Un borgo di vignaioli e portuali alle porte di Genova
Nel crogiuolo di intensi contrasti del Genovesato troviamo, oggi, molte singolarità insediative che appaiono quasi incredibili se immaginate a così stretto ridosso del sistema urbano. È vero che la struttura tentacolare della città è inclusa nel lungo perimetro di quella che nel secolo scorso veniva chiamata la Grande Genova, con una superficie amministrativa (oggi) di ben 246 kmq. È vero anche che fino a non molto anni or sono i libri di geografia e storia individuavano nella Superba il terzo polo del “triangolo industriale” caposaldo (croce e delizia…) della rinascita economica e civile del secondo dopoguerra.
Da questo incrocio di situazioni che poco riscontro hanno nel continente europeo, strettamente appressati alla città troviamo montagne fino ad oltre 1000 m di quota, un Parco Naturale Regionale (il Beigua), una delle porte d’accesso ad un secondo Parco Regionale (Antola) raggiungibile addirittura dal centro cittadino con la famosa e storica ferrovia Genova – Casella che arriva fino alle porte della vicina ed alpestre Valbrevenna, 35 km di litorale urbano in cui si trovano il primo porto d’Italia e lo stabilimento balneare privato più ampio d’Italia; uno dei più vasti sistemi di edifici fortificati collinari dell’intero continente. Oltre al celeberrimo centro storico medioevale, anche questo il più vasto d’Europa.
Basterebbe questo a deviare consistenti flussi turistici verso questa parte di Europa. Stranamente, però, il turismo si diffonde con discrezione nell’area genovese, in conformità al carattere umbratile della comunità ma anche nella sostanziale non considerazione del patrimonio sparso nelle vallate urbane e periurbane, spesso conosciute agli stessi cittadini.
In questo articolo, oltre al consueto invito al viaggio che rappresenta il messaggio ad inchiostro rosso di Posti&Pasti, condivido con i lettori un pixel di questo straordinario territorio sospeso su una delle valli principali che disegnano il territorio genovese ovvero la Valle Bisagno.
Una valle breve e problematica
La Valle Bisagno è breve e tortuosa: appena 25 km ma originata da un fitto reticolo idrografico che si dipana da numerose cime che raggiungono i mille metri di quota. La valle è centrale nello sviluppo di Genova poiché la città cresce per strati partendo dal nucleo storico medioevale ed espandendosi lentamente lungo le linee vallive. Il colle di San Benigno (corrispondente oggi con il porto passeggeri) divide le due vallate urbane principali di Genova: ad ovest la Valle Polcevera diretta verso N ed il Passo dei Giovi (da cui oggi passa la SS35 verso Milano) e ad est la Valle Bisagno diretta verso il Passo della Scoffera e quindi Piacenza attraverso la SS45 attuale. Le due vallate sono due corridoi europei importantissimi e da sempre fortemente transitati ed abitati nonché teatro di dispute commerciali, politiche e militari. Per questo sono sempre state molto importanti sia per le trasformazioni della città di Genova che per le sue vicende insediative che hanno portato anche a suddividere le vocazioni: fortemente produttiva (prima agricola poi industriale) la Valle Polcevera, agricola e residenziale poi vallata dei servizi (tra cui il Cimitero Monumentale) la Valle Bisagno. Quest’ultima è anche più complessa e difficile dal punto di vista morfologico cosa che accentua l’interesse per il visitatore, soprattutto in chiave sportiva e di cultura ambientale.

