La fine del grande Filippo Lippi, pittore fiorentino amato dai Medici

L’affascinante e arroccata Spoleto (PG), nell’arco della sua storia millenaria, ne ha viste diverse: l’arrivo degli Umbri, la conquista dei Romani che la attraversano con una delle vie più importanti del loro impero, ovvero la Flaminia, l’età dei potenti Duchi longobardi, il passaggio di San Francesco, una rocca pontificia, dei festival internazionali e addirittura delle riprese cinematografiche (per Fellini, De Sica, Verdone, nonché tuttora per la Fiction “Don Matteo”).

Tra le tante avventure che la cittadina potrebbe narrare se avesse la voce, c’è quella legata al pittore che si è occupato di adornare il suo bel Duomo nel Quattrocento; si tratta di un fiorentino celeberrimo, sia poiché eccelleva nel suo mestiere, sia perché ha avuto un percorso biografico non comune: Fra Filippo Lippi.
Filippo nasce presso il capoluogo toscano nel 1406 e resta presto orfano di madre. A otto anni viene mandato con il fratello dai frati del Carmine, in Oltrarno, e prende i voti giovanissimo, a 15 anni. Mosso forse più da un interesse verso le arti, piuttosto che dalla fede, si reca spesso nella chiesa del convento (Santa Maria del Carmine, Firenze) e trova sempre l’occasione di scrutare i due artisti, Masaccio e Masolino, che stanno affrescando la Cappella Brancacci: così, si appassiona alla pittura, si esercita e scopre che la cosa gli riesce anche bene! Ottiene infatti diverse commissioni toscane, durante una delle quali sventuratamente s’innamora di una bellissima monaca ed è a sua volta ricambiato; quando Lucrezia, scappata con lui dal Monastero di Santa Margherita di Prato, resta incinta, si solleva uno scandalo che parte dalla curia arrivando fino alle orecchie del Papa e soltanto l’intercessione di Cosimo il Vecchio de Medici placherà i fervori. La potente famiglia che governa Firenze ama lo stile pittorico di Filippo, lo protegge e gli commissiona diverse opere nel corso degli anni.

L’Opera del Duomo di Spoleto, aggiornata sulle novità artistiche rispetto ad altri centri umbri, chiama il Lippi per affrescare la tribuna della Cattedrale di Santa Maria Assunta e nel 1467 si dà l’avvio ai lavori.
Il progetto è quello di rappresentare i momenti salienti della vita della Vergine, a cui è dedicato il luogo di culto e che si intende celebrare sontuosamente.
Dietro all’altare, nella parte sinistra della struttura emisferica, troviamo l’Annunciazione della Vergine: una bionda e aggraziata Maria, colta nell’atto di leggere un libro entro una loggia sormontata da un’architettura elegante e signorile, riceve la visita dell’Arcangelo Gabriele; in alto, Dio le infonde lo Spirito Santo (e quindi la maternità).

All’estrema destra, invece, in una scena più povera ambientata in un palazzetto diruto; Gesù è già nato e sta per essere adorato da due giovinetti. Il Lippi, famoso per la sua originalità, inserisce un dettaglio che richiama la quotidianità: il cestino con un fagotto, in basso a destra, accanto a San Giuseppe.

Al centro, infine, due brani stupefacenti. Nella parte inferiore, la Dormitio Virginis, ovvero il solenne riposo della Vergine che non muore, bensì si “addormenta” in attesa di ascendere con tutto il corpo al Cielo, circondata dagli apostoli (e anche da Filippo stesso, col mantello bianco a destra, indicato dalla freccia gialla!) e, in alto, sulla semicupola absidale, il tema più virtuoso, messo lì affinché fosse visibile immediatamente all’ingresso della Cattedrale (ecco perché l’andamento delle pitture non segue un filo temporale da sinistra a destra): l’Incoronazione di Maria, Regina dei Cieli, in Paradiso, attorniata da angeli, Santi e Sante, Profeti e personaggi delle Sacre Scritture.

Lo strabiliante progetto decorativo, che contemplava un’armonia tra l’architettura reale della chiesa e quella dipinta, non viene però ultimato da Filippo, che inaspettatamente muore due anni dopo, nel ’69, a 64 anni, secondo alcune dicerie avvelenato per la sua condotta controversa da ex-frate, devoto sì, ma alle giovani donne.
Il suo corpo non viene riportato in Toscana ma si seppellisce lì a Spoleto per volontà dei suoi abitanti, in Duomo, dove ha svolto gli ultimi momenti di quella che era per lui una grande passione; il fatto è ancor più sorprendente se si pensa che in Umbria, a quel tempo, è un fatto più unico che raro trovare tombe di artisti all’interno dei luoghi di culto. La perdita di un grande pittore addolora la famiglia Medici, la quale dapprima ne richiede le spoglie per poterle custodire in Santa Maria del Fiore a Firenze, la Cattedrale della città; poiché Spoleto si oppone, secondo ciò che riferisce quasi un secolo dopo Giorgio Vasari nel suo scritto intitolato Le Vite dei più eccellenti, pittori, scultori e architetti, Lorenzo il Magnifico in persona predispone una grande sepoltura pagando 100 ducati per un sepolcro di marmo, disegnato dal figlio artista di Filippo e arricchito dai distici in latino dell’umanista prediletto Angelo Poliziano. Al di sotto del ritratto del defunto, oltre al tipico iris fiorentino replicato due volte, si nota chiaramente lo stemma familiare del committente (con le famose “palle” medicee), il cui nome ricorre anche nei versi dell’epitaffio.

Dei due figli avuti dalla monaca Lucrezia, il più grande, come anticipato, segue le orme del padre: chiamato Filippino, sarà proprio lui nel 1480 a ultimare gli affreschi lasciati a metà, circa cinquant’anni prima, nella cappella Brancacci da Masaccio e Masolino, nel luogo fiorentino che aveva fatto appassionare il padre all’arte della pittura da ragazzo, chiudendo così il cerchio delle vicende insolite e avventurose di questa famiglia artistica.

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Ciao, sono Gioia! La mia vita è eternamente legata a due regioni: l’Umbria, mia terra d’origine e di residenza e la Toscana, il luogo che mi ha fatto comprendere quale fosse davvero la strada giusta da percorrere: l’arte e la promozione del Patrimonio culturale locale.
Ho incentrato infatti la mia tesi di laurea di Storia dell’arte sugli affreschi aretini del Quattrocento e poi ho scelto di diventare una Guida turistica abilitata a Firenze e Accompagnatrice turistica. Lì, tra i Palazzi appartenuti alla famiglia de’ Medici e i grandi artisti del Rinascimento, ho trovato per qualche anno la mia dimensione ideale; il mio cuore, però, mi ha lentamente riportato a fare tour anche a Perugia, Assisi, Spoleto e tutti quei centri caratteristici dell’Umbria, in cui si trovano scorci fiabeschi e interessanti musei presso tre dei quali lavoro anche come dipendente.
Ad essere sincera non c’entra solo il cuore, ma anche la gola: non riesco proprio a dir di no ai piatti e prodotti tipici quali salumi, formaggi, olio, tartufo ma anche agli ottimi vini, da provare assolutamente più di una volta nella vita, senza trascurare il fatto che la mia città di nascita, Perugia, è considerata la patria del cioccolato grazie al famoso Bacio Perugina. Seguimi per delle esperienze emozionanti, per gli occhi e…per la pancia!