Liguria da scoprire – Borghi ed escursioni in Val Graveglia (GE)

“Intra Siestri e Chiaveri s’adima una fiumana bella”

Dante, parole di Papa Adriano IV nel Canto XIX del Purgatorio

Con queste parole, proferite da Papa Adriano IV nel Canto XIX del Purgatorio, il sommo poeta Dante Alighieri volle celebrare la bellezza del Golfo del Tigullio e in particolare lo splendore della valle solcata dalle acque del fiume Entella. In realtà Dante fu solo il primo di una lunga serie di illustri artisti, poeti e letterati rimasti stregati dalla bellezza stordente di questi luoghi, scelti per trascorrere lunghi soggiorni alla ricerca dell’ispirazione necessaria a scrivere o terminare le proprie opere, dal poema “Africa” del Petrarca all’opera “Così parlò Zarathustra”, libro per tutti e per nessuno del tedesco Friedrich Nietzsche. Ma identificare la ricchezza del patrimonio paesaggistico e culturale del Tigullio alle sole località costiere sarebbe profondamente riduttivo. Anche lungo la riviera di Levante la Liguria custodisce inaspettate meraviglie nel cuore dell’immediato entroterra.

Alle spalle di Chiavari e Lavagna scorre il torrente Graveglia, le cui acque, prima di confluire nel fiume Entella, modellano un’amena e appartata valle, culla di antiche tradizioni. La Val Graveglia confina a nord con la spezzina Val di Vara e compone, insieme alla Valle Sturla e alla Val d’Aveto, l’eterogeneo territorio del Parco Naturale Regionale dell’Aveto, una delle aree naturalisticamente più significative dell’intero Appennino Ligure.

Schema geografico della Val Graveglia e del bacino del torrente Entella

L’intero bacino della val Graveglia risulta compreso entro i limiti del comune sparso di Ne, frammentato in circa una cinquantina di frazioni disseminate su tutto il territorio.

Risalendo il solco vallivo tra fitti boschi misti, sul filo di pensieri sereni e dolci ricordi, è possibile apprezzare le peculiarità paesaggistiche di un territorio che si manifesta quale perfetto connubio tra agricoltura, natura, storia e gastronomia. Le enormi potenzialità turistiche della valle si fondano sulla sinergia tra la valorizzazione delle profonde radici agricole, del ricco patrimonio storico-archeologico e degli straordinari livelli di geo diversità. Il valore culturale della zona è correlato agli antichi nuclei abitativi, realizzati lungo importanti vie di collegamento tra il mare e la pianura: le case rurali spesso rappresentano un modello di litologia applicata alle costruzioni, mentre numerosi sono i resti di castelli e altri importanti insediamenti e infrastrutture medievali.

Ognuno di questi aspetti è protagonista di specifici itinerari escursionistici, spesso culminanti in esperienze uniche e autentiche, quali la visita guidata di antiche roccaforti e vecchie miniere, per non parlare della possibilità di prendere parte a caratteristici eventi folkloristici.

Un salto nel Medioevo

Le fonti storiche riguardanti il comune di Ne abbondano a partire dall’XI secolo, quando il comprensorio fu sottomesso al dominio della famiglia Fieschi di Lavagna, la quale certificò e sublimò l’annessione con la costruzione del grande castello di Roccamaggiore presso la frazione di Zerli. Nella stessa borgata si erge anche la trecentesca torre “Cà Rossa” dei Garibaldi, a preziosa conferma di come Ne abbia dato i natali ad Angelo Garibaldi, nonno dell’eroe dei due mondi Giuseppe Garibaldi, battezzato nel 1741 nella chiesa di San Biagio in frazione Chiesanuova.

L’itinerario più suggestivo sotto il profilo storico e architettonico corrisponde però alla breve e facile passeggiata (circa 3 km di sviluppo) lungo l’antico sentiero pedonale che connette tre dei borghi maggiormente caratteristici della valle: Nascio, Cassagna e Statale.