Dal punto di vista storico e territoriale raccontare le due valli richiederebbe un approccio enciclopedico e potrà essere lo spunto per altre proposte. Oggi l’intera comunità nazionale conosce la Val Bisagno per le esondazioni dell’omonimo torrente che da decenni affliggono Genova. Ininfluenti prima del 1900 (data la configurazione soprattutto agricola della valle) poi via via più rovinose con l’esplosione demografica, in particolare nel secondo dopoguerra e la progressiva edificazione delle sponde e la copertura del tratto compreso tra la ferrovia ed il mare realizzata nell’intervallo tra le due guerre. Lo sviluppo impetuoso dell’industria e del porto svuota rapidamente l’Alta Valle Bisagno (annotatevi i nomi dei comuni di Davagna e Bargagli) con il rapido depauperamento di quella preziosa ricchezza della cultura rurale e montana che hanno lasciato un vasto patrimonio di sentieri, manufatti, cappelle, fontane e chilometri di muri a secco molto meno noti di quelli delle Cinque Terre ma altrettanto audaci per quantità e volume. Le frazioni rurali più alte si svuotano sia quelle incluse nel perimetro di Genova (S. Martino, S. Cosimo, S. Siro di Struppa, Fontanegli) sia quelle al confine con i comuni citati prima che – posti uno sulla destra orografica (Davagna) ed uno sulla sinistra (Bargagli)- salgono con il loro territori fino al passo della Scoffera sotto il crinale appenninico principale. Con l’abbandono del territorio montano, emorragia che non si arresta ed oggi tocca livelli davvero irrecuperabili, si perdono ettari di superfici coltivate, la vite e la produzione di frutta pregiata; l’allevamento del bestiame prima ricchissimo ed oggi ridotto a poche decine di capi. É all’interno di questo quadro, simile a tanti territori italiani, l’originalità del Genovesato proprio per questo straordinario compattamento con le aree costiere, urbane, industriali che convivono con antichi nuclei rurali ancora oggi perfettamente percepibili. Essi diventano testimonianze vive di un cambiamento epocale dove però lo scenario che si prospetta è tutt’altro che roseo.
Da Google Heart l’alta Valle Bisagno; Genova in alto a destra, il Lago Val Noci in basso a destra Canate al centro della selvaggia gola del Rio di Canate, sovrastato dai monti Lago ed Alpesisa Canate di Marsiglia
Canate è oggi un borgo abbandonato ubicato a 595 m. s.l.m. nei pressi del confine nord ovest del Comune di Davagna ma in realtà storicamente collegato alla città di Genova attraverso un esposto percorso a mezza costa lungo il selvaggio solco del Rio di Canate che parte dalla frazione di San Martino di Struppa, comodamente raggiungibile in bus. Dal centro di Genova (Stazione Brignole) centrando le coincidenze dei bus in 40 minuti si arriva a San Martino. In alternativa un lungo e ripido percorso in gran parte su scale (più di gradini) parte dalla frazione Cavassolo (appena fuori dal perimetro urbano di Genova) inerpicandosi sul fondo del Rio Canate attraversando audaci sistemazioni con muri a secco. Lo sviluppo di queste opere fa comprendere il potenziale produttivo che era espresso da questa comunità negli anni d’oro della sua esistenza in cui arrivò anche la luce elettrica (1955) ma mai una strada carrozzabile. Benché le forme e le caratteristiche dei versanti siano particolarmente problematiche si dice che inizialmente l’avversione alla strada fu anche motivata dalla fiera opposizione degli abitanti, gelosi della loro singolare esclusività ed isolamento. La terza via d’accesso è da una delle frazioni di Davagna più vicine a Genova (Marsiglia) dalla quale partirebbe un progetto di viabilità molto discusso di cui accenneremo più avanti. Una delle più interessanti vedute di Canate è dall’alto, scendendo dal Monte Lago (che sta al di sopra del Lago Val Noci di cui si dirà più avanti) che è collocato lungo la dorsale appenninica principale, dove transita l’Alta Via dei Mont Liguri ovvero uno dei trekking di lunga percorrenza più interessanti d’Italia. Da quassù, abbassandosi a rotta di collo lungo il ripido sentiero, si apprezza la sua struttura a forma di freccia con un vertice rivolto verso la valle del Rio di Canate (la Concassa o Concasca) ed il resto del sistema edilizio adagiato su un magnifico ed assolato poggio originatosi da una paleofrana distaccatasi dal ripido e dirupato versante del M. Lago.
