“Vedrai una città regale, addossata a una collina alpestre, superba per gli uomini e per mura, il cui solo aspetto la indica signora del mare”
Francesco Petrarca
Prese così vita l’immagine della Superba nelle parole di un affascinato Francesco Petrarca, intento a salpare per Gerusalemme nel 1358. Meglio di chiunque altro il poeta seppe volgere lo sguardo oltre l’azzurro del mare e tendere l’orecchio lontano dallo sciabordio delle onde.
Genova è la figlia prediletta della dolce unione tra mare e monti, nata libera di poter sognare la conquista del mare e l’esplorazione di terre sconosciute perché protetta dalle ripide pareti che si innalzano alle sue spalle. Genova di mare e di scogli, Genova di caruggi e di palazzi, Genova di colline e di boschi, Genova di forti e di mura. L’estrema asprezza del territorio, pari solo alla ricchezza e varietà delle sue forme, ha forgiato l’ingegno e il carattere dei genovesi ed è da sempre il vero tesoro della città, ciò che l’ha resa grande e potente nel corso della storia; senza dubbio la sua delizia, ma anche la sua croce. Infatti, quella stessa potenza, in verità, da sempre le nuoce e le reca danno, poiché, come già amaramente riconobbe il Petrarca: “offre materia alle contese e alle gelosie cittadine”.

Breve cronistoria
Le minacce non provenivano solo dal mare e la corona di monti intorno alla città risultò presto non più sufficiente a dissuadere i nemici dal tentare una sortita. L’esigenza di difendersi divenne prioritaria, al fine di scongiurare il rischio di rimanere schiacciati tra due fuochi e garantire alla città la capacità di resistere anche per lungo tempo a eventuali assedi.
Avvalorando la testimonianza di Tito Livio, sembra che una prima cerchia muraria venne eretta addirittura in epoca romana. In seguito alla distruzione di parte della città avvenuta per opera del fratello di Annibale, Magone Barca, il pretore della Gallia Subalpina Spurio Lucrezio diede l’ordine di costruire nuove mura difensive che racchiudessero l’antico oppidum, estendendosi all’incirca tra la Chiesa di Santa Maria di Castello e il complesso di San Silvestro (oggi sede della Facoltà di Architettura). I particolari di queste mura romane rimangono ancora oggi avvolti nel mistero e le prime comprovate tracce circa la presenza delle Mura di Genova risalgono a parecchi secolo dopo, precisamente al X secolo, quando furono erette per far fronte alle continue scorrerie saracene.

La superficie protetta si estendeva per soli venti ettari e i principali varchi erano Porta Soprana, Porta di San Pietro (visibile ancora oggi sotto forma di archivolto in Piazza Cinque Lampadi), quella di Serravalle, addossata alla Cattedrale di San Lorenzo, quella di San Torpete in zona San Giorgio e quella Castri, nell’odierno Sarzano.
Terminati i periodi bui dominati dallo spettro delle invasioni barbariche e delle incursioni dei pirati, Genova seppe rifiorire grazie al commercio e riuscì ad affermarsi a livello politico in seguito alla trionfante partecipazione alle crociate. Tuttavia, tali successi portarono con sé anche una nuova minaccia. Infatti, nel 1155 l’imperatore Federico Barbarossa scese in territorio italiano determinato a ridurre all’obbedienza i comuni che si arrogavano l’indipendenza dal potere imperiale. Dopo la caduta di Milano e Tortona, la minaccia del Barbarossa arrivò a incutere un tale timore da spingere i genovesi a estendere le imponenti Mura ben oltre i confini del castrum in cui la popolazione aveva trovato rifugio nell’alto medioevo. Le Mura del Barbarossa cinsero un’area di cinquantacinque ettari, aggiungendo alle vecchie porte gli ingressi di Porta dei Vacca o di S. Fede davanti alla Darsena, Porta di S. Egidio in Piccapietra e Porta Murtedi all’Acquasola, oltre ai tre accessi turriti di S. Agnese, Portello e Pastorezza. Stando agli “Annali del Caffaro”, la costruzione della nuova cinta coinvolse l’intera popolazione in uno sforzo eccezionale che consentì di terminare l’opera in soli 53 giorni. L’inaugurazione della nuova cinta fu certamente occasione di giubilo, ma nelle intenzioni della città doveva essere soprattutto l’ennesima dimostrazione della sua superba potenza e indipendenza. A tal proposito, nulla gonfiò l’orgoglio dei genovesi quanto la partecipazione di Papa Alessandro III e il suo proclama: “Siano le vostre Mura inespugnabili come lo sono i vostri cuori”.