Borgo di Nascio

Fin dai primi passi tra le strette vie di Nascio si ha l’impressione di essere stati catapultati indietro nel tempo. La piccola borgata si aggrappa alle falde del Monte Bianco, alla base di una rocca di diaspro, in posizione privilegiata sul fondovalle e naturalmente difesa su tre lati da ripide scarpate che si gettano a picco nella profonda gola scavata dal Rio Novelli. Le case, seppur variamente ristrutturate, conservano ancora l’impronta delle originali costruzioni in pietra e le tracce di antichi portali eulitici. Al contrario non è rimasta alcuna traccia del castello che si ergeva in cima alla rocca, distrutto nel 1033 d.C. per ordine del governo genovese. Trascorsero però ben cinque secoli prima che sulla stessa sommità venisse ultimata la costruzione dell’attuale chiesa di Santa Maria. Risalente al 1565, il suo aspetto attuale si deve però ad un parziale rifacimento effettuato nei primi anni del secolo scorso con il contributo di alcuni abitanti del borgo emigrati a Buenos Aires. La piazzetta antistante è oggi impreziosita da un sagrato decorato da un rustico “risseu”.

Nascio ospita anche l’atelier di Franco Casoni, intagliatore del legno con una nota bottega d’arte nel centro storico di Chiavari. Se si ha la fortuna di trovarlo all’interno del suo laboratorio, si può assistere all’affascinante intaglio degli stampi per i “corzetti”, piccoli dischi di pasta caratteristici del levante ligure, letteralmente timbrati con disegni tradizionali e stemmi araldici. Oggetti un tempo di uso comune, oggi rappresentano una vera rarità realizzata ormai da pochissimi artigiani.

Usciti dal paese di Nascio, si percorre la carrozzabile per qualche centinaio di metri fino a trovare sulla sinistra l’imbocco di un’antica mulattiera, opportunamente segnalata da un pannello informativo. Alcune svolte in ripida discesa e si raggiunge il settecentesco ponte in pietra che con un’unica elegante arcata oltrepassa la profonda forra del Rio Novelli.

Un’edicola dedicata alla Madonna abbellisce ulteriormente l’intera struttura, dalla quale, volgendo lo sguardo verso monte, si possono scorgere i segni delle diverse fasi geologiche che hanno modellato la valle.

Superato il ponte, la via in pietrame si addentra tra fitti boschi di lecci e castagni e tramite alcuni stretti tornanti giunge in meno di mezz’ora alle prime case del borgo di Cassagna.

La piccola frazione è senz’altro quella che ha conservato meglio la sua originaria struttura compatta, gli stretti passaggi interni, gli archi e i peculiari tetti in ardesia. Un tempo dimora delle famiglie dei minatori della zona, la borgata porta ancora i segni dell’attività estrattiva realizzata in loco.

Una consistente documentazione d’archivio inerente l’estrazione e la lavorazione di minerali testimonia come l’attività mineraria rivestisse già una notevole importanza economica nel XVI secolo. La grande varietà litologica della Val Graveglia ha sempre offerto alle popolazioni locali materiali lapidei di natura diversa e di ottima qualità, abilmente utilizzati per la costruzione di opere in pietra a secco o cementata, nell’edilizia residenziale, rurale e religiosa.

Nel campo dell’edilizia rurale compaiono, proprio a Cassagna, intonacature ottenute con ghiaietto di diaspro misto a calce di produzione locale. La loro peculiarità consiste nel conferire agli edifici un naturale colore rosa-bruno, senza necessità di ulteriori tinteggiature. Inoltre, la durevolezza del diaspro garantisce una notevole durata e resistenza agli agenti atmosferici, il che ne spiega il buono stato di conservazione.

Il villaggio in pietra di Cassagna

Tralasciando momentaneamente la carrozzabile, da Cassagna si sale tra secolari castagni lungo la vecchia strada comunale, anch’essa con gradinata in pietrame. Il cammino è scandito da numerosi belvedere che consentono di ammirare dall’alto i profili di Cassagna e Nascio, apprezzandone così l’originario carattere fortificato. Superata una diramazione verso destra diretta in cima al Monte Bocco (escursionisti esperti), si prosegue fino a ritrovare la rotabile proveniente da Cassagna e diretta a Statale.

