Storia di una scoperta
Tra il 26 e il 27 settembre 1957, tutte le testate giornalistiche riportarono la notizia della sensazionale scoperta archeologica avvenuta presso una grotta del Monte Ciannito, a pochi chilometri da Sperlonga. Un ritrovamento che farà scalpore non solo per l’eccezionale scoperta ma anche perché i reperti rimarranno nel luogo dove erano rimasti sepolti per secoli e saranno esposti in un Museo progettato e costruito esclusivamente a questo scopo: il Museo Archeologico Nazionale di Sperlonga.
Siete curiosi di sapere come andarono le cose?
Veduta di Sperlonga La grotta e resti romani sulla spiaggia dell’Angolo
È una storia che inizia secoli fa e che non è ancora conclusa, tanti sono ancora i punti interrogativi che avvolgono questo luogo meraviglioso e magico dove storia, archeologia e leggenda si immergono in uno scenario naturale unico.
Siamo a meno di 3 chilometri dal piccolo borgo di Sperlonga sulla Via Flacca: una strada che oggi percorre tutta la costa, tagliando le montagne a picco sul mare con una serie di gallerie che ci nascondono la vista mozzafiato ma ci riservano all’uscita uno spettacolo unico che arriva fino al promontorio di San Felice Circeo e si apre all’orizzonte verso Ponza e Ventotene.
San Felice Circeo da Sperlonga Ponza dall’Antica Via Flacca
Quando nel IV secolo a.C. la conquista di Roma si spinse verso sud con il progetto e la costruzione della Via Appia, questo breve percorso di costa rimase tagliato fuori: da Terracina infatti, la Regina Viarum sfidava i Monti Ausoni e Aurunci per giungere sul mare solo qualche miglio più a sud, nella città di Formia.
Tracciato della Via Flacca dettaglio Tratto di costa da Terracina a Gaeta evidenziato in rosso
Sarà solo nel II secolo a.C., grazie al censore Lucio Valerio Flacco, che i Romani provvederanno ad aprire un tragitto che da Terracina porterà fino a Gaeta passando per Sperlonga, sia per incentivare l’economia locale – grazie allo sviluppo delle vie di comunicazione – sia per agevolare il percorso ai nobili romani verso le loro ville.
Questo tratto di costa era infatti l’ideale per costruire le residenze estive dove riposarsi e godere del clima e del paesaggio meraviglioso e mi piace pensare che la via non sia stata progettata per i passaggi delle milizie ma solo per agevolare il cammino anche se alcune fonti ne parlano come una strada ad uso militare che rispettava la larghezza di almeno 4 metri ma che oggi, anche a causa del cedimento della costa, si presenta più come un sentiero.
L’antica via costeggiava le alte scogliere a picco sul mare e non pochi furono i problemi che gli architetti e gli ingegneri romani si trovarono ad affrontare.
Muniti di un po’ di sano senso dell’avventura e facendo molta attenzione a dove si mettono i piedi, si può avere ancora oggi l’emozione di ammirare i resti delle mura megalitiche costruite a sostegno del percorso che correva sulla scogliera, resti di opus reticulatum, un arco naturale adattato dalla mano dell’uomo per permettere il transito, dove il sole si inquadra perfettamente al tramonto.
Ad oggi, solo pochi tratti sono stati resi agibili e uno di questi si trova sul fianco del Monte Ciannito proprio sopra il sito di nostro interesse: la Villa Marittima dell’Imperatore Tiberio e la sua famosa grotta.
Il passaggio ad arco dell’antica Via Flacca Panoramica dall’Antica Via Flacca
Parliamo proprio dell’Imperatore Tiberio, figlio adottivo di Ottaviano Augusto e suo successore nel 14 d.C.: la sua villa era situata in grandi linee lì dove oggi corre la nuova strada e lungo la spiaggia dell’Angolo, chiusa verso est dalla grotta del Monte Ciannito: la famosa Spelunca menzionata negli scritti di Svetonio e Tacito che, seppur citata svariate volte, era difficile da individuare visto il cospicuo numero di grotte lungo il litorale e visto che le indicazioni degli storici parlavano genericamente di una grotta, parte della villa dell’Imperatore nei pressi di Terracina.
