Natura & Avventura – Escursione all’Anello di Merana (AL)

Sui calanchi nascono funghi di pietra

Nell’estremo Sud del Piemonte, a poche centinaia di metri dalla Liguria, c’è un luogo dove le colline, tra un bosco e l’altro hanno rughe e strani bitorzoli. Un luogo che lì per lì può sembrare anonimo e a tratti anche noioso, ma se cavalchiamo l’onda della nostra curiosità, con scarponi ai piedi macchina fotografica in mano e tanta voglia di camminare, può regalarci una bella esperienza e un bel po’ di foto particolari.

Il paesello di Merana, è un classico paese da far west: la maggior parte delle case stanno ai lati di una strada principale, la ex strada statale 30 che porta orde di piemontesi a invadere le spiagge liguri.

In questo posto in cui rotolano palle di erba, è quasi più frequente vedere caprioli o cinghiali piuttosto che indigeni a bordo strada. Può anche succedere che di notte, qualche lupo possa attraversarvi la strada mentre state guidando.

Il paesaggio attorno a questo paese è composto da quelle che anticamente venivano chiamate “terre magre”: territori prevalentemente rocciosi ed argillosi con suoli poco sviluppati che risultavano quindi scarsamente produttivi in agricoltura. Il paesaggio circostante presenta infatti moltissimi affioramenti di argillite frammentata e calanchi. I calanchi sono formazioni originatesi dall’azione dell’acqua piovana, che su terreni marnosi acclivi e con una scarsa copertura vegetale, scorrendo verso valle crea dei solchi, i quali diventano via via più profondi ed accentuati col passare del tempo.

Il sentiero ad anello comincia nella parte meridionale del paese; l’imbocco è facilmente individuabile grazie alla segnaletica molto evidente che indica la direzione da prendere, tramite i classici cartelli a freccia rossi e bianchi sui quali vi è indicato il codice “575”, codice del sentiero in questione.

Camminando attraverso il paese da far west verso sud, superiamo il saloon…ehm volevo dire il bar e a questo punto troveremo una strada che devia da quella principale scendendo verso destra ed inoltrandosi tra i campi. Prendiamo questa strada e portiamoci all’imbocco del sentiero.

Il sentiero che ci porta ad esplorare le terre magre prende vita alla base della collina di San Fermo, alla sommità della quale svetta l’omonima torre.

Tutti i paesi della zona come Roccaverano, Denica, Castelletto d’Erro e Vengore hanno una propria torre che in tempi antichi veniva usata come torre di vedetta per osservare i dintorni delle colline sulle quali sorgevano.

La nostra escursione inizia alla base di questa collina dalla quale parte un sentiero che si snoda in un suggestivo bosco dominato da carpini (Ostrya carpinifolia) e ciliegi (Prunus avium). Il sentiero è facilmente percorribile anche da persone poco allenate e ad un certo punto offre un panorama suggestivo del paese e di alcune creste solcate da calanchi.

Giunti alla sommità del sentiero si apre una vasta radura vicino alla quale troviamo la chiesetta di San Fermo, la torre e una delle “panchine giganti”, installazioni nate in Piemonte e poi diffuse in tutta Italia.

Le panchine giganti sono opere nate da un’idea del designer statunitense Chris Bangle. La costruzione di queste panchine decisamente sproporzionate nasce dall’idea dell’artista di suscitare in un adulto che ci si siede e guarda il panorama, emozioni di stupore e meraviglia tipiche dei bambini che guardano immensi paesaggi. Le dimensioni notevoli di queste panchine fanno si che ci si senta piccoli piccoli e tutto ciò che ci sta intorno sembri più vasto di quanto non lo sia veramente; si diventa letteralmente bambini una volta seduti sopra.

Tra la torre e la chiesa è presente un gradevole giardino anico dotato di schede di riconoscimento delle piante, alcune più comuni altre meno. Vale la pena fermarsi ad osservare le particolarità del luogo e per fare un po di birdwatching: non è difficile vedere le cinciallegre (Parus major) che saltellano da un ramo all’altro o qualche rapace che perlustra il territorio. Da entrambi i versanti della collina c’è una visuale molto ampia che ci permette di osservare con binocoli e macchina fotografica.

Proseguendo iniziamo a mettere piede sui primi calanchi che incontriamo lungo il sentiero ed è proprio qui che troviamo una barca (si è proprio una barca!!!). Quando l’ho vista per la prima volta, mi sono chiesto cosa ci facesse una barca in questo luogo che di marinaresco non ha proprio niente, poi dopo aver passato ore ed ore ad arrovellarmi cercando una spiegazione plausibile, mi è venuto in mente che da queste parti, quando non hai avuto proprio una bellissima giornata e ti viene chiesto “come va?” si usa rispondere “come una barca in un bosco!”.

Risolto il mistero e gasati dalla sensazionale scoperta appena fatta, siamo pronti per nuove avventure!

Dimmi un po’ come va!

Da questo punto in poi, il paesaggio che andremo ad attraversare sarà una repentina alternanza di boschi, prati, rocce nude, calanchi qua e la solcati da rigagnoli, piccole borgate semideserte: un vero far west!

Il sentiero prosegue in discesa addentrandosi in un bosco e poi attraversando una prateria circondata da alberi nella quale, se resteremo in silenzio, udiremo i canti rauchi delle ghiandaie(Garrulus glandarius), gli acuti delle poiane (Buteo buteo), il martellare del picchio rosso (Dendrocopos major) e del picchio verde (Picus viridis) sui tronchi degli alberi.

