Trekking sul sentiero dei fiori in Piemonte

“Lou viol d’es fiour”

La natura dipinge per noi, giorno dopo giorno, immagini di infinita bellezza.

John Ruskin

John Ruskin aveva certo le idee molto chiare su cosa fosse per lui la bellezza. Slegata definitivamente dal possesso di una forma regolare e comprensibile, in epoca romantica la bellezza trovò la sua espressione più pura nella caotica informità. L’immensità dell’indefinibile e dell’irrazionale suscitavano nel viaggiatore un piacere estetico inquieto, negativo. La potenza della natura umiliava la soggettività dell’individuo, eternamente combattuto tra il terrore e l’attrazione.

Al giorno d’oggi invece? Possiamo dare una chiara definizione di bellezza? Il termine è quanto mai abusato. In origine forse era perlopiù se non esclusivamente usata per indicare eleganza, proprietà, delicatezza, ma oggi con quest’unica parola siamo soliti esprimere ogni tipo di giudizio con qualsivoglia soggetto. Eppure siamo, chi più chi meno, pervasi dall’idea che esista una bellezza oggettiva in grado di infondere un senso di pace e sollievo. Un piacere tutt’altro che inquieto, bensì rasserenante. Ciò accade soprattutto di fronte a certi fenomeni della natura, quali i fiori o l’arcobaleno sulla cascata, il cielo stellato e l’alba sull’oceano.

Ecco allora che un’escursione può elevarsi a ricerca del bello, l’occasione ideale per godere, anche solo per qualche istante, del piacere della sua vista.

Nell’alto Vallone dell’Arma, al confine tra le Alpi Marittime e le Alpi Cozie Meridionali, arditi pinnacoli e misteriose cavità custodiscono un sentiero che al termine della primavera si trasforma in sublime opera d’arte. Lungo l’agevole quanto panoramico percorso prende vita davanti agli occhi una ricchissima tavola di colori, frutto delle delicate fioriture di stelle alpine, orchidee, rododendri, gigli, anemoni, genziane e molte altre specie tipiche se non esclusive di queste praterie alpine. Ognuna di queste protagoniste si concede al visitatore, mettendo in mostra tutto il proprio fascino con meraviglioso riserbo.

La biodiversità floreale è talmente eccezionale che l’itinerario è noto in dialetto come “Lou viol d’es fiour“, ovvero il sentiero dei fiori.

Tale straordinaria ricchezza è innanzitutto una conseguenza dell’elevata eterogeneità della zona, a sua volta figlia degli innumerevoli processi geologici e dei diversi agenti modellanti che si sono avvicendati nel corso del tempo. Il sentiero affronta in rapida successione scoscese pietraie, dolci terrazzi erbosi, aree marcatamente carsiche e forme di chiara memoria glaciale, sempre su un substrato di bianca roccia calcarea.

Sono sufficienti poche centinaia di metri per poter scorgere tra le pietre le fioriture di un’importante specie come la Berardia subacaulis, un vero e proprio fossile vegetale ormai osservabile quasi esclusivamente in questo settore dell’arco alpino.

Il genere Berardia è uno dei soli tre generi endemici della flora alpina e trova nella specie subacaulis l’unica sua rappresentante ancora in vita, incredibilmente sopravvissuta alle rigide glaciazioni preistoriche. Un vero mito delle Alpi Marittime e pertanto rigorosamente protetta.

Altrettanto significativa la presenza dell’aglio a fiori di narciso(Allium narcissiflorum). Meglio noto come aglio piemontese, questo vanitoso aglio che si finge narciso è presente solo sulle Alpi sud-occidentali, fatta eccezione per qualche nucleo secondario in Alpi Pennine e Graie. Non risulta documentato alcun suo uso alimentare o farmaceutico, ma in ogni caso la relativa rarità della specie deve comunque dissuadere dall’estirpazione delle radici e dalla raccolta di scapi fiorali e foglie.

Aglio piemontese

I narcisi sono modelli così invidiati che sulle stesse pietraie si possono osservare altri spavaldi imitatori, questa volta appartenenti all’Anemone narcissiflora. Specie ben più comune delle precedenti, dietro il suo candido aspetto nasconde invero una discreta tossicità.

Ad abbellire ulteriormente il primo tratto del sentiero contribuiscono anche esemplari di campanula occidentale (Campanula alpestris), i cui grandi fiori viola non passano certo inosservati.

