Cuore della Corona di Delizie
Il sistema di residenze di svago e piacere edificate tra il XVI e il XVIII secolo sulla collina torinese, lungo il Po e nelle campagne circostanti, disegnano una “Corona di Delizie” al centro della quale splende il Palazzo Reale, vera gemma nel cuore di Torino.
La storia dell’edificio è lunga trecento anni e rispecchia il gusto dei duchi e dei re di Savoia che hanno vissuto e fatto vivere gli ambienti che ancora oggi hanno così tanto da raccontare al visitatore capace di farsi trasportare dall’atmosfera elegante, e al tempo stessa severa, che aleggia al Primo Piano Nobile del Palazzo.
Arrivando su Piazzetta Reale ci colpisce il colore gridellino della facciata. Era il colore preferito dalla duchessa Cristina di Francia, meglio conosciuta come la “Prima Madama Reale”.

Gridellino viene dal francese “gris de lin” ovvero un colore tra il grigio, il rosa e il lilla. Cristina amava così tanto questa tonalità, che il Conte Filippo di San Martino d’Agliè, ideatore delle feste barocche che si tenevano a corte, scrisse per lei la composizione teatrale “Gridellino” per festeggiare l’ultimo giorno di carnevale nel 1653. Si dice che tra Cristina e Filippo fosse nata un’intensa storia d’amore. Il Conte fu sempre al fianco della Duchessa, anche durante i momenti più difficili, come il periodo di reggenza che Cristina affronterà dopo la morte del marito, il duca Vittorio Amedeo I. Filippo, pur di compiacere la sua amata duchessa, fu arrestato e trascorse due anni nelle prigioni francesi dove scrisse un libro firmandosi con lo pseudonimo di “Fillindo il Costante”, quasi a ribadire la sua fedeltà a Cristina.
Varcando la soglia del grande portone, ci troviamo nella corte interna. Se l’attraversiamo , entriamo nei giardini. Un bel “parterre” oggi ad ingresso libero, dove i Torinesi spendono momenti di relax seduti su delle sdraio o davanti all’installazione “Pietre Preziose” di Giulio Paolini . Si tratta di un’opera di arte contemporanea realizzata con pezzi di marmo nero di Frabosa, recuperati dalla Cappella della Sindone dopo l’incendio dell’aprile 1997.


L’ingresso del Palazzo si apre su uno scalone monumentale, unico intervento voluto da Vittorio Emanuele II nel 1862, dopo l’unità d’Italia. Quattro affreschi celebrano alcuni momenti fondamentali della dinastia, da notare quello all’angolo nord-ovest, che rappresenta il matrimonio tra Adelaide, contessa di Susa e Torino e Oddone di Savoia. E’ il 1046 e grazie a quella unione i territori al di qua e al di là dei passi alpini del Moncenisio, del Gran e Piccolo San Bernardo saranno sotto la stessa dinastia, quella sabauda, che in poco più di ottocento anni unirà il nostro Paese.

Una porta molto pesante ci conduce nel primo grande ambiente, il Salone degli Svizzeri: 120 metri quadrati per due piani di altezza che lasciano il visitatore di allora, come quello di oggi, stupito e ammirato. L’aspetto attuale si deve a Carlo Alberto, del ramo cadetto Savoia Carignano, che divenne re nel 1831 alla morte di Carlo Felice, quest’ultimo privo di eredi maschi. Il soffitto è ottocentesco e raffigura Amedeo VI, detto il conte Verde, nell’atto di istituire l’ordine cavalleresco del “Cigno Nero” che diventerà nel Cinquecento l’”Ordine dell’Annunziata”. Alle pareti una grande tela di Palma il Giovane rappresentante la Battaglia di San Quintino del 1557 che vide la vittoria di Emanuele Filiberto e la fine dell’occupazione francese nei territori sabaudi. Lasciato il Salone degli Svizzeri si entra nella prima anticamera e da questa nella seconda e poi nella terza, fino alla Sala del Trono.