Quest’ultimo borgo emerge come uno dei nuclei più importanti della valle per consistenza numerica, pregio architettonico e rilevanza economica. Nelle immediate vicinanze dell’abitato sono stati recentemente scoperti i resti di un insediamento romano, attualmente in fase di studio, ad ulteriore conferma delle origini della borgata. Durante il periodo della Repubblica di Genova, Statale si distinse quale centro rurale capace di un intenso dinamismo economico e politico. La propensione autarchica della comunità favorì l’aumento della popolazione, attestata a ottanta fuochi (famiglie) nel 1535, e permise di ottenere l’autorizzazione a costruire nel 1565 una chiesa autonoma, intitolata a San Bartolomeo, al centro del paese.

Secondo la tradizione, accolta e validata dallo storico locale Luigi Biagio Tiscornia in seguito ad approfondite ricerche su documenti tratti dall’archivio vescovile di Brugnato, le odierne parrocchie di Santa Maria di Nascio e di San Bartolomeo di Statale, entrambe datate 1565, trarrebbero origine da un’antica chiesa che serviva entrambe le comunità, dedicata all’Arcangelo Michele. Della chiesa di San Michele rimangono tracce del perimetro murario su un’altura boscosa situata all’incirca a metà strada fra i villaggi di Cassagna e di Statale, denominata “la Crocetta” dal momento che, in passato, rappresentava un luogo di sosta durante le processioni annuali delle “Rogazioni”. Il sito è facilmente raggiungibile mediante una breve deviazione lungo l’antica strada comunale in pietra, poco oltre il bivio per il Monte Bocco.

La mancanza assoluta di documenti relativi alla cappella e l’esiguità dei resti non consentono di giungere a conclusioni sicure circa l’origine e le funzioni di questo luogo di culto. L’assenza di resti di costruzioni nelle sue adiacenze sembrerebbe escludere che la chiesetta abbia esercitato funzioni di ospizio per i viandanti, a differenza di altri luoghi di culto dedicati allo stesso Santo, avvalorando pertanto l’ipotesi della semplice cappella di fondazione altomedievale al servizio di più insediamenti sparsi. Un’altra ipotesi, decisamente più suggestiva, vorrebbe invece collegare la fondazione della chiesa all’insediamento romano scoperto nei pressi di Statale.

L’incertezza avvolge anche il destino riservato alla chiesa di San Michele in seguito al 1565. Non si può escludere che anche dopo l’inaugurazione delle due nuove parrocchiali, l’antica chiesa possa aver mantenuto per qualche tempo le funzioni di luogo di culto. L’edificio, in virtù del suo isolamento, potrebbe anche essere stato utilizzato per un breve periodo da uno dei tanti movimenti laicali fioriti negli ultimi secoli del Medioevo, quali la confraternita dei Battuti.

Non resta che lasciare ai posteri le ardue sentenze, nella speranza che venga presto finanziata la ripresa delle necessarie ricerche archeologiche.

Viaggio al centro della Terra

La Val Graveglia costituisce un patrimonio geologico di notevole interesse scientifico, apprezzato e conosciuto a livello nazionale e internazionale per la presenza delle ofioliti, per lo sviluppo delle attività minerarie legate all’estrazione del manganese e per il pregio degli antichi nuclei insediativi in rapporto ai beni culturali lapidei. Inoltre, perlopiù in funzione della grande varietà del materiale estratto, la valle ha assunto un’importanza fondamentale nella storia sociale ed economica del territorio genovese. Infatti, la Val Graveglia è nota innanzitutto per le miniere di manganese nei diaspri, che hanno rappresentato in passato la principale se non unica fonte di vita per molte famiglie della vallata, determinando anche significativi fenomeni d’immigrazione.

Il sito estrattivo più importante sono le miniere di manganese di Gambatesa, attive dal 1876 al 2011. In seguito alla cessazione delle attività, le miniere sono state riconvertite a museo e centro turistico-didattico. Il Museo Minerario di Gambatesa offre l’eccezionale opportunità di avventurarsi nel cuore della terra, toccando letteralmente con mano l’opera di oltre un secolo di duro lavoro. Gli itinerari percorribili sfruttano le gallerie utilizzate durante l’attività mineraria, mantenendo le caratteristiche originali. L’accesso alla miniera, vincolato alla presenza di una guida specializzata, avviene tramite un trenino, lungo uno dei sei livelli principali di coltivazione esistenti e consente di percorrere suggestivi cunicoli e visitare diverse camere di estrazione. Sempre accompagnati dalle guide, è anche possibile effettuare un percorso pedonale lungo la galleria principale.

