Sicilia carattere mediterraneo – La festa di San Giuseppe in Sicilia

La cultura del pane votivo

Nel ricco calendario delle feste religiose quella di San Giuseppe è sicuramente una delle più tipiche e suggestive della tradizione siciliana. Grandi sono la devozione e il culto per questo santo, assunto a patrono di non pochi paesi.

È venerato a ogni latitudine dell’isola a giudicare dai numerosi festeggiamenti di cui è oggetto.

La sua devozione coincide con l’equinozio di primavera, inglobando rituali più antichi e presentando elementi costanti. Ciò che ancora oggi caratterizza questa festa sono gli altari dove vengono esposti pani artisticamente lavorati e allestiti in casa da chi ne ha fatto voto con l’aiuto di amici e parenti, nonché le cosiddette “cene” che vi si svolgono in forma di rappresentazione sacra.

Il protagonista della festa è senza dubbio il pane: cibo per il corpo e per l’anima, celebrato con i Santi e imbandito nelle feste popolari.

E per noi siciliani il pane è tutto: è cultura, tradizioni, storia. Nella cultura contadina è ancora oggetto di rituale rispetto: non si deve capovolgerlo sulla tavola, perché sarebbe come volgere le spalle al Signore; spezzarlo con le mani e mai con un coltello di ferro, perché il ferro è maledetto.

Il pane votivo

Fare il pane rappresentava un momento di lavoro collettivo, era abitudine prestarsi il lievito vicendevolmente per averlo sempre fresco, e passando da una mano all’altra il lievito tesseva una rete di solidarietà. Insomma si creava una specie di catena di Sant’Antonio, chiamata il criscente da Bedda Matri (il lievito della Madonna). Una donna regalava tre pezzi di lievito a tre amiche e queste ad altre nove, fino a quando non si raggiungeva una certa quantità di pasta cruda già fermentata e poi restituita a quella che per prima aveva fatto partire la catena. Il pane infine veniva offerto alla Madonna.

Ma la storia del pane in Sicilia affonda le radici nel mito: Demetra-Cerere trovò il frumento, mentre prima si viveva di ghiande e sempre lei insegnò a macinare e a fare il pane in Attica e nell’isola. Alla dea venivano offerti nei giorni più importanti delle Tesmoforie, feste solenni celebrate in autunno in onore di Demetra legislatrice, pani preparati col sesamo e miele, a forma di pube, che in Sicilia si chiamano mylloi, la cui forma è rimasta in alcuni paesi della provincia di Ragusa.

Ogni festa può essere spiegata e compresa solamente se viene messa in connessione con i cicli della produzione che sono correlati con i cicli stagionali. Le feste  hanno quindi un retroterra agrario, le celebrazioni cadono nel momento in cui avvengono i mutamenti stagionali e sono collegate con le fasi più importanti del lavoro contadino: aratura, semina, potatura e raccolta. La coltivazione del grano si inserisce così in un tempo ed in uno spazio sacri, hanno una dimensione religiosa, che il siciliano estende anche al cibo e al pane. Il pane è vita ed è simbolo della divinità tra gli uomini.

Il pane della festa è speciale.

La preparazione di pagnotte dalle forme più svariate e di grandi dimensioni è una costante di molte feste e in modo particolare di quella di San Giuseppe, il protettore della famiglia, dei poveri, degli orfani.

I pani dei Santi

Valguarnera, Assoro, Ragusa, Scicli, Salemi, sono alcuni dei paesi siciliani in cui è possibile visitare le cene che si preparano per San Giuseppe.

In questo mio nuovo articolo scelgo di raccontarvi la festa che si svolge a Salemi, piccolo paesino in provincia di Trapani. I preparativi, coordinati da un comitato speciale, hanno inizio una settimana prima della festa del santo e vedono la partecipazione di uomini, donne e bambini.

I preparativi della cena, il cui nome ricorda quella del Cristo, sono piuttosto lunghi ed alla preparazione dei pani si dedicano solo le donne. La cena nasce originariamente come voto di ringraziamento o come propiziazione di una grazia da parte di un devoto, che si è impegnato a fare un convito di beneficenza per i Virgineddi, ossia i tre bambini poveri che rappresentano la Sacra Famiglia. Dopo la questua penitenziale fatta, a volte a piedi scalzi, per tutto il paese di porta in porta, la padrona di casa prepara il pane con straordinari esiti plastico-simbolici. Aiutata dalle donne del quartiere, lavora incessantemente per modellare tutto il pane per la cena. In analogia con l’universo, il pane diviene colomba, simbolo di pace; cane, simbolo di fedeltà; uccello, pavone per rappresentare la bellezza del Creato. Si trasforma in sole che rappresenta Dio stesso, in luna o stelle che rappresentano la Madonna. Ricorda i simboli della Passione: le scale, i chiodi, il martello, la croce. Il lavoro del falegname e quindi la pialla e la sega. Gli oggetti usati dalle donne sono: il fuso, la conocchia, le forbici.

Alla realizzazione di questi pani, segue quella dei cuddureddi, le grosse ciambelle che saranno poste al centro dell’altare e regalati ai tre bambini poveri. Il primo è destinato al bambino che impersona Gesù ed ha la forma del sole, la luce divina. Il secondo, regalato alla bambina che impersona la Madonna, raffigura la palma, dove sono riprodotti tanti datteri, che ricordano il cibo della Vergine durante la fuga in Egitto. Al bambino che diverrà il Patriarca è regalato il bastone, adornato dal giglio, dagli attrezzi da falegname e dalla sigla S.G.