A guardia delle anticamere c’erano dei corpi di guardia: gli Staffieri, i Corazzieri e i Paggi. Un Paggio di Corte, che sarebbe divenuto famoso da lì a qualche anno, fu Cavour. La cronaca racconta che il giovanissimo Camillo Benso fu licenziato da Carlo Alberto perché un giorno si lamentò pubblicamente che vestito con la divisa rossa e camminando sempre all’indietro per non voltare le spalle al re, gli sembrava proprio di essere un gambero. La Sala del Trono è un insieme di stili che vanno dal soffitto barocco, dove al centro una tela di Jan Miel rappresenta il trionfo della Pace, allo stile Rococò delle porte fino al gusto Neoclassico di pareti e pavimento. Quest’ultimo è un meraviglioso parquet realizzato con la tecnica dell’intarsio dall’ebanista di corte Gabriele Capello detto il Moncalvo. Da questa stanza si passa ad ambienti via via più privati, ad iniziare dalla Sala delle Udienze. Si narra che il re Vittorio Emanuele II , al momento del commiato, avesse l’abitudine di accompagnare i propri ospiti da questa camera fino alle scale, gesto piuttosto inusuale per l’etichetta di Corte. Qui si possono ammirare alcuni oggetti che attirano la nostra attenzione: un grande vaso di malachite proveniente dalla Russia, dono dello Zar al primo re d’Italia e due vasi di Sèvres che ruotano sul piedistallo con rappresentate scene di caccia, dono di Napoleone III.

La sala successiva è quella del Consiglio. E’ proprio qui che nel 1848 è stato firmato lo Statuto Albertino. Il lampadario è il più grande del palazzo e a guardia della stanza il busto di Carlo Alberto a grandezza naturale.

Proseguendo il percorso si raggiunge l’Armeria Reale: un museo dentro il museo!

Fanno mostra di sé armi che vanno dal periodo preistorico al Novecento. Si possono ammirare armature appartenute ad Emanuele Filiberto nel Cinquecento, oppure quella del Principe Eugenio che ha soccorso Torino durante l’assedio francese del 1706. Ci sono armi bianche, da fuoco, scudi, corni da caccia e bardature per cavalli provenienti dalla Cina e dal Giappone. Questa immensa collezione prese il via nel 1837 per volere di Carlo Alberto che desiderava arredare la vuota Galleria Beaumont (dal nome del pittore che ha decorato i soffitti), dopo la decisione di spostare tutta la quadreria da questo ambiente a Palazzo Madama.
Una piccola curiosità: il pavimento in marmo a scacchi bianco/grigio e nero/verde proviene dalla galleria grande di Venaria, maestosa residenza di caccia a nord di Torino che dopo il periodo napoleonico fu trasformata in caserma.
Un tempo la Galleria Beaumont era unita a Palazzo Madama da una manica che venne abbattuta da Napoleone nel 1801. Al piano terra, sotto l’Armeria, si trova la Biblioteca Reale, dove sono conservati 13 disegni di Leonardo da Vinci tra i quali il famoso Autoritratto.
Tornando indietro dall’Armeria, passiamo dal “Cabinet Chinois”, un vero capolavoro juvarriano. Qui l’architetto messinese ha saputo armonizzare pannelli laccati provenienti sia dalla Cina che dai minusieri torinesi, ad un soffitto luminoso raffigurante Paride nell’atto di donare la mela ad Afrodite.
Passando dalla Camera da Letto di Carlo Alberto, ormai spogliata dei suoi arredi originali, si giunge ad un’altra Galleria, quella del Daniel, dal nome del pittore , Daniel Seiter, che fu incaricato da Vittorio Amedeo II di dipingere il soffitto. Questa lunga galleria decorata in stile Rococò, conduce agli appartamenti della Regina, attualmente non visitabili.