Insomma, indizi ce ne erano davvero pochi per poter identificare la Spelunca di Tiberio proprio in quella che si apre nel Monte Ciannito. Ma vediamo che succede…
Tratto dell’Antica Via Flacca sul Monte Ciannito Il sito archeologico della Villa di Tiberio visto dall’Antica Via
Facciamo un salto di secoli e arriviamo negli anni ’50, quando venne decisa la costruzione di una strada che finalmente collegasse quel tratto di costa meraviglioso e garantisse, nell’immediato dopoguerra, lo sviluppo economico e turistico di quei bellissimi luoghi e dei piccoli borghi di Sperlonga e Gaeta, fino ad allora tagliati fuori da qualsiasi via di comunicazione.
E fu proprio nel settembre del 1957 che il progresso inciampò nell’antico, grazie alla curiosità dell’Ingegnere Erno Bellante che seguiva i lavori di costruzione della strada.
Furono i racconti degli abitanti della zona che parlavano di continui affioramenti di reperti antichi e le menzioni fatte negli scritti degli storici romani, a spingere l’Ingegnere a perlustrare la zona della spiaggia nei pressi della grotta.
Una perlustrazione come le altre, in una zona ricca di resti di ville romane ma destinata ad entrare nella storia come la più grande scoperta archeologica del XX secolo.
La nuova Via Flacca: galleria della spiaggia di sant’Agostino Sperlonga vista dal Monte Ciannito e Terracina sullo sfondo
La grotta faceva ormai parte del paesaggio naturale quotidiano nella vita degli Sperlongani e veniva utilizzata per il ricovero di barche; la zona era già stata oggetto di spoliazioni e altri reperti, portati alla luce dalle mareggiate, venivano a volte prelevati dagli abitanti che, lungi dal riconoscerne il loro valore archeologico, li utilizzavano al meglio per scopi meno elevati ma sicuramente più pratici.
Il mare quindi ogni tanto regalava un tassello ma aveva lavorato pazientemente per secoli nel portare sabbia e detriti nella grotta, dove la vegetazione era poi cresciuta nascondendo e celando alla vista e alla memoria secoli di storia e di arte.
La Grotta e le piscine La Grotta: dettaglio ovest
Nell’agosto del 1957 durante la costruzione della strada, erano già stati effettuati dei sopralluoghi da parte del Prof. Giulio Iacopi della Soprintendenza alle Antichità di Roma e si era constatata la presenza di strutture antiche presso la spiaggia.
L’Ingegner Erno Bellante era un appassionato di archeologia e offrì tutto il suo aiuto nell’esplorazione dei dintorni accordandosi con il Soprintendente per un sopralluogo lungo la costa che doveva essere effettuato dopo il ritorno del Prof Iacopi da un viaggio di lavoro.
Ma non fu così e, per nostra fortuna e per quello di tutto il mondo delle scoperte, la curiosità e l’istinto di un ingegnere ebbero il sopravvento sulle conoscenze di un archeologo e il 9 settembre Bellante decise di procedere da solo negli scavi presso la grotta: una decisione che come vedremo porterà a una sorta di incidente diplomatico con la Soprintendenza.
Durante questi primi scavi venne alla luce la piscina circolare e al suo interno, coperti dalla sabbia, frammenti di marmo tra cui un braccio, una coscia e un piede giganteschi, teste barbate, una mano che sembrava afferrare le spire di un serpente.
Gamba e braccio di Polifemo Gruppo di Scilla dettaglio Piede Polifemo
L’Ingegnere provvide immediatamente ad inviare le foto dei ritrovamenti alla Soprintendenza ma il Prof Iacopi prese atto della scoperta solo al suo ritorno e come si può immaginare, l’accaduto non fu proprio di buon auspicio per una proficua collaborazione né tantomeno per un’amicizia tra i due.
Il Soprintendente iniziò ad occuparsi personalmente degli scavi e le sue conoscenze di archeologo individuarono immediatamente un dettaglio: due frammenti di un’iscrizione in lingua greca che uniti come un puzzle diedero un nome: Agesandro.
Un altro frammento, un altro nome: Athanadoro; mancava il terzo, Polidoro, ma per il Professore la certezza di trovarsi davanti a una copia del famoso gruppo del Laocoonte, scolpito dai tre artisti rodii e conservato ai Musei Vaticani, arrivò anche da quelle spire avvolgenti.