Decisamente meno appariscente, ma non per questo meno interessante, la presenza di minuscoli salici nani, quali il Salix reticulata e il Salix retusa, autentici bonsai naturali che rischiano di essere trascurati in mezzo a così tanti colori.

Proseguendo lungo il sentiero, la pietraia lascia spazio a un ameno praticello sassoso, dove spiccano i vistosi fiori viola dell’Aster alpinus e i capolini rosso-aranciati del ben più raro Tephroseris integrifolia, in realtà in Italia sempre più noto mediante l’uso del sinonimo Senecio capitatus. I tassonomisti si divertono un sacco a complicarsi la vita, conviene pertanto tralasciare certe disquisizioni e concentrarsi sui tanti piccoli caratteri che il Senecio, pardon Tephroseris, ha evoluto quale adattamento alle dure condizioni dell’alta quota. La fitta lanugine che la ricopre interamente e la disposizione delle foglie in una rosetta basale aderente al suolo sono un’ottima soluzione per ridurre la traspirazione e la conseguente perdita d’acqua, bene sempre prezioso, figuriamoci in una zona carsica a oltre 2400 metri di altitudine.

Capolini arancioni del senecio

Volgendo lo sguardo verso valle si rimane invece piuttosto stupiti nel veder spuntare i bianchi piumetti cotonosi e penduli degli eriofori (Eriophorum angustifolium), una specie apparentemente singolare in un territorio così marcatamente carsico. Eppure la vista dell’erioforo, conosciuto in occitano come “erbo de sanho”, non è per niente un’allucinazione, bensì la prova della rimarchevole presenza di piccole nicchie umide, vere e proprie oasi in cui l’acqua ha conquistato modeste porzioni di suolo.

Fortunatamente l’erioforo non soffre di solitudine dato che sugli stessi affioramenti umidi radica anche l’aromatica erba cipollina (Allium schoenoprasum). Nonostante venga ormai comunemente coltivata in varie regioni d’Italia, allo stato selvatico è considerata rara sia sulle Alpi che sugli Appennini settentrionali. Gli occitani erano soliti cercare e raccogliere l’aiét vicino a sorgenti e ruscelli, oltre che nei freschi ripari sotto roccia, per poi utilizzarlo sia in numerosi piatti della cucina tradizionale sia come amuleto contro il malocchio o maledizioni varie.

Giunti alle pendici nord-orientali del Monte Omo, le praterie alpine lasciano il proscenio a notevoli affioramenti rocciosi, ma il sentiero dei fiori continua a tenere fede al suo nome e non lesina colori sgargianti nemmeno sui grigi ghiaioni.

Un elegante scintillio condiviso anche dalla primula dai margini argentati (Primula marginata), visibile però solo nel mese di giugno in contemporanea alla fusione delle ultime chiazze di neve.

Lungo il medesimo tratto roccioso, compare sporadicamente qualche pianticella di iberella (Thlaspi rotundifolium) dalle rosee infiorescenze; molto più abbondante, soprattutto in estate inoltrata, l’azzurra fioritura della graziosa Campanula cochlearifolia, con ciuffetti a fiori abbarbicati tra le spaccature delle rocce.

Tra gli sfasciumi spiccano infatti le dorate corolle del papavero alpino (Papaver rhaeticum), al cui fianco emergono gli ornamenti gentilmente offerti dalle numerose sassifraghe (Saxifraga aizoon e la più rara Saxifraga caesia), tenacemente radicate tra i detriti e sempre caratterizzate da foglioline riunite in rosette e con i margini incrostati di luccicanti cristallini calcarei.

Ancora più tardive alcune delle fioriture più appariscenti della zona. Infatti, solo in avanzata stagione estiva si aggiungono al corteo floreale le azzurre infiorescenze della speronella (Delphynium dubium). Il nome del genere deriva dal greco “delfis”, ovvero delfino, e si riferisce all’inconfondibile forma speronata della corolla di questo endemismo della catena alpina, il cui areale appare però sempre più frammentato lungo il bordo meridionale delle Alpi. In Italia è considerata rara, ormai unicamente distribuita in alcune siti di confine in Piemonte, Trentino e Veneto, dove risulta rigorosamente protetta dalle normative regionali. Divieti necessari dato che la sua appariscenza, accentuata dalla crescita a un metro circa di altezza, è più una croce che una delizia. A lungo è stata una delle vittime predilette di ignoranti avventori desiderosi di introdurla ed esporla nei propri giardini, oltretutto incuranti della sua notevole tossicità, effetto della produzione di diversi alcaloidi quali la delfinina.