Trascorse circa un secolo e la minaccia cambiò nuovamente volto. Tra il 1276 e il 1287, la città era in piena guerra con le Repubbliche di Pisa e Venezia. Le Mura vennero rinnovate e modificate, erigendo una quarta cinta che ampliò l’area fortificata a sessantasette ettari.
Nel 1320 la cinta venne allargata a oltre cento ettari di superficie, dotata dei nuovi accessi di Porta dell’Arco (a metà di Via XX Settembre, presso il Ponte Monumentale), Porta dell’Olivella in zona Pammatone e Porta dell’Acquasola.
Trascorsero altri due secoli e le vecchie mura iniziarono ad apparire decisamente inadatte a proteggere da un attacco sferrato con le nuove tecnologie di guerra. I timori si concretizzarono nel 1507, quando il Re di Francia Luigi XII impiegò solo pochi giorni per piegare la città sotto l’avanzata del suo esercito. Guidati da Andrea Doria i genovesi riuscirono a liberarsi dalla dominazione francese e, dopo aver stretto un’alleanza con gli spagnoli, si dedicarono immediatamente al necessario ammodernamento e rafforzamento dell’apparato difensivo. I costosi interventi di ristrutturazione furono apportati tra il 1517 e il 1536, affidati ai noti architetti militari Giovanni Maria Olgiati e Antonio da Sangallo. I moderni sistemi murari non risultavano più essere dei semplici muri in pietra ma dei bastioni fortificati, ovvero rinforzati da un terrapieno resistente ai colpi dell’artiglieria pesante.

Tra i vari interventi il progetto incluse anche l’apertura della monumentale Porta Siberia, posta a coronamento del tratto di mura che proteggeva il molo vecchio.
Nel Seicento iniziarono i contrasti con i Savoia, appoggiati dalla Francia nelle loro mire espansionistiche ai danni della Repubblica di Genova. Senza perdere tempo e cadere negli errori del passato, la città avviò gli imponenti lavori per la costruzione della settima cinta, meglio nota come cinta delle Mura Nuove.
Per finanziare l’opera vennero sospesi tramite ordinanza tutti i lavori pubblici e privati e si ricorse all’istituzione di una serie di tasse speciali, al fine di ottenere ulteriori risorse da aggiungere all’ingente contributo offerto dall’aristocrazia e dai banchieri genovesi, all’epoca cardini della finanza europea. Negli anni tra il 1629 e il 1633 venne portato a termine il grandioso progetto pensato dal Maculani, dal Bianco e dal Fiorenzula, guidato e diretto da Galliani, scienziato amico di Galileo Galilei.
La nuova cinta estese a dismisura i confini della città fortificata, superando i 1800 ettari di superficie e sfiorando i venti km di lunghezza complessiva, lungo i quali si contavano ben 48 bastioni e 137 guardiole. Due le Porte della seicentesca cerchia: Porta della Lanterna e Porta Pila (all’inizio di Via XX Settembre), oggi collocata in Via Montesano sopra la stazione di Brignole. Su di esse vegliano ancora le statue della Madonna Regina con sotto scritto il monito “Posuerunt me custodem”.
Il sistema fortificato cresciuto nel corso dei secoli sovrasta il centro storico e il porto antico di Genova, sviluppandosi lungo i crinali tra la bassa Val Polcévera e la bassa Val Bisagno. In una veduta dall’alto o da un’imbarcazione al largo della costa si può cogliere tutta la magnificenza dell’opera architettonica e ancor più l’inequivocabile simbolismo: la cinta allunga le sue braccia verso il mare quasi a volerlo abbracciare dolcemente.

Le Mura ricreano la forma di una V rovesciata, aperta verso il golfo di Genova fino a toccare la Torre della Lanterna a ponente e le fronti basse lungo il Bisagno a levante. Al vertice della V, sulla cima del Monte Peralto (506 m), sorge il complesso del Forte Sperone, vero e proprio cardine delle Mura Nuove. Il forte, provvisto di fossato e ponte levatoio a difesa dell’ingresso principale sovrastato dallo stemma dei Savoia, fu costruito a più riprese tra il XVIII e il XIX secolo.

