Storie e segreti di Hydra
Quanti misteri attorno a questo piccolo borgo incastonato tra i Monti Aurunci e quante domande senza risposta.
Strani simboli e silenzi storici di una cittadina attraversata dalla Regina Viarum, il cui stemma è legato ai serpenti e ai cani, patria di un brigante che morì da eroe e sovrastata da un castello dove ancora oggi si aggirano forse spiriti inquieti.
Parliamo di Itri, 170 metri sul livello del mare a circa 10 Km dalla costa e dalle sue sorelle forse più famose come Gaeta e Sperlonga anche se il suo fascino non ha nulla da invidiare alle bellezze delle sue vicine e alla loro storia.

In estate entrare nella città di Itri – provenendo da sud lungo la Via Appia – suscita sempre nel viaggiatore la sensazione di trovare riparo dal sole inclemente.
L’antica consolare, affiancata da oliveti e muretti a secco, porta ancora le testimonianze di un passato glorioso e si insinua nella piccola città tra strette curve, incorniciata dalla roccia a picco e il torrente attraversato da un antico ponticello.
Ci accolgono testimonianze del passaggio dei francesi sotto il Re Murat, con la fontana che porta il suo nome ma il vero protagonista è la fortezza che domina dall’alto di Monte Sant’Angelo tutta la cittadina.
Le sue mura, dal picco del monte, corrono fino quasi a valle come a voler proteggere e abbracciare o forse arginare un piccolo paese che ha ormai sconfinato dal suo perimetro.
Nodo cruciale sull’antica Via Appia, Itri è stata raccontata con sfumature diverse nei diari di viaggio e nei libri o immortalata su acquerelli o tavolozze da grandi scrittori e artisti europei soprattutto dell’Ottocento.
Lo scrittore danese Hans Christian Andersen ha lasciato un’affettuosa testimonianza della sua visita in città anche se forse qualcuno storcerà il naso ad ascoltare cosa la rendesse così fascinosa al suo sguardo.
L’ingresso da Fondi passava per l’antico tratto urbano della romana Appia, percorsa nei secoli da milioni di persone e oggi conosciuta come Via Straccio e Andersen esalta il fascino del suo disordine con queste parole: Ecco lì la mia sporca Itri!
Durante i Grand Tour sono quindi piccole città italiane come questa ad ispirare pittori ed artisti!
Del resto – lui dice – cosa si può raccontare o dipingere delle città del Nord Europa così squadrate e quasi prive di un’identità propria?
Queste strade strette e sporche, con i balconi di pietra grigia mal tenuti, pieni di calze e sottane stese ad asciugare, quelle finestre disposte senza nessun ordine, una più su e una più giù, di tutte le grandezze! Guarda quella scala di quattro o cinque metri per raggiungere la porta di entrata, guarda quella vecchia seduta lì con il suo fuso, quel’albero con i grandi limoni gialli che sporge dal muro: questo sì che è da dipingere! Da quelle nostre strade civili, invece, con le case allineate come soldati, senza scale esterne e senza nessuna sporgenza, non si potrà cavare mai nulla!
Ecco la patria di Fra’ Diavolo!
È un covo di briganti! – Replicò il vetturino quando fummo usciti.
(da L’improvvisatore di H. Ch. Andersen, 1835).
Il quartiere detto Lo Straccio Un vicolo de Lo Straccio
Ancora prima che il castello fosse costruito e ancor prima che la Via Appia attraversasse questi monti, queste terre sono state abitate dall’uomo così come testimoniato dalle importantissime scoperte fatte nelle località attorno la città: frecce, lance, coltelli in pietra levigata e ossidiana fino ad arrivare a manufatti più moderni risalenti al 3.000 – 2.000 a.C.
Fonti storiche non fanno riferimento ad alcuna città tra Fondi e Formia nel periodo romano e molto probabilmente a quell’epoca la popolazione locale era in numero limitato anche se sappiamo della presenza dell’importantissimo tempio di Apollo nelle Gole di Sant’Andrea e di almeno una stazione di posta lungo la Via Appia per ristoro e cambio di cavalli: una sosta agognata dopo aver affrontato le asperità dei Monti Aurunci… del resto, lo stesso nome del quartiere cittadino Lo Straccio, potrebbe derivare da una storpiatura del latino Statio.
Le prime menzioni di una comunità a Itri in atti pubblici si hanno a partire solo dal IX secolo dopo Cristo, il periodo in cui venne costruito il primo castello o meglio le prime due torri che si trasformeranno in una fortezza imponente, necessaria per sbarrare il passo agli invasori che potevano utilizzare la consolare Appia per raggiungere il Ducato di Gaeta, più tardi Porta del Sud del Regno di Napoli.
LA TORRE POLIGONALE DEL IX SECOLO LA TORRE QUADRATA DEL X SECOLO
Le due torri verranno collegate per dare corpo alla fortezza che – verso la fine del 1200 – verrà completata con la costruzione del camminamento protetto dalle poderose mura merlate che corre ancora oggi lungo il fianco di Monte Sant’Angelo, collegando il Castello con la famosa Torre del Coccodrillo legata alla leggenda di un enorme rettile, ospite del fossato del maniero, i cui pasti migliori erano costituiti dai poveri prigionieri condannati a una morte alquanto violenta.
Anche questo Castello avrebbe tante storie da raccontare sui signori che lo hanno abitato nei secoli: i Dogi di Gaeta e la famiglia Dell’Aquila seguiti dai più famosi Caetani e i Principi di Stigliano.
San Tommaso d’Aquino è stato qui, così come Giulia Gonzaga e Ippolito de’ Medici e tanti altri personaggi che possiamo far rivivere nelle stanze di questa fortezza, oggi visitabile e ancora conservata nella sua incredibile antica struttura.
Dal suo punto più alto, guardando verso sud, appare la Baia di Gaeta e il suo Castello perfettamente in linea con questo di Itri!