Altrettanto tardiva la comparsa degli smaglianti rappresentanti del genere Doronicum e dei solari fiori dell’eliantemo maggiore (Elianthemum nummularium).

Gruppo di speronelle

Superato un breve tratto attrezzato con catena, il sentiero prosegue tagliando a mezzacosta il costolone orientale del Monte Omo, entrando nell’ultima parte del percorso naturalistico improntato da rocce calcaree erose dal carsismo superficiale.

Alla base delle Rocce Serour, il cui toponimo fa riferimento a un luogo chiuso tra alte montagne, si possono osservare le rosee corolle del lino montano (Linum tenuifolium) e l’aurea fioritura del bupleuro delle rocce (Bupleurum petraeum), così chiamato già da Ippocrate, alludendo alle sue nervature fogliari molto pronunciate.

Nel corso dell’estate le pendici rocciose del Monte Omo si vestono anche del rosso scarlatto delle bacche della velenosa Daphne mezereum. Il nome comune “fior di stecco” di questo grazioso arbusto eretto, rimanda al fatto che i profumati fiorellini rosa compaiono in primavera prima delle foglie, e, poiché sessili e disposti a piccoli gruppi molto ravvicinati all’estremità dei rami, danno per l’appunto l’impressione che si tratti di stecchi fioriti.

Come già accennato il sentiero dei fiori rappresenta sotto tutti i punti di vista un chiaro spaccato della straordinaria ricchezza della flora italiana. Una moltitudine di specie vegetali con storia diversa caratterizza l’attuale quadro botanico, che si presenta ai nostri occhi con caratteristiche ben delineate nella loro eterogeneità. A tutti gli effetti un grande crogiolo di piante composto da specie sviluppate in loco e da altre giunte dai luoghi più remoti, come dai monti del Nord Africa, dalle regioni boreali e artiche, dalla Siberia, dalle steppe euroasiatiche e dai monti dell’Asia centrale e occidentale.

Emblematiche le origini dell’iconica stella alpina (Leontopodium alpinum), i cui antenati sono giunti dalla regione montuosa dell’Himalaya e che oggi impreziosisce i crinali alpini, compresi naturalmente quelli percorsi lungo il sentiero dei fiori.

Ovviamente le ultime glaciazioni del Pleistocene hanno giocato un ruolo decisivo nel definire l’odierno tasso di biodiversità. Oltre a comportare locali estinzioni e a forzare peculiari adattamenti e modifiche in antiche specie presenti fin dal Terziario, l’avanzata dei ghiacciai polari comportò anche l’arrivo di rappresentanti delle regioni settentrionali. La maggior parte di queste specie, con il ritorno alle condizioni climatiche precedenti, andò poi incontro all’inevitabile scomparsa, ritirandosi verso le latitudini più favorevoli. Fecero però eccezione alcune popolazioni relitte che si adattarono a vivere in micro-aree climaticamente rimaste simili a quelle di origine, per esempio, sulle montagne più alte dove stabilirono nuclei isolati di popolazioni ancora oggi esistenti. Un celebre caso di questi relitti artico-glaciali è il camedrio alpino (Dryas octopetala), di cui si segnala una copiosa presenza lungo buona parte del sentiero dei fiori.

Il nome generico deriva dal greco e rimanda alla forma delle foglie che ricorda quella delle querce. Linneo, che per primo la classificò in tal modo, si ispirò alle Driadi, ovvero alle ninfe delle querce della mitologia greca, spiriti della natura che personificavano la fecondità e la grazia, ben rappresentate dal bianco immacolato degli otto petali del camedrio.

Praterie punteggiate dai camedri alpini

A compimento dell’opera non potevano mancare gli splendidi gigli di San Giovanni (Lilium croceum) e le numerose specie del genere Gentiana, fedeli compagni di viaggio dell’escursionista nel corso dell’intero itinerario.