Una delle particolarità di questo insediamento, del tutto peculiare in un territorio da sempre connotato da forte religiosità, è l’assenza di una chiesa nonostante la sua esistenza documentata sia plurisecolare. Alcuni studiosi di storia locale ritengono che questo aspetto sia da collegare con un carattere di forte isolamento ma anche con una leggenda di cui non sono mai stati del tutto chiariti gli effettivi contenuti storici: veniva tramandato, fino ad una quindicina di anni addietro dalle nonne ai nipoti, che il primo nucleo abitato fosse stato fondato da saraceni in fuga dalla costa e questo spiegherebbe l’assenza non solo di una chiesa principale ma anche di altri manufatti religiosi, cappelle e piloni votivi, altrove abbondanti nelle valli del Genovesato. e che effettivamente qualche discendente avesse dei tratti somatici orientaleggianti. Il magnifico isolamento del borgo è legato anche all’austerità dei suoi sentieri di accesso. Ve ne sono ben quattro, a testimonianza del suo ruolo importante a cavallo tra le valli (la direttrice del Monte Lago – oggi Alta Via dei Monti Liguri- era una rapida via d’accesso verso la Valle Scrivia e la pianura Padana) ed in relazione piuttosto stretta sia con i nuclei rurali di Genova che di Davagna. L’accesso dalla frazione di Marsiglia di Davagna è il più breve, grazie ad un percorso pedonale di circa un’ora e mezza ed è quello che è stato oggetto dei più recenti (e purtroppo vani a causa del dissesto idrogeologico) interventi di manutenzioni realizzati negli anni ‘90 da una Cooperativa sociale fondata dal noto biblista Don Paolo Farinella che ha rappresentato un tentativo di riscatto per il paese e per i tanti ragazzi che si sono avvicendati qui recuperando buona parte delle aree agricole più vocate. Purtroppo nei primi anni del nuovo secolo quest’esperienza si è interrotta riconsegnando Canate all’oblio.

Si ritiene che il primo impianto del borgo sia databile intorno nato intorno al XII secolo, con una direttrice di sviluppo iniziale lungo la direttrice di mezza costa in direzione San Martino di Struppa, e in parte lungo il più antico percorso di crinale che scende, con la scalinata dei “mille gradini”, verso il ponte medioevale di Cavassolo. La frazione è stata probabilmente sempre piuttosto ricca grazie alla magnifica posizione ed al microclima favorevole che ha sempre consentito produzioni agroalimentari di qualità. i prodotti principali del territorio di Davagna che venivano commercializzati con l’area urbana di Genova erano i pomodori, il vino e il latte (se ne producevano 10.000 ettolitri l’anno). La relazione tra Val Bisagno, nuova portualità di Genova con la cantieristica sviluppata tra la Foce (l’omonimo quartiere prende il nome proprio dalla foce del torrente Bisagno) ed il Porto Antico le ha portato a situazioni molto particolari: tra gli anni ‘50 e gli anni’70 dello scorso secolo alcune famiglie di lavoratori portuali abitavano nel borgo ed ancora oggi i loro discendenti abitano le frazioni della Val Bisagno.

Nel borgo di Canate oggi restano conservati parecchi edifici, seppure con criticità statiche crescenti. Che fosse un borgo ricco è dimostrato dal fatto che la maggior parte delle case ha un’architettura sviluppata in due o tre (n qualche caso quattro) piani con muri intonacati ed elementi esterni ricercati in un contesto montano dove la casa rurale isolata era normalmente in pietra a vista. Numerosi sono i fabbricati dotati di persiane alle finestre con solai di interpiano in calcestruzzo e putrelle in ferro, materiali che hanno sostituito i vecchi impalcati in tavole di legno di castagno, così come le pareti interne eseguite in mattoni e intonacate. Le murature perimetrali sono tutte realizzate in muratura di pietrame, proveniente dalla zona. In coerenza con l’autarchica economia dei monti queste pietre venivano estratte da piccole cave di prestito oppure provenivano dallo spietramento dei terreni una volta concluso il lavoro di costruzione dei muri a secco.
Anche gli arredi che ancora sono visibili nelle vecchie case – e che hanno resistito alle razzie ed al vandalismo- dimostrano la lavorazione degli stessi direttamente sul posto a testimoniare l’abilità manuale della lavorazione del legno, per la creazione di botti, contenitori per il trasporto del latte, scale e utensili da lavoro. Alcune testimonianze orali raccolte da anziani del luogo raccontano di un elevata qualità del vino prodotto come del resto famoso era il vino della Valbrevenna. Il microclima particolare, le condizioni pedologiche restrittive e l’uso di vitigni locali molto rustici sono fattori molto favorevoli alla buona qualità enologica.

L’approvvigionamento idrico era assicurato da fontane (trogoli) che ancora oggi sono funzionanti in particolare quello a centro ad inizio villaggio e che s’incontra percorrendo il sentiero da San Martino di Struppa. La cucina era posizionata al piano immediatamente sopra la stalla o cantina, mentre le camere da letto erano ubicate ai piani superiori della casa; da quello che si può ancora notare oggi le cucine erano dotate di lavandini in marmo alla genovese e “runfò” a legna per la cottura dei cibi. Una elemento caratterizzante nelle case di Canate è la massiccia presenza ai piani terra di botti di legno, torchi e damigiane, a vecchie mangiatoie ancora ben conservate segno evidente della presenza di un elevato numero di capi di bestiame, per lo più bovini, che durante il periodo primaverile ed estivo venivano portati al pascolo sulle pendici dei monti Alpesisa e Lago.
