“Grixio dragon lasciù pietrificòo,
Edoardo Firpo, A o castello da Prïa
ch’o tegne ancon potense de magia,
ecco da Vobbia rapida e sonante,
da o pontetto de Zan,
o Castello da Prïa. […]
L’origine so primma a resta ignota;
[…] solitario comme
ne a valle d’un pianeta abbandonòo,
misterïoso, tetro, senza gloria
taxe in sce lë comme ‘na Sfinge a Storia”.
Al di là dello spartiacque appenninico, in un lembo di Liguria già proteso sul Piemonte, si dipana nell’abbraccio dei contrafforti montuosi la Valle del Vobbia, per confluire poi nel più ampio bacino del fiume Scrivia. Nel corso dei secoli, la forza gentile del torrente ha scavato e modellato un paesaggio dai mille volti: lunghi tratti accoglienti con dolci successioni di strati calcarei lasciano progressivamente il proscenio alle strette pareti rocciose della bassa valle, dove il conglomerato Oligocenico emerge sulla macchia boscosa in un duello senza tempo.
Tra questi dirupi affiorano le caratteristiche puddinghe, altresì note come “Conglomerati di Savignone”, ritrovabili anche sul Promontorio di Portofino. Il termine “puddinga”, ormai in disuso, deriva dall’inglese “pudding”, budino, e indica una formazione rocciosa sedimentaria, formatasi circa 25 milioni di anni fa (Oligocene), caratterizzata da ciottoli particolarmente arrotondati di diametro variabile, tra i 5 e i 10 cm, composti da calcari marnosi, calcari arenacei o arenarie legate tra loro da una malta calcareo-argillosa molto più fine.
In questo contesto paesaggistico, inserito all’interno del Parco Naturale Regionale dell’Antola, sorge una delle più suggestive quanto, purtroppo, poco conosciute architetture medievali non solo della Liguria bensì dell’intero territorio italiano: il Castello della Pietra.
Unicum a livello globale, questo castello si erge isolato nella boscaglia, incastonato proprio tra due torrioni naturali di puddinga che si elevano per oltre 150 metri. Quasi perfettamente mimetizzato nell’affioramento lapideo degli speroni del Monte Cravì, la fortezza è senz’altro un sublime esempio del difficile rapporto tra il popolo ligure e il suo territorio tanto aspro quanto amato, ma è al contempo una presenza simbiotica che testimonia la perfetta coesione tra questa terra e la sapiente opera dell’uomo.
Ulteriore elemento di fascino è l’apparente inutilità della fortezza. Infatti, il castello sorge a dominio di una valle poco fertile ed appartata. Piuttosto che una struttura funzionale al presidio e controllo del territorio sembra il capriccio di un poeta, un principe delle nubi che, esiliato in terra, aspira ad elevarsi al di sopra delle valli, dei boschi, oltre il sole, al di là dei confini delle sfere stellate.

In realtà il Castello della Pietra è situato nelle vicinanze del paese di Vobbia, piccolo borgo nato come stazione commerciale lungo la Via dei Feudi Imperiali, una delle antiche Vie del Sale che dalle località del litorale ligure conducevano alle città della Pianura Padana. Inoltre, la sua ubicazione centrale nel cuore della valle, cui facevano da corona i Castelli di Montessoro, Montecanne, le Torri di Arezzo e la Torre di Vallenzona, è stata più volte addotta per avvalorare l’ipotesi secondo cui il Castello della Pietra venne eretto quale componente di un ardito sistema di comunicazione visiva medievale definito “sistema delle poligonali”. In parole povere tale sistema, adattandosi alle caratteristiche morfologiche del territorio, tracciava sul terreno un immaginario poligono, i cui vertici adiacenti dovevano essere naturalmente visibili tra loro. In questo modo, usando come vertici delle poligonali le sommità dei rilievi vicini, si poteva creare un sistema di riferimento efficace che avrebbe potuto permettere di far arrivare un messaggio dal porto di Genova alla Val Borbera o a Tortona in tempi rapidi.
Ma nonostante questa posizione potenzialmente strategica, il castello non fu però protagonista di particolari avvenimenti e non fu mai conteso con vigore dalle varie famiglie della Valle Scrivia.