In un angolo, la Farmacia, dove si dice si tenessero i sali per le dame che durante i balli di corte perdevano i sensi per la troppa fatica. Alle pareti ritratti di uomini di corte e dalle finestre uno scorcio del giardino, con la fontana dei Tritoni e delle Nereidi, mentre in lontananza svetta la Mole Antonelliana, con i suoi 167,5 metri di altezza.

Dalla Galleria si accede alla Sala del Caffè, dove sul camino fanno mostra di sé due splendidi vasi di Meisen. A fianco, la Sala da Pranzo, apparecchiata come se fosse imminente un pranzo a Corte. Sulla tavola piatti di porcellana, posate d’argento e bicchieri in cristallo trasparenti e rossi. In questi ultimi venivano serviti i vini bianchi renani, molto apprezzati, ma spesso torbidi. Il rosso mascherava questo difetto.

Nella Sala dell’Alcova al posto del letto c’è la collezione dei vasi orientali. E’ curioso notare che qui, dove la regina partoriva, sulle colonne che decorano il lato dell’Alcova, sono raffigurate delle donne incinte. Un vero augurio per l’arrivo di un erede al trono!

La Sala degli Stucchi è anch’essa, come la Sala da Pranzo, in stile Neobarocco. A tradire la datazione al Novecento sono le sovrapporte: dei bouquet di fiori dipinti ad olio su degli specchi, quasi un richiamo allo stile Liberty. Qui la Regina riceveva i suoi ospiti. Poco oltre la maestosa Sala da Ballo carloalbertina, in stile Neoclassico, con la balconata in ghisa per i musici e un tripudio di lampadari in cristallo e specchi che riflettono la luce.


Tornando verso il Salone degli Svizzeri notiamo una scala, la cosiddetta Scala delle Forbici. Si tratta di un altro capolavoro di Filippo Juvarra. Egli fu incaricato di costruire una scala che portasse al Secondo Piano, che dal Settecento ospitava gli appartamenti privati del principe ereditario.


Il luogo è stretto ed alto. Non era certo semplice progettare lì, in quello spazio angusto, una scala monumentale. Juvarra ci pensò molto e passò parecchio tempo prima che la scala vedesse la luce. Molti Cortigiani, invidiosi dell’architetto, cominciarono a sparlare di lui e a criticare le sue capacità. Ma Juvarra risolse il problema in modo magistrale: la scale parte dritta, poi un pianerottolo dove si divide in due rampe , una a destra e l’altra a sinistra, per poi unirsi su un altro pianerottolo e di lì con un’unica rampa, quasi un ponte , raggiunge il secondo piano.
Juvarra, che era uomo di spirito e che aveva sentito i pettegolezzi sul suo conto, decise di decorare lo scalone con un mascherone, dalla cui bocca escono serpenti e lingue recise di netto da un paio di forbici ( da qui il nome dato alla scala). Il significato è chiaro: la scala è splendida, si tagli la lingua chi ha dubitato e criticato le capacità del grande architetto reale !
Dopo la visita, un tramezzino e un bicchiere di vermuth o un bicerin con paste di meliga al Caffè Reale, ci daranno la giusta energia per proseguire alla scoperta di altri monumenti, di cui vi racconterò nei prossimi articoli.
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Ciao, sono Donatella. Avete sentito dire che Torino è una città industriale, grigia? O che in Piemonte non c’è molto da vedere, salvo le montagne? Allora il mio obiettivo sarà quello di farvi innamorare del mio territorio, non solo con gli articoli che scrivo, ma anche con delle visite pensate ad hoc per ogni esigenza. Mi piacciono la storia, l’arte, l’enogastronomia, le curiosità legate alla mia Regione e le lingue. È per me fantastico lavorare con turisti di altre Regioni d’Italia e con stranieri. Soprattutto quando tornano a casa con un po’ di Piemonte nel cuore.