Alla fine degli anni ’40 Canate era abitato da una trentina di famiglie per circa 150 persone, mentre nel 1951, dati censimento ISTAT, i residenti erano ancora 96. Nel 1958 la costruzione della strada per Marsiglia avviò lo spopolamento di Canate e del vicino villaggio di Scandolaro, così chiamato perché ivi si costruivano doghe per botti ma, soprattutto, scandole di legno per la copertura dei tetti. Un interessante filiera corta del legname ante litteram e sulla quale bisognerebbe fare una riflessione molto profonda. Come spesso accade nella nostra era post-moderna presentiamo come innovative strategie e modelli che nelle società passate, in particolare rurali, erano la norma, Su questi monti l’economia circolare era la vita del quotidiano.

Da molti anni si parla di un rilancio di queste produzioni anche per fare rinascere il paese. In un lungo lavoro di relazione tra l’Università di Genova (Scuola Politecnica), il Comune di Davagna ed il Comune di Genova si sono prodotti alcuni studi di fattibilità molto interessanti ed innovative tesi di laurea che hanno riacceso la curiosità e l’interesse per questi luoghi.
Tuttavia anche l’eventuale interesse di un investitore esterno sembra condizionata dalla possibilità di una strada, pure con accesso fortemente limitato agli eventuali residenti. Tuttavia la straordinarietà del luogo è legata anche al suo isolamento, incredibile – come si è visto – in un territorio così vicino ad una grande città. Una strada porterebbe Canate a divenire uno dei tanti nuclei dispersi sui monti intorno alla città assumendo un carattere da sobborgo.
Del resto i tanti progetti, a cui anche chi vi scrive ha partecipato, hanno tentato soluzioni alternative basate su sistemi di trasporto alternativi tra cui una cremagliera (seguita da un ascensore inclinato) a partire dal Ponte di Cavassolo nonché un tracciato rotabile tra Marsiglia ed il nucleo di Scandolaro seguito da un trasporto meccanico automatizzato.
Al momento i costi comunque molto importanti, le criticità idrogeologiche che rappresentano il vero nodo della Valle del Bisagno e la difficoltà nel riunire l’ormai esigua comunità dei proprietari “legittimi” non hanno permesso di trovare soluzioni vincenti.
Il borgo tuttavia resiste grazie all’ostinazione di alcuni discendenti dei proprietari storici che con un lavoro assai arduo hanno recuperato alcuni edifici e sistemato gli spazi comuni così da impressionare comunque il visitatore che comunque trova ancora vita in questo misterioso borgo.
Perché visitare Canate e cos’altro c’è da vedere…
Forse molti lettori, vedendo le immagini, penseranno ad un paese abbandonato come centinaia di altri nelle Alpi e soprattutto nell’Appennino. Ed in parte è vero. Per i locali è facile rintracciare una certa emotività nel parlare di Canate ma forse questo non è sufficiente per indurre al viaggio. Il modo migliore per farsi attrarre da questa meta, quindi, potrebbe essere quella di legarla ad un breve soggiorno a Genova, città molto diversa da una classica città d’arte o turistica poiché c’è tanto ma molto è celato o (meglio) disperso in un territorio che è tutto ed il contrario di tutto. Solo così, passando da un Van Dyck a Palazzo Reale, ai pescatori di Boccadasse alla misteriosa quiete di Canate si può inquadrare questo luogo nella sua giusta dimensione: ovvero una tessera di un mosaico di paesaggi, di generi, di modelli di vita che sta tutto in una tasca ed incredibilmente regge ancora nonostante il peso degli anni e di una modernità che imbarbarisce qualsiasi cosa vi si opponga.

Ma se questa lettura vi ha convinti a dirigere la prua verso questi monti apparentemente anonimi ma austeri, dove ormai è ricomparso il lupo italiano; allora c’è dell’altro nei pressi soprattutto se siete animati da una solida vena outdoor. In questo caso la densa rete pedonale, la presenza dell’Alta via dei Monti Liguri (vera via di crinale su cui tutti gli altri tracciati si collegano sempre a testimonianza della solidità di una rete di collegamenti agropastorali quasi infinita e solo in piccola parte stabilmente segnalata e tracciata) e di altri luoghi singolari può permettervi di vivere esperienze molto appartate e coinvolgenti ad un passo dalla costa e sospesi su un altro tempo con la certezza di poter vagare per giorni senza mai realmente allontanarsi dalla città.