Malgrado i significativi sforzi di ricerca compiuti, le origini del castello rimangono ancora avvolte in un alone di mistero. Le notizie storiche sono poche e frammentarie e riguardano perlopiù accadimenti relativi ai suoi proprietari, riservando al massimo qualche breve cenno sulle caratteristiche edilizie e funzionali dell’edificio. Tra le rare fonti si possono citare alcune rappresentazioni del castello nelle pitture parietali dell’oratorio di Ronco Scrivia, sebbene piuttosto fantasiose, ed in quello di Vobbia, decisamente più fedeli.

In assenza di esaurienti documentazioni storiche in merito alla reale data di costruzione del Castello della Pietra, si suppone che la fortezza sia stata edificata intorno all’anno 1000 d.C. dai Vescovi di Tortona per difendere dagli attacchi saraceni la strada che collegava Vobbia a Isola del Cantone e quindi alla Via Postumia.
I primi due secoli del millennio scorrono senza lasciare alcuna traccia. Infatti, non si sa praticamente nulla delle sorti del castello, se non che la sua proprietà passò dalle mani dei Marchesi di Gavi a quelli dei Malaspina, casate entrambe vassalle dei vescovi tortonesi.
Il primo documento ufficiale che cita il Castello della Pietra risale al 1252. Si tratta di un atto di giuramento di due gentiluomini che testimonia come il feudo fosse ormai proprietà di Opizzone della Pietra, il cui appellativo deriva proprio dall’acquisizione di questo feudo.
Secondo i celebri Annali dello storico Caffaro di Rustico da Caschifellone, già all’epoca la fortificazione presentava le stesse caratteristiche strutturali e architettoniche di quelle attuali e la sua giurisdizione comprendeva l’Alta Val Borbera travalicando il colle di San Fermo.

Molto probabilmente risale a quella stessa epoca un’altra opera parimenti avvolta nel mistero: il Ponte di Zan. Situato ai piedi dei due torrioni del Castello della Pietra, ne rappresenta l’ideale cornice e consente di attraversare il dolce Rio Busti prima che le sue acque si gettino nel torrente Vobbia. Nei secoli scorsi, quando la valle era ancora attraversata da persone che si muovevano a piedi o a dorso di mulo, il vecchio Ponte di Zan era necessario per continuare il proprio itinerario e raggiungere la bassa o l’alta valle, soprattutto quando il greto del Vobbia era impercorribile a causa della piena del torrente.
Molto probabilmente risale a quella stessa epoca un’altra opera parimenti avvolta nel mistero: il Ponte di Zan. Situato ai piedi dei due torrioni del Castello della Pietra, ne rappresenta l’ideale cornice e consente di attraversare il dolce Rio Busti prima che le sue acque si gettino nel torrente Vobbia. Nei secoli scorsi, quando la valle era ancora attraversata da persone che si muovevano a piedi o a dorso di mulo, il vecchio Ponte di Zan era necessario per continuare il proprio itinerario e raggiungere la bassa o l’alta valle, soprattutto quando il greto del Vobbia era impercorribile a causa della piena del torrente.
La datazione del ponte non è certa, né vi sono documentazioni storiche utili a risalire alla sua costruzione. In ogni caso la tipologia costruttiva, ad unico arco a tutto sesto, si accorda certamente con l’ipotesi delle origini medievali. Ulteriore possibile elemento probatorio è il nome “Zan”. Poiché Zan è il diminutivo di “Zane “, che in genovese significa Giovanni, si può infatti ritenere che, unendo tradizione e storia, il costruttore del ponte possa essere stato Giovanni Malaspina Marchese di Gavi, figlio di Opizzone e feudatario della zona nel XIII secolo.
Pur riconoscendo un notevole interesse a tali ricostruzioni storiche, risulta decisamente più suggestiva e curiosa la leggenda che ruota attorno alle origini di questo ponticello.