Inizio della visita alle miniere a bordo del caratteristico trenino

La Val Graveglia rappresenta anche una grande risorsa lapidea e ancora oggi alcuni siti estrattivi risultano in stato di attività. La maggior parte delle cave si incontrano percorrendo la strada provinciale e si tratta perlopiù di cave a cielo aperto, gradonate o a fronte unico, dove sono state utilizzate tecniche estrattive differenti in funzione della destinazione d’uso dei materiali estratti, impiegati sia come inerti sia come pietre ornamentali. Di particolare importanza, sotto il profilo economico e storico-artistico, l’estrazione delle oficalciti, che in funzione della natura dei frammenti e della frazione cementante, assumono colorazioni variabili, raggiungendo il massimo pregio con la tricromia rosso-verde-bianco.

Al contrario l’estrazione dell’ardesia appartiene ormai al passato. Oggi rimane un solo sito attivo, ma l’apertura delle prime cave risale addirittura all’epoca pre-romana, acquisendo quindi un’enorme valenza storica.

L’alta Val Graveglia rappresenta invece una delle trentanove aree carsiche della Liguria. Tra le grotte meritano una segnalazione per l’importanza scientifica la Grotta Rocca Roncallo, il cui ingresso si apre di fronte a Cassagna, la Grotta Bossea, posta lungo l’asse del Graveglia e la Tana di Ca’ Freghè, posta nella Valle di Statale e oggetto di recente frequentazione geoturistica.

Tutte queste caratteristiche costituiscono i requisiti fondamentali, come indicato nella «Carta Europea del turismo sostenibile», per la creazione di un Geoparco, inteso come un territorio che possieda un certo numero di siti geologici di particolare importanza per qualità scientifica, rarità, richiamo estetico o valore educativo e che abbia altresì una strategia di sviluppo sostenibile.

Negli ultimi anni si sta sempre più diffondendo l’interesse in chiave didattica ed escursionistica, attraverso la progettazione di percorsi geominerari, geologici e geomorfologici, spesso in associazione con itinerari storici ed enogastronomici. Sarebbe pertanto auspicabile l’ulteriore e definitiva valorizzazione nell’ambito del Parco Regionale attraverso l’istituzione del Geoparco e la successiva adesione alla Rete Europea dei Geoparchi.

Antichi sapori e saperi

Il paesaggio della Val Graveglia è figlio dell’armonioso connubio tra le forme del territorio e la mano rispettosa della popolazione locale. Gli insediamenti rurali in pietra locale offrono la possibilità di un autentico viaggio nel tempo alla scoperta dell’antica civiltà contadina. Il ricco patrimonio gastronomico è quindi il frutto di una sapiente e lungimirante gestione del territorio da parte dei contadini, non solo a presidio e tutela delle tradizioni agricole e culinarie, ma anche della biodiversità della valle, oltre che a difesa e contrasto delle fragilità del territorio.

Le fasce collinari sono state faticosamente lavorate e terrazzate con il sistema dei muretti a secco al fine di ricavare verdi piane prevalentemente coltivate a vite e olivo. Muri in pietra calcarea sono diffusi nelle valli di Chiesanuova e di Statale e nelle aree degli abitati di Cassagna, Reppia, Case Soprane, Arzeno e dei Casoni di Chiappozzo. Nelle zone lontane dagli abitati molti terrazzamenti sono stati purtroppo abbandonati da tempo e sono oggi coperti da vegetazione, spesso soggetti a fenomeni di dissesto e pertanto paradossalmente divenuti una minaccia.

Relativamente radi sono i noccioleti nei versanti più in ombra, mentre i boschi sono perlopiù improntati da castagni inframezzati da querce, frassini, carpini e alle maggiori quote ancora da qualche sparuto abete, relitti vegetazionali testimoni di condizioni climatiche ben diverse da quelle odierne.


Le produzioni della Val Graveglia non si distinguono per le ingenti quantità bensì per l’eccellente qualità.