È arduo e affascinante cercare di ricostruire il passato di questi luoghi attraverso gli indizi e le testimonianze lasciate dai popoli che li hanno vissuti.

Indizi a volte imponenti come questo castello, a volte solo minuscoli frammenti di vita come segni o figure scolpite nella pietra come lo stemma della città: un serpente incoronato, attorcigliato attorno ad uno scudo e pronto ad attaccare.
È proprio l’ingresso alla città medievale, la cosiddetta Porta Mamurra, che ci dice qualcosa di più della storia e delle origini del nome di Itri.
Marco Vitruvio Mamurra – politico romano nato a Formia nella metà del I secolo a.C. – era amico e amante di Giulio Cesare ed era smodatamente ricco, come dimostrano i resti delle sue ville nei dintorni e a Roma.
La Porta potrebbe essere stata ipoteticamente l’arco di ingresso di una sua proprietà, poi rivisitato dai secoli e dai nuovi abitanti.

L’arco, costruito durante il medioevo come un grande puzzle con parti di pietra e marmo appartenenti ad altri monumenti, porta scolpito ai due lati il simbolo che tuttora è nello stemma della città di Itri e che ci dà la prima indicazione dell’etimologia del nome: un serpente eretto con la lingua bifida, serpente d’acqua per la precisione il cui nome latino Hydrus ci riporta a Itri e alla leggenda di Amyclae, fondata dai Greci nel VI secolo a.C. e distrutta dai serpenti, considerati animali sacri.

Ma le iscrizioni sulla porta ci mostrano un’altra discutibile ipotesi sull’origine del nome, capirci qualcosa è difficile e del resto il puzzle potrebbe essere incompleto: C. M. AGNIUS M. F. AE AEDIL. ITER.
Quest’ultima parola non rientra molto nel contesto della frase visto che ITER in latino vuol dire viaggio… sarà allora questa l’origine del nome di Itri, legato al passaggio della Via Appia?
Ma come tradurre quell’ITER in questo contesto? Potrebbe diventare un’abbreviazione di ITERUM che significa PER LA SECONDA VOLTA probabilmente riferito al resto dell’iscrizione che parla di questo signore CAIO MARCO AGNIO, AEDIL (costruttore edile) ITER (per la seconda volta).
Ma il mistero rimane!

Le altre iscrizioni sui due lati della porta invece appartengono ad epoca barbarica: sul lato destro possiamo anche scorgere un bassorilievo di una testa di un grosso cane mastino, scolpita in modo rudimentale e due epigrafi: sulla sinistra CUSTODES SUMUS JTRI NOSTRI SAEVISSIMI VOBIS (NOI SIAMO I GUARDIANI DELLA NOSTRA CITTÀ DI ITRI E FEROCISSIMI VERSO DI VOI) sulla destra: NUI SEMO BILI. SERPENTES – che possiamo tradurre con NOI SIAMO SERPENTI A DUE LINGUE.



Questa Porta, così misteriosa e colma di indovinelli impossibili da risolvere, ci porta nel centro storico dove troviamo case addossate le une alle altre, stretti vicoli e scalette, chiese che sorgono su antichi templi pagani come San Michele Arcangelo, la chiesa più antica forse eretta dai Normanni nel’XI secolo sui resti di un tempio probabilmente dedicato ad Esculapio.

