Sino alla metà del XVIII secolo, quando il mondo alpino riconquistò finalmente interesse e ammirazione, la Valle d’Aosta appariva agli occhi degli studiosi e dei viaggiatori europei come una terra pressoché sconosciuta, circondata da ostili e innominate montagne, dal ghiaccio e da numerosi precipizi, oltre ad essere abitata da popoli selvaggi.

In principio l’atteggiamento dell’uomo verso la montagna fu piuttosto timoroso, in quanto dimora di creature fantastiche, spiriti e demoni protagonisti di leggende senza tempo: un’immagine davvero poco invitante e molto distante da quella odierna. Lo stereotipo classico delle Alpi considerate come barriera naturale insormontabile e insidiosa si consolidò nel tempo, tant’è che in questi luoghi gli unici viaggiatori costretti a transitarvi erano i pellegrini diretti a Roma, i mercanti e i soldati che ne fuggivano rapidamente, senza provare un minimo interesse per il paesaggio e le sue genti.
Tra i primi ad esplorare l’angusto territorio furono i cartografi sabaudi che sostituirono le preesistenti indicazioni sommarie e fantasiose con disegni e dati concreti, basati sui rilevamenti diretti. Gli stessi storici valdostani, come il Segretario degli Stati Generali Jean-Baptiste De Tillier, ancora nel Settecento parlavano di «glaciers épouvantables et de très hautes montagnes» viste prettamente come un ostacolo alle comunicazioni e agli insediamenti.
Questa marginalità dai circuiti classici dell’iter italicum rese la Valle d’Aosta una ricca fonte di scoperte esclusive per pochi avventurieri, incantati soprattutto dalle vestigia romane ancora ben conservate. Dalla seconda metà del XVIII secolo, complice il periodo di pace che regnava sul Regno di Sardegna di Carlo Emanuele III alla fine delle Guerre d’Indipendenza, la Valle d’Aosta fu oggetto di un’importante opera di studio, censimento e stima del territorio non più a fini prettamente strategici, bensì esplorativi: una serie di scienziati, tecnici e funzionari dello Stato Sabaudo si dedicò alla valutazione sistematica del territorio per l’ottimizzazione dello sfruttamento delle risorse agricole e minerarie.

Le ricerche si spinsero anche ai piedi delle montagne, solitarie e inesplorate, per studiarle dal punto di vista scientifico, botanico e geologico: il naturalista ginevrino Horace-Bénédict de Saussure fu il grande artefice della nuova immagine delle Alpi.
Durante le escursioni sui rilievi che dominano il lago di Ginevra il suo sguardo veniva attirato dal profilo in lontananza di una montagna altissima, innevata, con pareti irte e picchi rocciosi: il Monte Bianco (4.809 m) esercitò da sempre un grande fascino sull’ambizioso scienziato poiché rappresentava il simbolo dell’ignoto.
Nei suoi famosi Voyages dans les Alpes, il diario di viaggio pubblicato tra il 1779 e il 1796 in quattro volumi, descrisse la zona del ghiacciaio del Miage in Val Veny, il Trou des Romains in Val Sapin e l’ascesa al Mont Crammont (2.737 m.) nel 1774 assieme a Jean-Laurent Jordaney detto Patience, considerato la prima guida di Courmayeur, al fine di abbracciare con lo sguardo l’intero massiccio del Monte Bianco cercando di trovare la via alla sua vetta ancora inviolata, promettendo una somma in denaro per chi l’avesse conquistata per primo.

