Gaeta e la Riviera di Ulisse (LT) – La Via Appia e il vino Cècubo

Il nettare amato dagli antichi romani

Forse non tutti sanno che il censore Appio Claudio Cieco non solo diede il nome alla prima autostrada della storia ma anche ad un vino che diventerà celebre in tutta la Roma Antica: il Cècubo.

Insomma, tra le fatiche di affrontare gli ostacoli naturali per creare il passaggio della Via Appia  – tra paludi e gole dei Monti Aurunci – e tra uno scontro e l’altro con il popolo dei Sanniti rimaneva il tempo per gustare i prodotti locali come questo vino, le cui uve venivano coltivate proprio nella zona di nostro interesse, quella che una volta era conosciuta come *Sinus Amyclanus e che nella zona delle colline tra Sperlonga Itri e Fondi, dove il famoso vino veniva prodotto, divenne celebre con il nome di Ager Caecubus.

I vigneti dei Monti Cecubi

Ma prima di parlare di vino e di come Appio Claudio Cieco creò a sua insaputa il brand del Cècubo, dobbiamo conoscere un po’ di più sulla Via Appia ed in particolare sul bellissimo tratto tra Fondi e Itri: un percorso di circa 2,5 km percorribile a piedi, circondati da una natura incontaminata che è oggi parte del Parco Naturale dei Monti Aurunci e offre l’esperienza unica di posare i nostri passi su una storia iniziata nel IV secolo aC e proseguita fino ai tempi dei Re Borbone.

A questa grande opera si affianca un dettaglio ludico ma non meno importante: la degustazione dei prodotti locali e in questo caso il vino, la cui storia è legata a filo doppio con l’artefice della Regina Viarum.

In principio fu l’idea, l’idea generò la Linea e la Linea si fece strada.

Questa semplice frase, tratta dal bellissimo libro Appia del grande scrittore e giornalista Paolo Rumiz, racchiude in poche parole tutto il miracolo della costruzione della Regina Viarum.

Nel 2015, Rumiz andò alla ricerca della madre dimenticata di tutte le strade europee e la percorse a piedi con un gruppo di amici e studiosi – da Roma a Brindisi – coprendo un percorso di 612 Km e arrivando a destinazione dopo 29 giorni di cammino.

La linea che si fece strada… Semplice no?

È facile tracciare una linea da punto a punto su un foglio ma nel IV secolo aC si parlava di unire un punto di partenza e un punto di arrivo attraversando un territorio ostile fatto di monti, paludi e fiumi, cercando di mantenere il percorso più rettilineo possibile.

L’idea, dettata dall’emergenza militare della seconda guerra sannitica, era quella di raggiungere Capua – oggi Santa Maria Capua Vetere – che era allora la terza città per importanza dopo Roma e Taranto e costituiva un importantissimo nodo di comunicazioni per il Meridione allacciando la Campania, l’Irpinia e la Puglia da una parte e la Lucania e il Bruzio, odierna Calabria dall’altra.

Ma perché, direte voi… non esistevano già le strade?

Certo, le strade esistevano ma nessuna di loro era mai stata progettata per uno scopo preciso.

Per raggiungere Capua c’era la Via Latina (nella foto), all’incirca l’odierna Via Casilina, il cui percorso lungo e tortuoso attraversava le valli dei fiumi Sacco e Liri e non nasceva da un progetto ma da una naturale fusione tra vari tracciati che univano un centro con l’altro, risultando così alquanto impervia e non lineare sulla lunga distanza.

Il versante marittimo era stato invece fino ad allora ritenuto impraticabile, sbarrato com’era dalle acque della Palude Pontina e dalla catena dei Monti Lepini, Ausoni e Aurunci e più avanti dalle foci del fiume Garigliano e Volturno.

L’idea di affrontare quelle difficoltà naturali facendole attraversare da una via apparve subito come un’idea rivoluzionaria: non solo per la prima volta una via veniva progettata ma in più veniva pensata come una strada di grande comunicazione che avrebbe attraversato ostacoli naturali e avrebbe coperto una distanza inimmaginabile per quei tempi.

Oggi potremmo paragonarla ad una moderna autostrada, un percorso che puntava diretto il più possibile al traguardo finale: Capua era il primo obiettivo, dopo 132 mp (milia passuum) equivalenti a circa 196 km, dove 1 m(ilia) p(assus) equivale a 1.482 metri.