La leggenda narra che un castellano di nome Zan fosse disperato perché, riconosciuta la necessità di costruire il ponte al fine di ovviare alle difficoltà di attraversamento del rio, non trovava nessuno disposto ad occuparsi dei lavori, in una zona ritenuta da tutti i paesani pericolosa e impervia. Accadde quindi che in una notte d’autunno, mentre Zan vagava accigliato e pensieroso lungo le sponde del torrente, si presentò a lui il diavolo in persona, offrendosi di portare a termine la costruzione del ponte in cambio della prima anima che lo avrebbe oltrepassato a lavori ultimati. L’astuto castellano accettò prontamente l’offerta e, ritornato al castello, architettò un piano per ingannare il diavolo. Il mattino seguente ridiscese al fiume accompagnato dal proprio cane e vi trovò, come promesso, il ponte già completato e sulla sponda opposta il diavolo ad attendere la sua ricompensa. A quel punto Zan lanciò una piccola forma di formaggio facendola inseguire al suo fedele quanto innocente amico, sacrificando così la sua anima al demonio. Il diavolo furente non digerì l’affronto e covò a lungo il desiderio di vendetta, finchè un giorno il castellano Zan, nel frattempo divenuto ricco e famoso, tornò nei pressi del ponte a lui dedicato per nascondervi un forziere ricolmo di ogni genere di tesoro. Il diavolo, convinto che sarebbe tornato a riprenderselo, vi lanciò sopra una maledizione: chiunque avesse tentato di disseppellire il forziere sarebbe stato travolto da frane spaventose.
E così fu per molto tempo finché alcuni secoli dopo, proprio durante la costruzione della vicina chiesa parrocchiale di Vobbia, una processione di fedeli vobbiesi si recò nel luogo in cui era seppellito il tesoro per recuperarlo.
Il diavolo si preparò a scatenare una gigantesca frana, ma il parroco versò preventivamente sul terreno dell’acqua benedetta, accompagnando il gesto con il segno della croce. A questo punto, sempre secondo la leggenda, si sentì un fortissimo boato e il diavolo fuggì via, liberando il luogo dalla funesta maledizione e consentendo il recupero del prezioso tesoro.
Il ponte venne utilizzato fino all’apertura dell’attuale strada provinciale, nel 1935, e purtroppo da allora il nuovo viadotto in cemento armato nasconde alla vista l’antica passerella medievale che rimane alcuni metri più in basso rispetto alla sede stradale. Un cartello indica la sua presenza e il breve sentierino che conduce al ponte, da dove tra l’altro prendono corso due storici sentieri boschivi: il “Sentiero dei sette seccherecci” (locali in pietra per l’essiccazione delle castagne) e il “Sentiero dell’acqua pendente”.

A seguito della morte di Guglielmo della Pietra, ultimo erede di Opizzone, nel XIV secolo la giurisdizione del castello e le sue terre passarono nelle mani degli Spinola. Risale proprio a quel periodo, precisamente al 1452, una lettera di Francesco Sforza, Duca di Milano, ai suoi agenti, nella quale esprimeva il desiderio di “spianare” il Castello della Pietra, rifugio di Filippo Spinola.
Nel 1518 si registra l’ennesimo passaggio di proprietà, quando il castello venne ceduto per disposizione testamentaria alla famiglia Adorno. Il testamento è datato al 7 giugno 1518 e specifica il volere di Tolomeo Spinola in favore dei fratelli Antoniotto e Gerolamo Adorno.
L’unico episodio turbolento della storia della fortezza risale proprio a quel periodo, precisamente al 1579, quando il Castello della Pietra venne espugnato da alcuni banditi. Il Senato della Repubblica di Genova affidò immediatamente al comandante Giorgio Centurione l’incarico di guidare una veloce spedizione e la fortezza fu riconquistata mettendo rapidamente fine all’occupazione.
Nel 1620 l’imperatore Mattia d’Asburgo lo annesse al feudo Pallavicino in Val Borbera, sancendo così la fine del suo potere giurisdizionale autonomo. Nonostante questo rimase uno degli enclave più importanti della zona fino al 1797, quando giunsero sull’Appennino le truppe francesi e, per volere di Napoleone Bonaparte, vennero soppressi tutti i Feudi Imperiali. Il maniero fu così abbandonato dall’ultimo carismatico castellano, Michele Bisio, e dopo qualche anno fu dato alle fiamme decretandone così la progressiva rovina.
In molti si affrettarono a depredarne le ricchezze e lo stesso vescovo di Tortona non si fece sfuggire l’occasione di ottenere un prezioso bottino, ordinando di prelevare il bronzo dei cannoni così da poterlo poi utilizzare per la fusione delle campane della chiesa di Santa Croce di Crocefieschi.