L’ascesa, monitorata dalla popolazione col telescopio, avvenne l’8 agosto 1786 da parte del francese Michel-Gabriel Paccard e della sua guida di Chamonix Jacques Balmat des Baux dal lato francese, con un’eco talmente vasta da inserire il Monte Bianco nella cultura europea.
L’anno successivo De Saussure organizzò la sua spedizione scientifico-alpinistica raggiungendo anch’egli la cima munito di tutti gli strumenti necessari alle rilevazioni scientifiche: l’impresa ebbe una risonanza ancora più ampia della prima salita. De Saussure si occupò anche dello studio del Monte Cervino, considerato come una montagna inaccessibile per la sua verticalità, e del massiccio del Monte Rosa.
Il mondo alpino, da sempre sconosciuto e poco interessante, venne finalmente preso in considerazione e divulgato come custode di autentici tesori, a partire dalle sue immense vette, i suoi caratteristici villaggi, gli usi e i costumi, i meravigliosi paesaggi e le ricche risorse del sottosuolo. La continua esplorazione e la conquista del Monte Bianco contribuirono a gettare le basi per una nuova disciplina: l’alpinismo sportivo. Nel 1850 a Courmayeur nacque la prima società di guide alpine d’Italia, seconda in Europa dopo Chamonix, volta alla promozione e alla conoscenza della montagna e dell’alpinismo: il nobile mestiere di guida era diventato il perno del turismo montano, volto a trasmettere la stessa passione per la montagna ad altri fruitori dell’alpe.
Il Duca degli Abruzzi e le guide di Courmayeur
Luigi Amedeo di Savoia-Aosta, il Duca degli Abruzzi, nacque nel 1873 a Madrid dall’abdicando Re di Spagna Amedeo I (fratello di Umberto I) e Maria Vittoria dal Pozzo della Cisterna, divenuti poi primi Duchi del ramo Savoia-Aosta: egli diventò presto il vero precursore dell’alpinismo extra-europeo a partire dalla conquista nel 1897 del Monte Saint Elias (5.489 m) in Alaska con le guide valdostane Joseph Petigax detto la Blònda, Laurent Croux, Antonio Maquignaz e Andrea Pellissier.

Il fascino dell’ignoto e dell’avventura lo portarono a sconfinare sui monti lontani dell’Asia, dell’Africa e dell’America, senza dimenticare la celebre spedizione al Polo Nord del 1900 alla quale il poeta Giovanni Pascoli dedicò la poesia Al Duca degli Abruzzi e ai suoi compagni contenuta in Odi e inni (1906).

A bordo della nave Stella Polare toccò la latitudine più alta mai raggiunta (86°33’49’’) assieme alle guide alpine Alexis Fenoillet, Joseph Petigax, Cyprien Savoye e Felice Ollier, che purtroppo perse la vita a soli 30 anni tra i ghiacci.
Grazie alle incredibili imprese del Duca degli Abruzzi la Valle d’Aosta divenne protagonista indiscussa delle cronache nazionali e straniere: la sua capacità alpinistica raggiunse livelli di fama internazionale anche con le incredibili salite sulle vette ancora inesplorate del massiccio del Monte Bianco, come l’Aiguille Sans Nom del gruppo dell’Aiguille Verte nel 1898 che prese il nome di Punta Petigax come la sua fidata guida alpina; seguita dalla terza punta delle Grandes Jorasses chiamata Punta Margherita omaggiando sua zia, la Regina Madre; e la più meridionale delle Dames Anglaises nel 1901 ribattezzata Punta Jolanda in onore della nascita della primogenita di Vittorio Emanuele III ed Elena di Savoia. Nel 1909 durante la spedizione nel Karakorum in Asia, il tentativo fallito di ascesa del K2 gli consentì assieme alle guide di Courmayeur di oltrepassare il record mondiale di altitudine, raggiungendo i 7.498 metri di quota della Pyramid Peak.
Alla figura di Luigi Amedeo di Savoia-Aosta, deceduto nel 1933, sono stati dedicati numerosi rifugi alpini – come quello all’Oriondé nella Valtournenche – e sedi espositive come il Museo nazionale della Montagna di Torino e il Museo alpino Duca degli Abruzzi di Courmayeur da lui fortemente voluto e inaugurato nel 1929, in sede provvisoria, nel laboratorio della celebre guida Joseph Petigax. Ora si trova all’interno della casa che ospita la Società delle Guide alpine di Courmayeur.
Il Museo alpino Duca degli Abruzzi
Il museo si trova in piazza Abbé Henry, di fronte alla Chiesa parrocchiale di San Pantaleone nel centro di Courmayeur, e custodisce la memoria delle guide alpine locali documentando l’origine e lo sviluppo della nobile professione, di fondamentale importanza per la valorizzazione della montagna in tutti i suoi aspetti, nonché per lo sviluppo dell’attività alpinistica e del turismo ad essa collegato. Esso possiede un cospicuo patrimonio costituito da documenti, fotografie, attrezzatura alpinistica e cimeli, come i preziosi libretti delle guide compilati dai clienti al termine di ogni escursione in cui sono narrate, con aneddoti emozionanti, le loro incredibili avventure.