Dalle frazioni sparse di Ne proviene la maggior parte delle uve che compongono la denominazione d’origine controllata Golfo del Tigullio – Portofino: la Bianchetta Genovese (vitigno autoctono) e il Vermentino per i bianchi; per i rossi il Ciliegiolo in purezza e il Rosso Golfo del Tigullio formato da varie uve tipo dolcetto e sangiovese.

Altrettanto eccellente è la produzione di olio extra vergine di oliva, derivante dalla cultivar Lavagnina, clone locale della Taggiasca della Riviera di Ponente.

L’intero comparto ortofrutticolo è un’esplosione di varietà autoctone, molte delle quali recentemente riscoperte. Tra gli ortaggi si distinguono la cipolla Rossa di Zerli, il broccolo Lavagnino, il cavolo Gaggetta, i fagioli Patanin, per non parlare delle varietà autoctone di patate come la Cannellina nera del Tigullio, la Quarantina Prugnona e l’antica Quarantina bianca genovese, rilanciata a partire dal 1997 grazie a un progetto di recupero e valorizzazione avviato dalla Proloco di Ne.

Tra i frutti derivanti da vecchie piante locali vanno assolutamente assaggiate le mele Tappe e le pesche Agostanine. Non mancano i prodotti derivati dalle castagne, ancora oggi essiccate nei tradizionali “tecci” o “gree”, a fuoco lento e continuo, al fine di ricavare una farina ancor più dolce e profumata.

Inoltre, negli ultimi anni si è registrata una forte ripresa della coltivazione delle nocciole grazie alla riscoperta di antiche cultivar del cosiddetto Misto Chiavari. Trattasi di una miscela variabile formata soprattutto da varietà spontanee, generalmente piuttosto piccole, allungate, ma molto saporite. Ad inizio ‘900 il Misto Chiavari era molto richiesto, in particolare dai maestri pasticceri dell’arte cioccolatiera piemontese. La sua riproposizione, ulteriormente promossa dall’associazione Slow Food, è una delle più chiare espressioni del legame autentico tra i contadini locali e la loro terra.

Ognuna di queste eccellenze è una piccola opera d’arte e il Mercatino Agricolo della frazione di Conscenti è la vetrina dove vengono esposte e valorizzate al meglio. Ogni sabato mattina, tra maggio e ottobre, i produttori locali si ritrovano in piazza per proporre le loro specialità, trasformando il mercato in una vera e propria celebrazione dell’unicità della Val Graveglia.

Tale base agricola locale è alla base della cucina della valle, il cui ingrediente principale è a tutti gli effetti il territorio. Molto spesso gli osti erano anche contadini, o viceversa, e praticamente ogni frazione aveva la sua osteria, dove veniva trasformato e portato in tavola tutto ciò che la terra offriva. Oggi il numero delle trattorie è drasticamente diminuito, ma coraggiosamente sono anche sorte nuove realtà, in primis agriturismi, che ripropongono i piatti della tradizione della Val Graveglia e più in generale dell’entroterra ligure. Molti di questi piatti fino a pochi anni fa non comparivano in alcun ricettario storico genovese, vere e proprie gemme ai più sconosciute semplicemente perché confinate entro le valli Chiavaresi e nella memoria delle storiche famiglie che quelle ricette hanno contribuito a scriverle.

Molti tradizionali “mangiari” prevedono l’utilizzo della patata, introdotta in Appennino Ligure all’inizio del XIX secolo e divenuta fin da subito una preziosa risorsa in grado di sfamare intere generazioni. Tra i piatti iconici rientra sicuramente la locale versione del Prebugiun, ormai nota come Prebugiun di Ne. In tutta la Liguria il Prebugiun non è altro che un rimescolamento fatto a caldo di erbette selvatiche bollite. Un piatto tipicamente primaverile, anche se il clima sempre più umido degli ultimi anni ne consente ormai la realizzazione anche in autunno, quando però le erbe risultano decisamente più amare. Le erbette spontanee sono appartenenti essenzialmente alla famiglia delle Compositae e per quanto varino di zona in zona si possono riconoscere alcune presenze fisse come la borragine, la bietola selvatica e la caccialepre.