Agli uomini spetta la realizzazione degli altari devozionali che richiamano figurativamente una chiesa, al cui interno si erge l’altare dedicato al Santo. La struttura è ricoperta di mirto e alloro, sui ramoscelli vengono attaccati arance e limoni appena colti. Al centro, addossato a una parete rivestita con un drappo bianco, si prepara un piccolo altare con cinque ripiani degradanti, ricoperti di lini ricamati, e si appende in alto il quadro raffigurante la Sacra Famiglia. Il numero dei pani esposti sull’altare corrisponde a quello dei “santi” invitati al banchetto. La tradizione vuole che il devoto può infatti invitare, a seconda delle sue possibilità economiche, tre oppure sei bambini. La cena che consumerà la Sacra Famiglia può essere composta da ben centouno portate, rigorosamente vegetariane, con l’eccezione del pesce, che è il piatto di apertura. La carne è esclusa poiché la liturgia ufficiale ne proibisce il consumo durante la Quaresima.

L’Altare di San Giuseppe

Il 19 marzo, dopo la benedizione dell’altare, i Virgineddi si preparano al banchetto e solo dopo la cena i visitatori potranno assaggiare la gran quantità di cibo rimasto. È questo un gesto di offerta d’ispirazione cristiana, ed anche un rito propiziatorio atto a procurare bene e abbondanza.

Quella di San Giuseppe è la festa del pane, del raccolto, della primavera, ma anche la festa della famiglia riunita, che garantisce l’equilibrio della vita e della continuità del lavoro.

Altra tradizione siciliana è legata al fuoco, i falò urbani di San Giuseppe che si accendono la sera del 18 marzo, chiamati con nomi diversi a seconda dei paesi: Vampe, Vampanigghia, Luminaria ecc.

 A Palermo è possibile vederli nei vicoli del centro storico o nei quartieri popolari di periferia. Si Tratta di cataste di legna e rifiuti vari (armadi, sedie, comodini).

Il rito della vampa di San Giuseppe rimanda agli antichi culti pagani praticati in ambito agricolo e pastorale, infatti il fuoco segna i momenti di passaggio importanti del ciclo dell’anno, e in questo caso fa da spartiacque tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera. È un rito di purificazione: il fuoco che brucia simboleggia la distruzione e l’abbandono dell’inverno e, allo stesso tempo, rappresenta anche la rigenerazione e un auspicio di prosperità e fertilità per i raccolti. Il fuoco è il sole che con il suo calore scaccia il freddo dell’inverno.

La Vampa di San Giuseppe

Riti pagani e cristiani si sono fusi insieme dando vita a questa curiosa tradizione; oggi il significato è prettamente religioso, nella speranza che San Giuseppe apporti prosperità e abbondanza in ogni tempo.

Ma adesso passiamo ai dolci.

Sapete già che la pasticceria siciliana è conosciuta e apprezzata in tutto il mondo ma forse non sapete qual è il dolce tipico legato a  questa festa. Ebbene la vera regina è lei: la Sfincia di San Giuseppe (soprattutto nella Sicilia occidentale). Il nome sembra derivi dal latino “spongia” oppure dall’arabo “isfang”, entrambi significano spugna in riferimento alla forma di questo dolce, una frittella morbida, come una vera spugna. È coperta di una delicata crema di ricotta e gocce di cioccolato, pistacchi tritati, ciliegie e scorze d’arancia candite. La frittella è stata trasformata in un dolce prelibato dall’abilità delle suore clarisse del monastero palermitano delle Stimmate di San Francesco (non più esistente), che lo tramandarono ai pasticceri della città.

La sfincia di San Giuseppe

In realtà dovete sapere che le Sfince di San Giuseppe, un vero trionfo di colori e sapori, qui da noi le trovate tutto l’anno.

Domani è lafesta del papà, ricorrenza che in Italia corrisponde con il giorno di San Giuseppe, padre putativo di Gesù e simbolo di paternità. Non mi resta che fare gli auguri a tutti i papà del mondo e a quelli super golosi dico che la Sicilia è il vostro paradiso. Vi aspetto a Palermo!


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Mi chiamo Paola Ponte e sono una guida turistica dal 1997, laureata in Storia dell’Arte, parlo francese, inglese e spagnolo. Vivo a Palermo dove svolgo principalmente la mia professione, abilitata inoltre per tutta la Sicilia.
Le tre parole che descrivono meglio il mio lavoro sono: passione, condivisione, bellezza. E’ un lavoro emozionante e non avrei potuto scegliere di meglio. Ogni giorno è diverso, nuove opportunità, straordinarie esperienze, la fortuna di conoscere persone nuove e condividere con loro l’amore per la mia terra.
La Sicilia è una terra antica, fatta di storia, arte, leggende, tradizioni e con una natura esplosiva. Ecco perché un viaggio in Sicilia è sempre una buona idea!
Per saperne di più leggi gli articoli che ho scritto per il blog e troverai tanti consigli utili per vivere un’esperienza unica!

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