Materiali, divise storiche, abbigliamento da montagna e curiosi oggetti raccontano oltre 150 anni di storia: la Società delle Guide Alpine di Courmayeur, la più antica d’Italia, venne fondata nel 1850 e nel 2013, dopo un accurato restauro conservativo della storica Casa delle Guide, il museo alpino è stato completamente rinnovato nei locali per ospitare un nuovo suggestivo allestimento capace di ripercorrere la storia della professione delle guide sin dagli esordi.
Esso è articolato su due livelli: il piano terra è dedicato ai pionieri, le guides à mulets, che con l’aiuto dei muli accompagnavano viaggiatori anche illustri, come alcuni membri della Famiglia Reale, alla scoperta dei territori d’alta quota ancora inesplorati. Testimonianze, fotografie ed oggetti raccontano l’evolversi dell’alpinismo e dell’attività delle guide alpine assieme al Duca degli Abruzzi attraverso le immagini delle spedizioni del secolo scorso in Alaska, India, Africa, K2 e Polo Nord; i mezzi e il materiale utilizzati nella missione in cui si arrivò alla massima latitudine mai raggiunta (è possibile vedere la slitta, le calzature imbottite e realizzate appositamente a mano, gli strumenti della nave Stella Polare e i vari capi d’abbigliamento utilizzati) assieme agli oggetti a ricordo dell’Africa.

Salendo al primo piano si incontrano testimonianze dalla Prima Guerra Mondiale fino agli anni Ottanta, scoprendo il percorso storico dell’equipaggiamento (piccozze, scarponi, ramponi…) dagli esordi ai giorni nostri: qui sono conservati ad esempio gli stivali usati dalla Regina Margherita di Savoia nella spedizione allo Spitzbergen nelle Isole Svalbard del 1904 con i quali raggiunse la vetta.

Quest’estate è possibile visitare all’ultimo piano la mostra temporanea “Monte Bianco – Bozzetti 1926-1937”, una collezione di affiches e manifesti unici e fatti a mano dedicati a Courmayeur e alle maggiori località turistiche della Valle d’Aosta ad opera di un autore sconosciuto che si firmava M.P.
Uscendo dal museo, sulla piazza della Chiesa, si può inoltre ammirare il monumento dedicato alla guida deceduta durante la spedizione al Polo Nord: esso rappresenta un cane con la slitta e riporta la dedica «A Felice Ollier, guida alpina, scomparso sui ghiacci dell’Oceano glaciale artico nella spedizione colle slitte diretta al Polo Nord. Marzo 1900. Luigi di Savoia».

Anche la meridiana posta sulla parete di Maison Guédoz, realizzata nel 1920 dal noto gnomonista genovese, il Capitano Enrico Alberto D’Albertis, e restaurata nel 2017, è dedicata alla guida scomparsa. Sul quadrante si leggono i versi dedicati alla spedizione: «Mesta Custode sto segnando l’ore presso la Croce Santa che rammenta di valdostana guida il gran valore. Ghiacci polari, tropicali ardori, tutto provaste fiere Genti Alpine, anco di Guerra i barbari furori».

Sono inoltre presenti i cippi commemorativi delle guide alpine che hanno segnato la storia di Courmayeur: Joseph Petigax, Emile Rey e Mario Puchoz.
Il museo nei mesi di luglio e agosto è aperto martedì, giovedì, venerdì e sabato dalle 8.30 alle 12 e dalle 16 alle 19; mentre il mercoledì e la domenica solo dalle 16 alle 19 (chiuso il lunedì).
http://www.guidecourmayeur.com/museo.php
Per maggiori informazioni:
C. Pizzato, L’apporto della Famiglia Reale allo sviluppo turistico della Valle d’Aosta da metà Ottocento al 1946 (2021). Tesi di Laurea Magistrale consultabile a breve presso il Fondo Valdostano della Biblioteca regionale di Aosta.
Ciao a tutti, mi chiamo Caterina e sono giornalista, accompagnatrice turistica e guida museale. Nel tempo libero mi dedico alle altre mie passioni: l’arte, i viaggi e la promozione della mia amata regione, la Valle d’Aosta, un piccolo scrigno tutto da scoprire! Seguite i miei consigli per conoscere le curiosità e le meraviglie custodite tra le montagne più alte d’Europa. Siete pronti a partire?
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