I ruderi dell’antico castello restarono comunque di proprietà dei Botta Adorno fino al 1882, anno in cui fu ceduto alla famiglia Cusani Visconti. Entrati nel XX secolo, il castello non cessò di essere protagonista di svariati passaggi di mano. Infatti, il 21 maggio del 1919 l’allora proprietario Luigi Riva Cusani lo vendette a Giovanni Battista Beroldo di Vobbia e furono proprio gli eredi della famiglia Beroldo, nel 1979, a donare a titolo gratuito il Castello della Pietra al Comune di Vobbia.

Una volta entrata a far parte del patrimonio comunale, l’opera divenne oggetto dei primi lavori di restauro. Il passaggio da proprietà privata a bene pubblico fu assolutamente fondamentale per riuscire ad accedere ai finanziamenti pubblici. I primi fondi vennero messi a disposizione nel 1980 e permisero di avviare i necessari lavori di blocco del degrado murario. Il Centro di Studi Storici Alta Valle Scrivia, potendosi avvalere del sostegno delle amministrazioni competenti, del supporto tecnico della Soprintendenza ai Beni Archeologici della Liguria e dell’ancor più prezioso intervento di numerose associazioni di volontari, iniziò nel 1981 una campagna di sgombero delle macerie il cui livello massimo è reso attualmente visibile dalla linea rossa dipinta sulle pareti. I materiali così recuperati sono in parte esposti al Museo Archeologico Alta Valle Scrivia ad Isola del Cantone e ricoprono un arco cronologico di ben 400 anni (1400 -1800), documentando la semplice vita quotidiana degli abitanti della fortificazione, ovvero la famiglia del castellano e i pochi soldati di guardia.

Le condizioni di degrado dell’insediamento fortificato erano talmente avanzate che fu un’impresa decisamente ardua predisporre un progetto per i successivi lavori di restauro, in quanto la sua complessità si rifletteva sia sotto il profilo della conservazione sia sotto l’aspetto storico.
In primis gli sforzi vennero concentrati nella ricostruzione della volta del salone centrale mediante l’utilizzo di una centina in legno di castagno di eccezionale fattura e nel ripristino della copertura lignea dell’avancorpo, sempre nel rispetto di quanto riportato nelle seppur poche testimonianze documentali e archeologiche. Da questo vano centrale si accede al cosiddetto camminamento di ronda che si svolge attorno al torrione ovest fino ad affacciarsi sul fondo valle, davanti alla mole verticale della Sella del Diavolo, possente monolite roccioso ai cui piedi il Vobbia descrive le sue anse. In questo spazio, a sviluppo lineare, si aprono alcune feritoie e non è escluso che vi fossero allocate le bocche da fuoco menzionate nel testamento di Tolomeo Spinola.
È bene sottolineare come tutti gli interventi operati siano stati realizzati secondo la metodologia del restauro critico, cioè rispettando un rigore filologico che consente una chiara lettura di quanto è stato introdotto, rendendolo sempre distinguibile dal tessuto murario preesistente pur garantendo una coniugazione semplice e funzionale dei vari elementi. Il restauro così operato ha consentito una piena riappropriazione dell’organismo architettonico, tanto significativo nel contesto territoriale in cui è inserito, restituendone anche figurativamente quell’immagine talmente unica da segnare profondamente il paesaggio, a tal punto da divenirne parte integrante.
Per ovviare al problema del trasporto dei materiali in un luogo così impervio e scosceso risultò anche necessario installare una teleferica. Solo successivamente venne rimesso in sicurezza il lungo sentiero in rovina nel bosco, ripristinando la fruibilità dell’unico collegamento alla strada provinciale. Le pietre recuperate durante i lavori sul sentiero, rinominato Sentiero dei Castellani, furono in gran parte destinate al consolidamento del castello, al fine di conferire alla fortificazione un aspetto il più possibile vicino all’originale.
Durante i lavori di restauro non mancarono eccezionali scoperte. Basti ricordare come quelle che erano sempre state ritenute delle stanze sotterranee si scoprirono essere, con grandissima sorpresa, tre distinte vasche di raccolta dell’acqua piovana. Tutte e tre erano impermeabilizzate da uno strato di malta e calce spesso un paio di centimetri, conservatosi solo in corrispondenza dei livelli inferiori, protetti dai detriti. Le cisterne erano alimentate da acqua piovana raccolta dalle falde del tetto e successivamente convogliata attraverso dei sistemi di tubature fittili ancora in parte visibili all’interno dei muri. Le tre vasche erano molto probabilmente collegate tra loro, per una capienza complessiva di circa 100 m3. Secondo le stime, una tale quantità d’acqua avrebbe dovuto garantire un’indipendenza dalle fonti di approvvigionamento esterne di almeno sei mesi, permettendo alla fortezza di resistere anche ad un lungo assedio. Infine, sicuramente curioso il fatto che una delle cisterne fosse accessibile solo grazie ad una botola posta nel salone principale.