Vista l’importanza della scoperta, il 26 settembre si decise che i reperti dovevano essere trasferiti a Roma per iniziare il restauro ma Erno Bellante – definito da Iacopi come uno scavatore non autorizzato, il che equivaleva a dire abusivo – cercò di opporsi ma riuscì ad ottenere solo un rinvio di un giorno con la richiesta di essere presente alla consegna.
In quelle 24 ore però qualcosa accadde perché il giorno dopo il Prof Iacopi si trovò a fronteggiare una rivolta che non avrebbe mai potuto immaginare.
Durante quelle ore il Bellante, certo che quei reperti dovessero rimanere nel luogo dove erano stati ritrovati, aveva fatto le sue mosse parlando con gli abitanti di Sperlonga e coinvolgendo qualche personalità del mondo della politica incluso il Sindaco della cittadina che, non essendo mai stato interpellato dalla Soprintendenza, si schierò ovviamente dalla parte dell’Ingegnere e rivendicò il diritto del popolo di Sperlonga a mantenere quei tesori lì dove erano stati rinvenuti: un altro incidente diplomatico che sarà decisivo per il destino dei reperti.
Una vera rivolta quindi, in forma di sit-in pacifico – con qualche lancio di palle di fango – bloccò il trasporto dei marmi che erano già stati caricati sui camion pronti per il loro viaggio verso Roma. Un intero paese scese alla spiaggia rivendicando il diritto di mantenere in loco quanto scoperto con l’esplicita richiesta di effettuare sul posto i relativi lavori di pulizia e di restauro.
In pochi giorni la notizia divenne virale anche senza i social che utilizziamo al giorno d’oggi e il 20 ottobre la grotta vedrà addirittura la visita di S.M. il re Gustavo Adolfo VI di Svezia e folle in attesa di poter esplorare il luogo dell’ormai celebre ritrovamento.
Gli scontri tra la Soprintendenza e le autorità di Sperlonga però continuano: la prima decide la chiusura del sito a chiunque, nonostante la fila dei curiosi aumenti di giorno in giorno e persino al Vice Sindaco viene vietato in malo modo l’accesso.
L’Amministrazione del Comune e gli stessi cittadini cominciano ad averne abbastanza e il clima teso viene documentato da una serie di lettere nelle quali la Soprintendenza viene accusata di non tenere in alcuna considerazione né i rappresentanti del Comune né gli stessi cittadini di Sperlonga.
Per lunghi mesi la tensione non si scioglie ma i lavori all’interno della grotta continuano e alla fine di gennaio si parla del ritrovamento di oltre 5000 reperti tra cui la bellissima presunta testa di Ulisse e innumerevoli frammenti marmorei come teste canine e spire pisciformi che rivelano un nuovo gruppo: l’attacco del mostro Scilla alla nave di Ulisse.



Il Prof. Iacopi non esclude ancora però la presenza del gruppo di Laocoonte nonostante non ne trovi traccia in un’iscrizione, rinvenuta negli scavi e firmata dal probabile ideatore della scenografia, che descrive le statue presenti nella grotta dove si conferma la presenza di un gruppo dedicato a Scilla e si parla chiaramente anche del gruppo di Polifemo, i cui arti giganteschi sono venuti alla luce durante i primi scavi.
Chi fosse questo Faustinus Felix che firma l’iscrizione non è dato sapere e la supposizione che fosse l’amico poeta di Marziale non quadrerebbe con il periodo di Tiberio ma la tavoletta si rivelò fondamentale per il riconoscimento delle opere ridotte in pezzi.
Iscrizione di Faustinus Il gruppo di Polifemo ricostruzione
Vengono trovati anche i frammenti appartenenti a gruppi differenti: il cosiddetto Pasquino che secondo la tradizione rappresenta Menelao che tiene tra le braccia Patroclo morente (si saprà invece in seguito che il gruppo rappresenta Ulisse che tiene tra le braccia Achille); la statua che ferma il momento del ratto di Ganimede, principe di Troia, da parte di Giove tramutatosi in aquila e una statuetta rappresentante il Palladio che nell’antichità proteggeva le città. Si abbandona l’idea di trovarsi davanti ad una copia del Laocoonte ma quanto rinvenuto è ancora più straordinario.