I Romani iniziarono a pavimentare le strade intorno al III secolo a.C., possiamo quindi supporre che la prima Via Appia progettata da Appio Claudio fosse in terra battuta o ghiaia ma le sue fondamenta inauguravano quella tecnica rivoluzionaria che permise ai Romani di costruire la vastissima rete stradale che ancora oggi utilizziamo senza pensare alle sue origini perse nei secoli.

Una strada che poteva essere percorsa anche in caso di forti piogge, costruita con quattro diversi strati posati sullo sterro preparato in precedenza e munita di marciapiedi laterali.

Le dimensioni della carreggiata, che sarebbero poi diventate standard per le altre vie consolari di grande traffico, erano di 14 piedi romani corrispondenti ai nostri 4,20 metri sufficienti a consentire il passaggio contemporaneo di due carri nel doppio senso di marcia con comodi marciapiedi di circa 1,10/2,40 metri.

Ma cosa rendeva unica questa rivoluzione ingegneristica, sollecitata da una emergenza militare e interamente progettata soprattutto per risparmiare tempo?

Arrivare il prima possibile era l’obiettivo primario nella costruzione di un percorso che doveva seguire un’ideale linea retta che però portava inevitabilmente a scontrarsi con gli ostacoli naturali e obbligava alla costruzione di ponti e viadotti e impegnava in opere di bonifica idraulica per superare acquitrini e paludi.

L’ostacolo non veniva aggirato ma veniva sfidato! Un’idea grandiosa così come grandiose sono state le opere eseguite durante la costruzione di questa prima grande consolare.

Il tratto da Roma fino alle gole di Sant’Andrea tra Fondi e Itri riassume quelle caratteristiche che fecero l’unicità dell’Appia.

La strada, che partiva da Porta Capena a Roma, percorreva un rettilineo di ben 90 km (circa 60 mp) superando tutta la campagna romana e i Colli Albani, attraversava la Pianura Pontina e una volta arrivata a Fondi, costeggiava il lago costiero ai piedi degli Ausoni per inerpicarsi poi al passo di Itri che costituiva un valico estremamente arduo, soprattutto per gli strapiombi della valle di S. Andrea e le asperità dei Monti Aurunci.

Al giorno d’oggi, arrivando da Fondi in direzione Itri voltiamo a destra, al Km 125,9 della SS7 e percorriamo un breve tratto imbrecciato che ci porta in questo luogo magico.

Ci accoglie l’Epitaffio che ricorda il restauro effettuato nel 1568 per volontà di Perafan de Ribera,  Duca di Alcalà e viceré del Regno di Napoli che rinnovò il lastricato e ricostruì il ponte spettacolare che attraversava il fosso di Sant’Andrea, quest’ultimo minato e distrutto durante l’ultima guerra e ricostruito per quanto possibile simile all’originale nel 2005.

Ma non sono i monumenti il tratto distintivo di questo agevole percorso e qui ricorro nuovamente a Paolo Rumiz, che scrive:

Dopo pochi giorni di cammino non ci serviva più l’archeologia ma bastava la potenza della direzione. Dopo pochi giorni di cammino, non avevamo più bisogno di trovare noiose conferme nel selciato romano o negli antichi marciapiedi chiamati crepidini. Era come se la strada da raccontare non fosse riducibile alla sequenza dei monumenti … ma fosse l’idea, l’archetipo di tutte le strade, la linea in sé. L’Appia surclassava Santiago. Era l’ombra di Artemide sul Lago di Nemi… era lo scoglio di Terracina a precipizio sul Tirreno, col tempio di Giove Anxur, possente e isolato segno di fuoco per i naviganti. E avanti, in perpetua metamorfosi, l’arcigno crinale degli Aurunci tempestato di fiori gialli, la costa abbacinante di Lestrigonia, fra Gaeta e Formia.

Vi basti questo per pungolare la vostra curiosità e spingervi a posare i piedi sulla storia in un ambiente naturale unico e di abbandonarvi al nettare che i Romani adoravano!

Ah già… non mi sono dimenticata del vino Cècubo!

Caecus bibendum… il cieco che beve! E sì, perché Appio Claudio Cieco era un non vedente che nella sua oscurità vide la Linea e la trasformò in strada.