Terminato il restauro iniziarono i lavori di installazione dei camminamenti in elementi metallici grigliati costituenti il percorso di visita.
A partire dal 1993 il Castello della Pietra è infatti visitabile negli ambienti interni ed è parte integrante del patrimonio tutelato dal “Parco Regionale Naturale dell’Antola”.
La visita si articola generalmente in cinque sezioni:
- il primo avancorpo trapezoidale, a protezione del corpo principale e probabile magazzino o prigione;
- il salone centrale, dove si svolgeva la vita sociale;
- il camminamento di ronda;
- il salone superiore;
- il torrione maggiore, al quale è possibile accedere seguendo un percorso che si snoda in parte su passerella in parte su roccia.
Nel 2008 è stato inoltre realizzato un pregevole allestimento costituito da una serie di pannelli che illustrano, insieme ad alcuni diorami, la storia, il recupero e l’architettura del Castello della Pietra. L’ultimo intervento, reso possibile dai Fondi Europei P.O.R. Fesr 2007 – 2013, ha invece previsto la realizzazione di una mostra permanente sui castelli della Valle Scrivia, caratterizzata da un grande modello plastico dove compaiono tutti gli insediamenti fortificati che ne hanno segnato la storia, esaustivamente raccontata da una serie di pannelli esplicativi.
Il castello è facilmente accessibile dal piazzale sterrato ricavato dalla strada provinciale alla base dei torrioni. Nei pressi del leggendario Ponte di Zan parte l’itinerario didattico che illustra la storia del castello e della Valle del Vobbia. Si sale a piedi verso il misterioso maniero, prima immersi nel bosco, poi circondati dalla roccia, fino a raggiungere il corpo di ingresso che introduce alla fortezza.
Più impegnativa ma sicuramente più appagante l’alternativa del Sentiero dei Castellani. Il sentiero rappresenta il naturale collegamento tra Vobbia e il suo castello, attraverso un tracciato utilizzato dai valligiani per arrivare alla roccaforte. L’intero percorso è marcato da una croce gialla, tipico segnavia geometrico in uso nella provincia di Genova, e parte dalla frazione Torre del paese di Vobbia (475 m). L’itinerario si sviluppa in una serie di posti tappa, ognuno dei quali incentrato su un peculiare aspetto naturalistico, storico o culturale del territorio. L’iniziale bosco di rovere e roverella lascia progressivamente spazio ad ambienti più aperti e dirupati, da cui godere di uno splendido panorama sull’intera vallata. Aggirato un ultimo sperone ecco comparire in lontananza il castello, la cui mole poderosa e incombente suscita fin da subito un’irrefrenabile tensione suggestiva. Non resta che superare l’ultimo tratto sulla nuda roccia sedimentaria per ritrovarsi catapultati in un luogo apparentemente senza tempo, l’ennesima sublime perla di un territorio che non finisce di meravigliare.

Se siete interessati a percorrere il Sentiero dei Castellani e a visitare lo straordinario Castello della Pietra non esitate a contattarmi!
Sono Luca Caviglia, Accompagnatore di Media Montagna iscritto al Collegio delle Guide Alpine del Piemonte e membro del gruppo di accompagnatori e guide alpine “Hike&Climb Liguria”.
Nato a Genova nel 1991, mi sono prima laureato in “Scienze Naturali” presso l’Università degli Studi di Genova e successivamente ho conseguito il titolo Magistrale in “Evoluzione del comportamento animale e dell’uomo” presso l’Università degli Studi di Torino, con specializzazione in ricerca e gestione di carnivori e ungulati.
Amo la montagna in tutti i suoi molteplici aspetti e ogni mia escursione vuole essere una tavolozza piena di colori, con cui dipingere insieme ai partecipanti le meraviglie del nostro territorio.
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