Ganimede rapito dall’aquila Testa di Ganimede Dettaglio del cosiddetto gruppo del Pasquino: Ulisse sorregge Achille morente Dettaglio del cosiddetto gruppo del Pasquino: Piedi di Achille
Il problema di come conservare e proteggere i reperti si fa sempre più urgente, i marmi sono infatti tenuti all’interno della grotta, sul terreno o su palanche di legno allestite per l’emergenza ma sono esposte alle intemperie e al rischio di mareggiate ora che si è arrivati al mese di dicembre.
L’Ing. Bellante nel frattempo viene considerato come un eroe dai cittadini di Sperlonga: è non solo colui che ha effettuato il ritrovamento ma anche chi ha impedito il viaggio dei reperti verso Roma dove, una volta restaurati, sarebbero stati esposti al Museo Nazionale Romano.
Questo è infatti il piano della Soprintendenza e Iacopi, lamentando lo stato in cui vengono mantenuti i reperti, spinge per questa soluzione ovviamente contrastato ancora una volta dal primo cittadino e dagli abitanti di Sperlonga.
Fortunatamente si comincia a ventilare l’idea di costruire un Antiquarium sul luogo del ritrovamento e il Ministero della Pubblica Istruzione chiede allo stesso Iacopi di effettuare uno studio preliminare sul luogo adatto.
Dalla risposta dell’archeologo si evince una certa resistenza e leggendo la missiva non si può fare a meno di notare, con una certa antipatia, la lunga serie di motivi che Iacopi accampa per ostacolare l’idea della costruzione di un Antiquarium o di un Museo in loco.
I dubbi nel mantenere i reperti sul posto in una struttura atta a riceverli vanno dalla poca risonanza presso il pubblico internazionale (come dire Sperlonga non è Roma) al rischio di cerare un pericoloso precedente che incoraggerà tutte le realtà locali a fare altrettanto, andando in questo modo a svuotare di capolavori il Museo Nazionale Romano che avrebbe accresciuto la sua importanza nell’esporre i gruppi di Sperlonga.
E ovviamente si parla di spese spropositate per mantenere e restaurare in loco i reperti.
La questione di accentrare tutto il materiale archeologico nei grandi musei romani poteva avere un suo perché nell’immediato dopoguerra ed era dettata dal timore che, conservando i marmi in un luogo sconosciuto lontano dalla capitale – come nel caso di Sperlonga – non venisse data la giusta e meritata rilevanza a quei capolavori.
Insomma che dire, la zona veniva considerata arretrata e senza sbocchi e, a detta del Soprintendente, lasciare lì i reperti conservandoli in un luogo senza storia e senza tradizione avrebbe sminuito persino l’importanza del ritrovamento.
Ma per fortuna già nell’agosto del 1958 i toni si smorzano anche se il prof Iacopi continua a mantenere la sua rigida posizione sempre adducendo il motivo economico.
Il numero dei reperti è salito vertiginosamente anche se le ricerche sono state ostacolate continuamente dalla presenza in loco di ordigni bellici inesplosi ma in totale verranno portati alla luce circa 15.000 frammenti di marmo che riportano quasi tutti alla scuola rodia.
Erano quindi opere eseguite da artisti che si sarebbero spostati a Roma nel 42 a.C. dopo il saccheggio di Rodi e che operarono nella tarda età augustea a Roma: gli autori del Laocoonte e dei gruppi di Scilla e Polifemo, questi ultimi ritrovati durante gli scavi.
Tiberio, che era probabilmente nato a Fondi a pochi chilometri da Sperlonga e nella stessa città della madre Livia Drusilla andata in sposa a Ottaviano Augusto, era uno sfrenato e appassionato collezionista amante dei miti greci e fece realizzare questa incredibile scenografia all’interno della grotta dedicata ad Ulisse e alle sue gesta: l’incredibile Odissea di Marmo.
Ricostruzione della scenografia dell’Odissea di Marmo Il ratto del Palladio da parte di Diomede ed Ulisse Il ratto del Palladio dettaglio
Il 26 novembre 1963, a soli 6 anni dal ritrovamento, il Museo progettato dall’Ingegner Giorgio Zama e con i lavori diretti dagli architetti Giuseppe Zander e Vincenzo Piccini venne inaugurato. Il Ministero della Pubblica Istruzione e la Cassa del Mezzogiorno sostennero le spese per la progettazione e la costruzione.