Scendendo la scalinata dalla bellissima piazzetta trecentesca di San Michele, si sosta dinanzi ai resti della casa di un personaggio che ha fatto e fa parlare ancora di sé, Michele Pezza detto Fra’ Diavolo: brigante o eroe dell’esercito borbonico?
Certo le origini non fanno presagire niente di buono per il futuro di questo ragazzo: nato in una famiglia molto povera Michele si ammala da bambino e sua madre promette che se riuscirà a sopravvivere alla malattia, si farà frate.
Così accade e Michele indossa il saio ma a causa del suo carattere ribelle e violento verrà ribattezzato da quel momento in poi Fra’ Diavolo.
Verrà accusato di omicidio e si darà alla macchia su questi monti, accerchiato dalle guardie borboniche che devono catturarlo e condannarlo a morte per i suoi delitti ma con il suo fine ingegno e una tattica che lascia sbigottiti i militari più esperti, riesce sempre a sfuggire alla cattura beffandosi di un esercito intero.
Il re Ferdinando IV, colpito da tanto ingegno, offre a Michele la possibilità di arruolarsi nell’esercito per mettere al servizio del Paese la sua intelligenza e la sua naturale dote di tattico militare.
Questa scelta cambierà la sua vita e scriverà per sempre il suo nome nelle pagine della storia e nella memoria degli uomini: sicuramente nessuno avrebbe ricordato uno dei tanti briganti che infestavano queste montagne, certamente nessuno avrebbe speso una parola in memoria di Michele Pezza, detto Fra’ Diavolo, se il destino non avesse deciso altrimenti.
Michele vestirà la divisa borbonica e combatterà sui monti contro l’invasore francese, la sua figura magica e un po’ diabolica affascinerà anche il nemico a cui non verrà dato respiro. Il manipolo di irriducibili al suo comando è talmente audace e pericoloso che il governo di Bonaparte emette un mandato di cattura nei confronti del brigante-soldato, affidando al colonnello Hugo, padre del famoso scrittore, il compito di catturare Fra’ Diavolo.
Michele, ferito e ormai solo, viene preso nell’ottobre del 1806; prima dell’esecuzione gli viene offerta la possibilità di aver salva la vita rinnegando la propria divisa e arruolandosi nell’esercito francese.
Morirà da eroe, indossando l’uniforme borbonica, impiccato nella Piazza Mercato di Napoli l’11 novembre 1806.
FRA’ DIAVOLO TARGA DEDICATA A MICHELE PEZZA
Continuando a camminare per il borgo, godiamo di scorci abbelliti da piante e fiori, vicoli e sottoportici che hanno storie da raccontare e dai nomi che evocano chi li ha abitati: Vico Giudea, Largo Staurenghi, Vico Papa (e già anche un Papa o forse due) e poi gli ulivi che circondano il Borgo in un abbraccio argentato.


Vicolo del borgo

Gli oliveti si estendono ovunque riesca ad arrivare lo sguardo e producono un olio denso e profumato, basso in acidità.
Ma le olive di varietà Itrana o le forse più famose olive di Gaeta non regalano solo olio ma anche paté bianchi o scuri e olive da tavola che profumano le nostre tavole.
La piccola azienda agricola Agriturismo Mandrarita, situata a Itri in un luogo incantevole sulle colline che guardano il mare, perpetua questa tradizione da anni con i suoi circa sette ettari di terreno coltivati secondo il metodo agricolo bio-dinamico basato sul totale rispetto degli equilibri naturali.
Vigna, frutteto, orto e l’immancabile oliveto situato in collina dove 700 alberi di circa 200 anni (tutti di varietà Itrana) crescono in pochissima terra strappata alla roccia.
Le preziose olive vengono raccolte a mano tra novembre e dicembre e – subito trasportate al frantoio di fiducia – vengono trasformate in olio extravergine.
E poi… paté di olive bianche o nere, olive da tavola e vino rosso o bianco per accompagnare la degustazione della salsiccia itrana e del tipico cacio marzolino, prodotto con il latte di marzo delle pecore e delle capre e consumato fresco o salato, ricoperto di erbette fresche delle montagne o con peperoncino o messo sott’olio.

Questi sono i profumi di Itri, un borgo circondato dalle montagne che allunga incredibilmente una lingua di territorio anche sul mare: una terra attraversata dalla Regina Viarum che ha visto le scorrerie dei briganti e assistito al sacrificio di tanti uomini e la cui storia potrebbe essere raccontata solo dai centenari alberi di ulivo che coprono queste montagne e che rimangono i soli testimoni di tante vicende che hanno fatto la nostra storia.
Itri è un veliero che fa rotta a sud-est. Con cento e cento lenzuola stese al vento, questa città lineare, cresciuta tutta sulla nostra via, naviga tra i monti come un cutter transoceanico. (Appia – Paolo Rumiz)
VALERIA SIMEONE
Ciao a tutti! Mi chiamo Valeria e sono guida turistica abilitata e accompagnatore turistico.
Sono nata a Gaeta, un’incantevole cittadina sul mare ricca di storia e baciata da una natura spettacolare ma ho vissuto tanti anni tra l’Umbria, Bologna e nove dei miei anni più belli a Venezia. Sono poi tornata nella mia città e qui ho scoperto il mestiere più bello del mondo: un lavoro che mi ha fatto guardare la mia terra con occhi diversi e mi ha insegnato ad amare questi luoghi profondamente. Gli anni vissuti in giro per l’Italia mi hanno poi reso più facile e appassionante il lavoro di Accompagnatore Turistico che svolgo in tutta Italia per clienti americani e australiani.
Come Guida Turistica invece, lavoro nella Regione Lazio e più esattamente nella Provincia di Latina. Una Provincia giovane che ha riunito due mondi storicamente diversi: il Regno di Napoli e lo Stato della Chiesa: una terra ricca di storia, leggende e non solo. La chiamano La Riviera di Ulisse!
Perché questo nome? Lo scopriremo insieme ed esploreremo i luoghi più belli di questa terra incantata perché si sa… con la guida è TUTTaUN’aLTRaSTORIa!
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