascio alle spalle il paesino di Sore e torno ad immergermi nel boschi sconfinati.
Man mano che mi avvicino all’oceano, noto che la vegetazione intorno a me sta iniziando a cambiare; il paesaggio si fa più selvatico: i boschi sono sempre meno perfetti, i tronchi sono sempre più curvi, le specie di piante iniziano a variare ed il sottobosco si fa sempre più affollato di arbusti e di felci.

Senza che la boscaglia accennasse a diminuire di densità e copertura, raggiunsi la tanto agognata strada perpendicolare alla mia: la strada che decorre lungo la costa atlantica.
Raggiunsi il parcheggio posto subito alle spalle della duna in corrispondenza della sua estremità settentrionale e dopo essermi ripreso dal viaggio mattutino, essermi rifocillato ed aver preparato lo zaino con l’indispensabile per la giornata, mi avviai verso il sentiero che porta al mare. Il parcheggio è ancora immerso nella vegetazione per cui, da questa posizione, la duna la si sta ancora immaginando e l’adrenalina sale.
Il sentiero è affollato da persone di moltissime nazionalità. camminando perdo il conto di quante lingue diverse sento parlare, inoltre sono presenti invitanti casette adibite a punto vendita di roba da mangiare.
Eccola. Si parò davanti a me un muro di sabbia gigantesco. Mi fermai qualche minuto ad osservarlo e a scattare qualche foto.

L’estremità settentrionale della duna è quella dove si concentra la maggior parte dei visitatori e per facilitarne l’accesso alla sommità c’è una rampa. In alternativa alla rampa, l’arrampicata verso la cima è discretamente impegnativa dato che si affonda nella sabbia fin sopra le caviglie.
Optai per il metodo più fisico ed arrivai alla sommità. Che dire…uno spettacolo. Da qui si può osservare il panorama a 360 gradi e si nota come la duna sia letteralmente schiacciata da due mari: il mare verde della regione boscosa dell’entroterra e l’Oceano Atlantico.

Camminando lungo la cresta della duna si procede lentamente e con un certo impaccio per via della sabbia poco compatta e il sole cocente che picchia. Camminando lungo la cresta della duna e volgendo lo sguardo ad est vediamo la regione boscosa terminare esattamente ai piedi della duna tant’è che la sabbia arriva a seppellire le piante più vicine.

Scendendo lungo il versante occidentale e andando così verso il mare, ci si rende conto che la riva non è così vicina come può sembrare, la discesa è meno acclive di quanto sembra e di tanto in tanto ci si ritrova nel bel mezzo di depressioni il cui contorno sabbioso fa da cornice al cielo. In queste zone sembra di essere in mezzo ad un deserto.



La parte più vicina al mare, è separata dalla zona retrostante da una fascia discretamente popolata da specie vegetali perfettamente adattate ad un substrato sabbioso ed è in questa zona che si possono incontrare alcune forme di vita animale che trovano in questo strano ecosistema il loro habitat.
La vegetazione dunale presenta diversi adattamenti a quello che risulta essere un ambiente di vita estremamente arduo per via dell’inconsistenza del suolo, la sua elevata mobilità e porosità che rendono difficile la ritenzione di acqua e relativi nutrienti, l’elevata salinità presente nel sottosuolo e nell’aria, i venti che possono sferzare ad alte velocità portando con se granelli di sabbia in che urtano ciò che incontrano. Le piante che riescono a crescere in queste condizioni hanno evoluto adattamenti per evitare seppellimenti letali e per regolare il proprio bilancio idrico nonostante l’ambiente non sia dei più propizi per la disponibilità di acqua dolce.

Tra queste, le più comuni sono l’Ammophila arenaria, l’Helicrisium arenarium e la Linaria thymifolia, mentre al limite dell’ambiente sabbioso dominano i pini marittimi (Pinus pinaster).
Lungo la vegetazione dunale nidifica il fratino (Charadrius alexandrinus), un piccolo uccello contraddistinto dal fatto che predilige zone sabbiose dunali per fare il nido (un buco nella sabbia più compatta nel quale depone fino a tre uova). La sua alimentazione consiste in piccoli vertebrati che trova sotto la sabbia in acque poco profonde. E’ molto facile vedere un fratino che entra nel nido e nel caso lo si riuscisse a vedere, sarebbe meglio continuare l’osservazione restando ad una certa distanza dato che un eccessivo avvicinamento al nido potrebbe spaventare l’animale. Ciò potrebbe interferire negativamente con le sue attività, tra le quali la più importante, la cura delle uova e dei pulli.
Sono presenti anche altri animali che riescono a trovare nella vegetazione dunale un habitat ottimale, come ad esempio l’ortottero Detiscus albifrons che ha una dieta basata sulle piante erbacee che dominano questo ecosistema.

Fino alla metà del diciannovesimo secolo la duna era lunga poche decine di metri mentre ora possiede dimensioni gigantesche. Si è formata in tempi relativamente brevi e recenti grazie all’azione combinata di vento e correnti marine che soffiando verso est hanno depositato detriti sabbiosi di natura per lo più silicea, sulla costa. I fenomeni che concorrono alla sua costruzione sono ancora molto attivi, quindi è probabile che tra un centinaio di anni, la duna potrà occupare un volume quasi doppio estendendosi verso l’entroterra, dove, se si osserva la base, si nota una progressiva azione di seppellimento delle piante retrostanti.
Col passare del tempo gli strati più profondi, depositatisi in tempi più antichi andranno incontro a cementazione andando così a formare una roccia sedimentaria detta arenaria, in quanto composta da granelli di sabbia saldati tra loro; questo genere di roccia, spesso fossilifera, anche qui conterrà diversi fossili: gli alberi e le altre piante che verranno seppellite, subiranno una mineralizzazione dei loro tessuti divenendo così parte della roccia.

La zona di piana continentale, nelle immediate vicinanze alla riva non presenta una grande profondità; l’acqua resta bassa per molto; qualche centinaio di metri al largo è presente un’isola sabbiosa formatasi per accumulo di sabbia, secondo lo stesso processo che ha costruito la grande duna. Data la scarsa profondità e lo scarso ricircolo, in questa zona l’acqua presenta una grande torbidità: l’unico difetto del posto (che però trovo trascurabile).
Il pomeriggio avanza e si fa tardo così pianto la tenda in uno dei campeggi al limite del bosco, mi preparo qualcosa da mangiare e penso a cosa potrei fare per trascorrere una bella serata ma la risposta credo di conoscerla già…cosa c’è di meglio che passare la serata ad ammirare il tramonto sull’oceano dalla cima della duna con una birra ghiacciata in mano.

Ciao a tutti, mi chiamo Matteo, e la natura è sempre stata una parte fondamentale della mia vita. Questa passione mi ha accompagnato durante la mia crescita, finché non è sfociata in determinazione nel volerla trasformare in una professione. Ho frequentato così un percorso universitario a tema ambientale naturalistico che mi ha dato modo di ampliare ed approfondire nel modo migliore le mie conoscenze in materia e, successivamente, spinto dal voler trasmettere le sensazioni che la natura può regalare, sono diventato guida escursionistica. Inoltre, faccio parte dell’associazione Docet Natura e collaboro con ASD La Ventura. Provo un’immensa soddisfazione nel vedere i sorrisi e gli sguardi pieni di meraviglia nelle persone che scoprono la maestosità di piccoli fenomeni naturali, a loro poco prima sconosciuti.
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