In ogni caso si tratta di un piatto povero che veniva consumato semplicemente condito con un filo di olio extravergine di oliva e sale, oppure come ripieno dei classici pansoti. Naturalmente non mancano le reinterpretazioni, spesso obbligate dalla presenza/assenza di alcuni ingredienti, e quella della Val Graveglia è di certo una delle più ardite. Infatti, nel territorio di Ne il Prebugiun si prepara mescolando a caldo patate, rigorosamente della locale varietà Quarantina bianca, cavolo nero ed erbette selvatiche, il tutto guarnito con della cipolla di Zerli.

Prebugiun di Ne

Nelle famiglie patriarcali contadine della Val Graveglia, il membro più anziano e autorevole era solito accompagnare il Prebugiun con la Prescinseua, ovvero la cagliata acida privata del siero caratteristica dell’Appennino Ligure. Un retrivo privilegio oggi divenuto uso comune.

In realtà per la preparazione del Prebugiun si segnalano diverse ricette addirittura tra le stesse frazioni del comune di Ne. Per esempio a Statale è prevista l’aggiunta del radicchio (radicetta), mentre in altre località in cui l’olivo scarseggia per motivi di altitudine, l’olio veniva spesso sostituito dal lardo. Una chiara dimostrazione di come la Liguria sia un grande mosaico, ricco di sfumature e apparenti contraddizioni. Non di rado capita che un’erba fondamentale per le ricette di una valle sia invece usata, nel migliore dei casi, come foraggio per il bestiame nella valle limitrofa. È il caso della valeriana rossa, erba spontanea dal caratteristico fiore rosso: tanto fondamentale per il ripieno del Gattafuin, raviolo fritto tradizionale di Levanto, quanto indesiderata in Val Graveglia dove è considerata un’erbaccia infestante da sradicare.

Le patate sono le protagoniste anche della torta Baciocca, una torta a sfoglia ripiena di patate Quarantine tagliate a losanghe e intervallata a strati da un ripieno fatto di uova, formaggio ed erbe aromatiche.

Altri tipici “mangiari” della Val Graveglia hanno radici ancora più profonde, che letteralmente affondano nelle viscere della terra da cui si estrae l’argilla per la preparazione dei tipici “testetti”, piccoli recipienti in terracotta utilizzati per la cottura dei tradizionali “testaieu”. Ma l’argilla non è un’argilla qualunque, bensì quella estremamente ricca in silicio che viene estratta nella piccola frazione di Iscioli. Proprio la sua peculiare composizione rende quella terra particolarmente adatta alla realizzazione di manufatti in grado di resistete ad altissime temperature. Sempre ad Iscioli vivono e lavorano ancora gli artigiani della storica famiglia Tassano, gli unici a conservare i segreti dell’antica tecnica di lavorazione e rifinitura a mano dei “testetti”.

L’argilla, miscelata con la giusta quantità d’acqua, diventa facilmente lavorabile e compattata in palline che, dopo un breve riposo, vengono modellate nella classica forma rotonda del “testetto”. Lasciati asciugare al sole per qualche giorno, i piatti sono pronti per il battesimo con il fuoco. Dopo essere stati arroventati nella brace, i “testetti” vengono impilati e piano piano riempiti con una pastella liquida di acqua e farina, che si rassoda lentamente assorbendo il calore della terracotta incandescente.

Si ottengono così i “testaieu”, delle specie di frittelle, non a caso note in dialetto anche come “frixiulle”, tradizionalmente condite con olio e formaggio o nella versione più goduriosa con un profumato pesto al mortaio. Sempre nei “testetti” possono essere cotte anche le “figasette” di farina di mais e cipollotto.

Testaieu pronto per essere condito

Particolari modalità di cottura sono alla base di molti piatti della tradizione. Una delle cotture simbolo dell’intero territorio ligure è quella “in s’a ciappa”. Carni e verdure vengono piastrate su lastre di ardesia, dette per l’appunto “ciappe”, che spesso e volentieri si recuperavano dai vecchi tetti dei casolari, a riprova che i liguri e in particolare i genovesi non buttano via mai niente.

Spesso fare luce sulla storia enogastronomica diviene una preziosa risorsa e chiave di lettura per ricostruire e indagare il passato della valle. La genesi di antiche ricette si trasforma così nel racconto di episodi e periodi che hanno plasmato il territorio e contribuito alla definizione del suo patrimonio culturale. Ricette ad un primo sguardo poco comprensibili, portano i segni di suggestivi intrecci con popoli e mondi distanti.