Una delle genziane presenti lungo il sentiero

Occorre sottolineare come il sentiero dei fiori risulti oltremodo interessante anche sotto l’aspetto geomorfologico. La natura spiccatamente carsica della zona è chiaramente percepibile per l’assenza di corsi d’acqua superficiali e la presenza di numerose doline, alcune delle quali particolarmente profonde. Impossibile non notare i numerosi avvallamenti imbutiformi posti pochi metri sotto la prima parte del sentiero, chiaro retaggio di antiche doline carsiche ormai inerbite. In questo contesto, tali elementi geomorfologici acquisiscono anche una valenza estetica. Infatti, il terreno nudo e sabbioso delle doline e delle colate detritiche fa da perfetto contraltare alla varietà cromatica dei prati fioriti.

Non va inoltre dimenticata la possibilità di osservare molte delle specie iconiche della fauna alpina. Il fischio della marmotta, la quiete degli stambecchi al pascolo, il maestoso volteggiare dell’aquila e del gipeto impreziosiscono ulteriormente un’escursione già estremamente suggestiva.

Infine, sublimano il tutto i molteplici belvedere da cui godere di splendidi panorami sulla cintura delle Alpi Marittime e delle Alpi Cozie.

Profonde doline parzialmente inerbite

Conviene precisare come le specie citate siano solo una piccolissima percentuale delle moltissime osservabili e ricordare come in alta montagna la fioritura sia fortemente influenzata e condizionata dagli andamenti climatici stagionali. In linea generale, si può ritenere il mese di luglio quale più indicato e favorevole per osservare il maggior numero di specie.

Inutile ma pur sempre doveroso ricordare che, divieti vigenti o meno, sia necessario lasciare i fiori al loro posto e contribuire responsabilmente alla conservazione di questo immenso patrimonio.

Lou viol d’es fiour” è la dimostrazione di come non servano parole nuove per definire la bellezza, essa si esprime con la voce silenziosa delle meraviglie della natura. Il delicato ondeggiare dei fiori alle carezze del vento è un potenziale manifesto della rivoluzione gentile di cui abbiamo estremo bisogno. Albert Camus scrisse: “La bellezza, senza dubbio, non fa le rivoluzioni. Ma viene un giorno in cui le rivoluzioni hanno bisogno di lei”. Troppo a lungo quel giorno è stato rimandato, spingendoci sul piano inclinato del disinteresse, della rassegnazione e dell’individualismo. È giunto il momento di riscoprire insieme il nostro bisogno di bellezza, per reimparare a riconoscerla e combattere per difenderla, innocentemente convinti, al pari di Dostoevskij, che alla fine solo “la bellezza salverà il mondo”.

Informazioni tecniche dell’itinerario

Itinerario ad anello

Colle Valcavera (2416 m) – Colle Serour (2430 m) – Gias Salè (1971 m) – Colle Valcavera (2416 m)

Sviluppo: 13.5 km

Dislivello: +1051 m / -1051 m

Difficoltà E (breve tratto EE per salire in cima al Monte Salè)

Tempo di percorrenza: 5.30 – 6 ore (compresa la normale al Monte Salè)

Variante meno impegnativa (necessario dividere le auto tra la zona di partenza e arrivo)

Colle Valcavera (2416 m) – Gias Serour (1813 m) – Rifugio Carbonetto (1874 m)

Sviluppo: 8.2 km

Dislivello: +204 m / -755 m

Difficoltà: E

Tempo di percorrenza: 3 ore

I tempi di percorrenza comprendono le “doverose” pause che la contemplazione del paesaggio e dei suoi protagonisti rendono necessarie.

Le uniche sorgenti si trovano in corrispondenza del Gias Serour e del Rifugio Carbonetto per la variante breve, mentre solo presso la struttura del Rifugio Don Martini, poco oltre la metà del percorso, per quanto concerne l’itinerario ad anello.


LUCA CAVIGLIA
Sono Luca Caviglia, Accompagnatore di Media Montagna iscritto al Collegio delle Guide Alpine del Piemonte e membro del gruppo di Accompagnatori e Guide Alpine “Hike&Climb Liguria”. Nato a Genova nel 1991, mi sono prima laureato in “Scienze Naturali” presso l’Università degli Studi di Genova e successivamente ho conseguito il titolo Magistrale in “Evoluzione del comportamento animale e dell’uomo” presso l’Università degli Studi di Torino, con specializzazione in ricerca e gestione di carnivori e ungulati. Amo la montagna in tutti i suoi molteplici aspetti e ogni mia escursione vuole essere una tavolozza piena di colori, con cui dipingere insieme ai partecipanti le meraviglie del nostro territorio.

RIFERIMENTI E CONTATTI

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