Il Museo Archeologico Nazionale di Sperlonga Targa d’ingresso al Museo Il sito archeologico
Una serie di accadimenti e la determinazione di un popolo hanno reso possibile tutto questo: l’Ingegner Bellante è ancora oggi considerato alla stregua di un eroe, contrariamente – e forse anche ingiustamente – al suo antagonista, il Prof Iacopi.
La sua intuizione portò alla scoperta e diede forza alla voce di una città, di un borgo marinaro tagliato fuori dalle grandi vie di comunicazione e abitato da gente umile e testarda, gente che lottò senza sapere forse nulla di archeologia, di greci e di artisti ma che si rivoltò quando la mano del potere si allungò sulla sua terra per strapparne le radici.
Guidati dal sindaco Antonio La Rocca – allora quarantenne – gli Sperlongani affrontarono con determinazione e dignità i camion che venivano a portare via la storia che gli apparteneva, reclamando a gran voce il diritto di esistere, di poter decidere e di combattere per mantenere il tesoro che la loro terra gli aveva regalato.

C’è una storia importante quindi dietro il bellissimo sito e il Museo di Sperlonga che non è solo quella dell’Imperatore Tiberio ma è un susseguirsi di vicende che arrivano fino ai nostri giorni ed è importante conoscerla mentre si ammira l’Odissea di Marmo e si scende fino alla spiaggia, lì dove Tiberio aveva addobbato la sua Spelunca da dove poteva godere il tramonto del sole circondato dalle gesta di Ulisse: l’eroe senza paura descritto da Omero che, dopo mille peripezie, ambisce solo a tornare in patria per riabbracciare la sua amata sposa.
Secoli più tardi Dante Alighieri lo presenterà come un uomo animato dal desiderio di conoscere più che dal desiderio del ritorno.
L’Ulisse di Omero lo porto nel cuore fin da bambina e lo identifico con la bellissima testa conservata nel Museo di Sperlonga ma come non rimanere affascinati dalle parole di questo eroe stanco e condannato all’Inferno come consigliere di frode:
Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza.

NdA: Quando verrete a visitare questo luogo incredibile – che è riduttivo chiamare Museo – ricordatevi di questa storia ma sappiate che c’è molto di più da raccontare e da sapere oltre che ammirare la bellezza e la forza espressa da quei corpi di marmo distrutti da mano ignota e nascosti per secoli.
Le lettere che documentano la storia del ritrovamento sono pubblicate nell’interessantissimo libro di Marisa De Spagnolis: L’Antologia Omerica di Sperlonga – AliRibelli Ed.
VALERIA SIMEONE
Ciao a tutti! Mi chiamo Valeria e sono guida turistica abilitata e accompagnatore turistico.
Sono nata a Gaeta, un’incantevole cittadina sul mare ricca di storia e baciata da una natura spettacolare ma ho vissuto tanti anni tra l’Umbria, Bologna e nove dei miei anni più belli a Venezia. Sono poi tornata nella mia città e qui ho scoperto il mestiere più bello del mondo: un lavoro che mi ha fatto guardare la mia terra con occhi diversi e mi ha insegnato ad amare questi luoghi profondamente. Gli anni vissuti in giro per l’Italia mi hanno poi reso più facile e appassionante il lavoro di Accompagnatore Turistico che svolgo in tutta Italia per clienti americani e australiani.
Come Guida Turistica invece, lavoro nella Regione Lazio e più esattamente nella Provincia di Latina. Una Provincia giovane che ha riunito due mondi storicamente diversi: il Regno di Napoli e lo Stato della Chiesa: una terra ricca di storia, leggende e non solo. La chiamano La Riviera di Ulisse!
Perché questo nome? Lo scopriremo insieme ed esploreremo i luoghi più belli di questa terra incantata perché si sa… con la guida è TUTTaUN’aLTRaSTORIa!
Contatti
Cell: 3280871699
Email: vale.ria@libero.it
Facebook: Valeria Simeone Guida Turistica
https://www.facebook.com/Valeria-Simeone-Guida-Turistica-1983479218387562/