Per lungo tempo si è cercato di comprendere le origini del “sancrau”, una variante dei crauti tedeschi da gustare insieme al bollito. Nel XVIII secolo, durante l’occupazione di Genova, la Val Graveglia era luogo di transito per le truppe austriache dirette al Ducato di Parma. Al seguito degli austriaci si spostavano anche dei tipici barilotti con scritto sopra “sauerkraut”, cavoli sotto sale. Non risulta difficile immaginare come molta gente, spinta dalla fame, si ingegnasse per rubarne alcuni e portarseli a casa. Molto probabilmente gli abitanti locali avranno trovato questi cavoli terribili, ma estremamente nutrienti. Non restava altro da fare che modificarli, rendendoli “genovesi” e finalmente gradevoli al loro palato aggiungendo al cavolo verza le tipiche erbe aromatiche, abbondante aglio, acciughe pestate e un filo di aceto. Come chiamarlo? Senza troppi sforzi di fantasia si decise semplicemente di cooptare il nome austriaco nel dialetto genovese, sancendo la nascita del “sancrau”.

Infine, il castagno ha segnato per secoli la cultura locale e la farina ricavata dai suoi frutti è sia protagonista in alcuni paste fatte a mano, quali gli gnocchetti e le “picagge”, sia la regina indiscussa nella preparazione dei dolci. Tra questi la fa da padrona la “Panella”, il castagnaccio con uvetta, pinoli e finocchietto selvatico.

E’ praticamente impossibile condensare in poche righe la storia enogastronomica e le tante peculiarità della Val Graveglia. L’invito è pertanto quello di scoprirla e viverla recandosi direttamente in loco, realizzando una suggestiva escursione tra i borghi di questa valle della pietra e concludendo la giornata pranzando o cenando presso una delle tipiche trattorie.

Tra queste spicca la rinomata Trattoria “La Brinca” in frazione Campo di Ne, dove la storica famiglia Circella ha trasformato la vecchia casa coloniale in trattoria e “caneva con fundego da vin”, cioè osteria con bottega e cantina, raggiungendo, sempre nel rispetto della tradizione, l’obiettivo di promuovere e valorizzare gli antichi sapori e saperi di questa incantevole valle.

Prebugiun di Ne della Trattoria “La Brinca”

Ingredienti per 4 persone:
4 patate Quarantina Bianca Genovese – 1 ciuffo di cavolo nero – 1 spicchio d’ aglio – Olio extra vergine di oliva q.b. – Sale grosso q.b. – Cipolla Rossa di Zerli per la guarnizione In primavera si aggiungono erbette selvatiche, circa 2 hg.

Preparazione:

1) Sbucciare le patate o, nel caso delle Quarantina, con la buccia, metterle in acqua fredda e portare a bollore;

2) In una pentola a parte bollire i cavoli (e le erbette selvatiche in primavera), precedentemente tagliati a striscioline;

3) Nel mortaio pestare l’aglio con il sale grosso;

4) Quando le patate e i cavoli hanno raggiunto la bollitura, sgocciolare le patate e passarle nello schiacciapatate a fori larghi;

5) Insaporire e amalgamare i cavoli bolliti (e le erbette in primavera) con l’aglio pestato;

6) In un tegame amalgamare a mano le patate schiacciate con i cavoli. Per ottenere una consistenza cremosa, aggiungere al composto olio extra vergine a volontà;

7) Servire caldo nel piatto di portata, aggiungendo sopra ancora olio e guarnendo con cipolla cruda o cipollotti freschi.

Buon appetito!


LUCA CAVIGLIA
Nato a Genova nel 1991, mi sono prima laureato in “Scienze Naturali” presso l’Università degli Studi di Genova e successivamente ho conseguito il titolo Magistrale in “Evoluzione del comportamento animale e dell’uomo” presso l’Università degli Studi di Torino, con specializzazione in ricerca e gestione di carnivori e ungulati. Amo la montagna in tutti i suoi molteplici aspetti e ogni mia escursione vuole essere una tavolozza piena di colori, con cui dipingere insieme ai partecipanti le meraviglie del nostro territorio!
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