Un cieco che, oltre a vedere la Linea, scoprì questo vino locale che degustava volentieri tra il mormorio della gente: caecus bibendum, caecus bibendum… creando così a sua insaputa  il brand di uno dei tanti vini amati dai Romani.

Plinio il Vecchio, nel Naturalis Historia lo mette addirittura al primo posto dopo il Falernum campano e Lucio Giunio Columella, scrittore romano di agricoltura, individuò il sito in cui veniva prodotto il miglior vino dell’Impero, ossia sulle alture sopra la Spelunca, dove l’Imperatore Tiberio aveva la sua villa e il poeta Orazio ci racconta che i vini cècubi venivano tenuti nascosti sotto cento chiavi tanta era la loro bontà.

Con tutte queste testimonianze che ci arrivano dal passato vale la pena venire in questi luoghi ameni, ad appena 130 km da Roma e in aperta campagna, dove ci aspetta la Regina Viarum e dove un’azienda vinicola ha voluto riportare in auge le antiche uve utilizzate per ottenere il vino amato dai Romani come l’uva Serpe e l’Abbuoto.

I vini dei Monti Cecubi

Lascio la parola al grande Paolo Rumiz,  che meglio di chiunque altro descrive questo breve tratto della Via Appia e vi aspetto per una passeggiata e una degustazione storica!

A una manciata di chilometri da Fondi, l’Appia ridiventa sentiero per sboccare in uno dei tratti meglio conservati del suo percorso: la valle di Sant’Andrea che taglia gli Aurunci verso Formia. Dopo un solitario ponte cinquecentesco, il selciato è un sovrapporsi di epoche – romana, rinascimentale, borbonica – a conferma della straordinaria continuità d’uso della via. In mirabile sequenza, appaiono muri in opus reticulatum quasi intatto, una piazzola di sosta per i carri davanti ad una specie di autogrill dell’epoca, un tempio di Apollo che deve aver macinato visitatori come Lourdes e Medugorje. Un santuario così famoso che i cristiani si videro costretti a ribattezzare la valle nel nome di Sant’Andrea.

*Il Sinus Amyclanus veniva identificato nel bellissimo arco costiero sul Tirreno a sud di Roma che partiva da Monte S.Angelo presso Terracina – dove ancora oggi si possono  ammirare i resti del tempio dedicato a Giove Anxur – e attraversava la pianura di Fondi per arrampicarsi poi sui monti che si affacciano sul bellissimo mare di Sperlonga nel territorio di Itri.

Ringraziamenti

Un grazie immenso al bellissimo libro di Paolo Rumiz – Appia – Feltrinelli per avermi convinto a creare uno dei miei più interessanti e rilassanti walking tours su questo tratto di Via Appia ingiustamente poco conosciuto.

Grazie a Azienda Agricola Monti Cecubi per aver riportato alla vita il grande Cècubo e per darci l’occasione di rilassarci davanti ad un calice di buon vino in compagnia!


VALERIA SIMEONE
Ciao a tutti! Mi chiamo Valeria e sono guida turistica abilitata e accompagnatore turistico.
Sono nata a Gaeta, un’incantevole cittadina sul mare ricca di storia e baciata da una natura spettacolare ma ho vissuto tanti anni tra l’Umbria, Bologna e nove dei miei anni più belli a Venezia. Sono poi tornata nella mia città e qui ho scoperto il mestiere più bello del mondo: un lavoro che mi ha fatto guardare la mia terra con occhi diversi e mi ha insegnato ad amare questi luoghi profondamente. Gli anni vissuti in giro per l’Italia mi hanno poi reso più facile e appassionante il lavoro di Accompagnatore Turistico che svolgo in tutta Italia per clienti americani e australiani.
Come Guida Turistica invece, lavoro nella Regione Lazio e più esattamente nella Provincia di Latina. Una Provincia giovane che ha riunito due mondi storicamente diversi: il Regno di Napoli e lo Stato della Chiesa: una terra ricca di storia, leggende e non solo. La chiamano La Riviera di Ulisse!
Perché questo nome? Lo scopriremo insieme ed esploreremo i luoghi più belli di questa terra incantata perché si sa… con la guida è TUTTaUN’aLTRaSTORIa!

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