Con un po di fortuna, dato che l’ambiente è quello giusto e ci offre vedute sulle creste circostanti, potremo osservare caprioli (capreolus capreolus) che brucano l’erba e che camminano solitari o in piccoli gruppi.

Caprioli sui calanchi

Siamo in una piccola vallata quasi totalmente attorniata quasi da creste calanchive, fermiamoci, ascoltiamo i rumori del bosco, il vento tra le fronte e i canti degli uccelli; facciamo un saluto al sole, prepariamo un tè col fornello, e mentre sorseggiamo contempliamo ciò che la natura ci offre o gli occhi di chi ci è seduto a fianco.

Namastè

Procediamo in direzione del primo vero bastione di calanchi dopo aver guadato un ruscello e attraversato una piccola borgata; il sentiero che sale attraverso i calanchi, segue una via usata anticamente dagli abitanti del posto per spostarsi verso le terre liguri, la via Aemilia-Scauri.

Poco più avanti, in un bosco di roverella (Quercus pubescens) incontriamo un gruppo di “Murion”. Questa non è una parola in sanscrito ma una parola di un qualche ceppo piemontese. È il nome che viene dato ai funghi di roccia caratteristici della zona di Merana, simili ma molto più piccoli del grande fungo di Piana Crixia, qualche chilometro più a sud e dei funghi della Val Maira che a differenza di questi, vengono chiamati “Ciciu”.

La particolarità nella formazione di questi funghi sta nella differenza di coesione e di densità tra due masse di roccia, una soprastante e una sottostante. La parte soprastante, più pesante, comprime la colonna di roccia sotto di lei proteggendola dal dilavamento e conferendole una maggiore coesione rispetto alle porzioni circostanti. Tale coerenza renderà più difficile la disgregazione di questa massa di roccia da parte dell’acqua di ruscellamento che eroderà più velocemente la roccia incoerente circostante lasciando intatto il “gambo” del fungo.

Come ogni formazione naturale un po strana, anche questi funghi fanno parte di leggende popolari. In alcune zone in cui sono presenti i funghi di pietra, si credeva che questi fossero oggetto di strani incantesimi e che la loro creazione fosse in qualche modo intrecciata con l’opera delle streghe, che in Piemonte vengono chiamate “masche”.

Nella zona di cui fa parte il luogo in cui ci troviamo oggi, sono stati documentati alcuni processi contro le streghe avvenuti nei secoli passati. Abbondano anche più recenti leggende sulle masche risalenti all’800 e ai primi del ‘900.

Dopo essere scesi di quota attraversando un castagneto, possiamo decidere se allungare il sentiero prendendo la variante 575D, oppure se continuare sulla via normale. Decidendo di prendere la variante ci ritroveremo a circumnavigare una vallata interamente coperta da boschi di latifoglie a tratti punteggiati da pioppi bianchi (Populus alba), mentre continuando la via normale risaliremo di quota passando vicino ad un piccolo gruppo di case ed arrivando in un sito nel quale troveremo un piccolo gruppo di Murion. Usciamo un attimo dal sentiero e portiamoci leggermente in quota sopra questi affioramenti; potremo godere della vista di una vasta fungaia che si estende per qualche decina di metri, con funghi rocciosi di diverse dimensioni e forme: uno spettacolo che mica si vede tutti i giorni!

Il sabba delle masche

A questo punto, orna verso valle attraversando il bosco e ritrovandosi nuovamente nel bel mezzo di una zona calanchiva. In questo particolare sito, sono rinvenibili fossili di antichi residui vegetali incassati in frammenti di rocce arenacee scistose:

Resti fossili

Scendendo da questi ultimi calanchi torniamo nel far west ed ora che abbiamo visitato le zone più selvagge del circondario sapremo dove nascondere il bottino della rapina in banca.

La natura, luogo magico che ci ispira nell’esprimere emozioni e sentimenti, qui ci ha offerto non solo l’opportunità di imparare nozioni scientifiche, quelle noiosissime nozioni scientifiche che mandano fuori di testa noi naturalisti, ma anche cenni di storia e cultura.

La natura è il palcoscenico dove gli uomini, attori della storia, si sono tramandati usanze, linguaggi e leggende arrivate fino a noi con strani nomi attribuiti a strane rocce, antiche torri e vecchi sentieri, un tempo autostrade.

La natura e la storia, compenetrate da sempre, vivono l’una nell’altra, natura fa rima con cultura, studiare la natura è studiare la storia. Namastè!


Ciao a tutti, mi chiamo Matteo, e la natura è sempre stata una parte fondamentale della mia vita. Questa passione mi ha accompagnato durante la mia crescita, finché non è sfociata in determinazione nel volerla trasformare in una professione. Ho frequentato così un percorso universitario a tema ambientale naturalistico che mi ha dato modo di ampliare ed approfondire nel modo migliore le mie conoscenze in materia e, successivamente, spinto dal voler trasmettere le sensazioni che la natura può regalare, sono diventato guida escursionistica. Inoltre, faccio parte dell’associazione Docet Natura e collaboro con ASD La Ventura. Provo un’immensa soddisfazione nel vedere i sorrisi e gli sguardi pieni di meraviglia nelle persone che scoprono la maestosità di piccoli fenomeni naturali, a loro poco prima sconosciuti.
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