Tra le tantissime possibilità, che in parte emergono da questa piccola mappa che riporta i principali sentieri segnalati cdi accesso a Canate e di realizzare interessanti anelli, qui citiamo un piccolo ma interessante lago. Un luogo dove si può pescare ed arrampicare, una lillipuziana Svizzera domestica raggiungibile da Canate attraverso il Monte Lago ma raggiungibile anche più urbanamente in auto….

Il Lago Val Noci
In pieno regime intorno a Genova nascono diversi invasi artificiali destinati a rifornire la città di acqua potabile ed a soddisfare le crescenti richieste dell’industria pesante, in particolare le acciaierie. Tra il 1924 e il 1930 in una conca circondata da monti verdissimi e da nuclei pastorali viene costruita un’imponente diga alta 56 metri che sbarra il corso del Rio Val di Noci a raccogliere le acque di molti piccoli torrenti che scendono verso la Valle Scrivia e dunque sul versante Padano. La vicinanza al mare, la quota relativamente elevata dei rilievi determina una piovosità cospicua che giustificò, allora, l’opera. Il lago ha una profondità massima di 46 metri, una capacità di 3,3 milioni di metri cubi d’acqua e raggiunge una superficie massima di circa 20 ettari. Rappresenta una preziosa risorsa idrica per tutto il territorio genovese ma soprattutto un luogo molto particolare dal punto di vista del paesaggio. Poter raggiungere un luogo così partendo in autobus dal centro cittadino in poche ore di cammino è un’esperienza estraniante e coinvolgente nonostante la “semplicità” dei luoghi. Il lago Si trova ad un’altezza di 527 (simile a quella di Canate…) ed è racchiuso da una splendida cornice naturale di monti tra cui il Monte Bano coi suoi 1.035 mt. e il Monte Candelozzo, 1.036 mt, attraverso le cui sommità si può rientrare in Val Bisagno o scendere in Valle Scrivia allungando a piacere (o a dismisura…) la lunghezza dell’escursione. Quasi tutti i tracciati possono essere effettuati con MTB (talvolta tecnici ed esposti… occhio) ma attenzione: nei piccoli nuclei sparsi non c’è ricettività e dunque sarà necessario raggiungere centri o frazioni più importanti. Quindi, non sottovalutate l’apparente semplicità di queste zone soprattutto in caso di lunghe escursioni. E come spesso accade quando scrive una Guida Alpina non ci facciamo mancare l’arrampicata. Su delle inclinate placche calcaree che emergono improvvisamente sopra il lago recentemente sono stati sistemati una dozzina di divertenti itinerari lunghi e vista lago. Una piccola Grimsel nostrana che però completa in modo straordinario l’offerta di questo piccolo\grande territorio.
A presto!
HIKE & CLIMB – FABIO PALAZZO
Sono Guida Alpina UIAGM e Dottore Agronomo, docente a contratto di Pianificazione del Paesaggio presso l’Università di Genova. Vivo a Genova ma nel lavoro di Guida mi divido tra la Liguria, la Toscana, l’arco alpino e qualche bella esplorazione fuori dall’Europa.
Nelle due professioni, ormai da molti anni, cerco di unire le esperienze lavorative e personali in una sintesi che contribuisca ad arricchire chi entra nel mondo complesso ed emozionante delle montagne. Praticamente tutta la mia vita lavorativa è stata finora spesa nelle aree interne italiane. Che non sono solo montagne ma anche cultura materiale e comunità.
Accompagnando e formando come Guida o contribuendo al percorso dei giovani paesaggisti spero di condividere la consapevolezza per il valore e la sensibilità del territorio montano ed il suo riscatto attraverso la conoscenza e la pratica sportiva. Mai fine a se stessa.
Sono un Tecnico del Corpo Nazionale di Soccorso Alpino e Speleologico ed un membro del Club Alpino Accademico Italiano nonché un socio ordinario dell’Associazione Italiana di Architettura del Paesaggio e della Società Italiana dei Territorialisti.
Spero di condividere con tutti Voi non solo esperienze ed informazioni ma anche una presa di posizione nei confronti del mondo che cambia attraverso un modo responsabile e partecipativo di esplorarlo. Anche dietro la porta di casa!
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