Dotato di una polveriera, ancora ben conservata, di una caserma principale e di una piccola cappella, è senz’altro il più grande e articolato tra tutti i forti dell’area. Il nome Sperone si riferisce con tutta probabilità alla forma ad angolo acuto del bastione settentrionale del forte.
A partire dal Forte Sperone le Mura Nuove digradano verso la città e ospitano numerose altre fortezze su entrambi i lati. È bene sottolineare come in realtà la cinta seicentesca non rappresentò affatto l’ultimo e definitivo sviluppo del complesso sistema difensivo. Infatti, nel corso dei due secoli successivi vennero eretti alcuni forti al di fuori delle Mura Nuove, sia più a monte lungo l’aereo spartiacque tra le valli Polcévera e Bisagno sia a oriente del fiume Bisagno. Proprio la posizione geografica delle fortezze rispetto alla Val Bisagno è stata storicamente assunta quale elemento discriminante per dividere le fortificazioni in due complessi distinti: i Forti Occidentali e i Forti Orientali.
I Forti Orientali
I Forti Orientali furono costruiti tra Settecento e Ottocento a completamento del sistema difensivo della città. Sulla cima del Monte dei Ratti (571 m), il punto più alto della brulla dorsale che si erge sul fianco sinistro della bassa Val Bisagno, sorge il Forte Ratti, inconfondibile anche da lontano per via della sua forma allungata. La fortezza venne ultimata tra il 1830 e il 1840, per opera del Corpo del Genio del Regno di Sardegna.
All’interno, la lunga successione di grandi camerate confessa la primaria funzione della struttura: una grande caserma piuttosto che un forte. La vita del Forte Ratti non fu certamente monotona e tra tutti i forti genovesi detiene il primato per eterogeneità degli ospiti che si sono succeduti tra le sue mura. A una prima occupazione ad opera dell’esercito papalino, succedette lo stanziamento di alcune truppe austriache durante la prima guerra mondiale; una volta rispediti a casa gli austriaci, venne il turno di una compagnia di disciplina del Regio Esercito, fino a quando la fortezza non venne definitivamente abbandonata.
Proseguendo in discesa lungo la panoramica cresta proveniente da Marassi, si può raggiungere in breve l’ampio dosso che ospita la Torre di Quezzi (318 m). La Torre fu costruita tra il 1818 e il 1828, come postazione avanzata del vicino Forte Quezzi.
La struttura si rivela piuttosto essenziale, con pianta e paramento murario anulari, secondo l’uso del genio sardo, e completata da caditoie e feritoie esterne. In realtà non venne mai utilizzata a fini bellici e nei primi anni del Novecento fu addirittura sede di un piccolo e curioso ristorante. Cessata l’attività, anche per la Torre di Quezzi si aprì la botola dell’oblio e oggi si presenta in condizioni decisamente precarie.

Sempre dalla cima del Monte dei Ratti si può anche optare per la discesa lungo il contrafforte sud e guadagnare, tra lastroni calcarei e cespugli, il Forte Richelieu (416 m), così nominato nel 1748 in segno di omaggio al Maresciallo di Francia Armando Duplessis di Richelieu, a quei tempi comandante dell’esercito francese in Liguria. Glorioso protagonista di numerosi scontri e battaglie sia nel corso del XIX secolo sia durante la seconda guerra mondiale, il tempo gli ha riservato una fine decisamente triste, umiliandolo con l’inserimento di un enorme ripetitore radiotelevisivo all’interno delle sue mura.
Vicende decisamente più curiose e divertenti ruotano invece intorno al crinale che sale al Forte Richelieu dalle case di località Borgoratti. Tale costone è riportato sulle carte come Zampa del Diavolo e deve questo toponimo a una leggenda, ben raccontata da Giovanni Dellepiane nella sua “Guida per escursionisti nelle Alpi e Appennini Liguri” del 1906:
“Trovaronsi un tempo qui insieme Domineddio e il Diavolo. Quest’ultimo, vanitoso e fiero della sua potenza, volle scommettere con Dio a chi lancerebbe un sasso al mare, che dista più di due chilometri. Domineddio lanciò il sasso che andò a cadere in mare; il Diavolo, preso lo slancio, sdrucciolò e diede una tale sculacciata, che lasciò impresse sullo scoglio tracce visibili della sua caduta; un altro incavo raffigurerebbe la lucerna che egli teneva in mano”.
Purtroppo l’intera zona è stata marcatamente improntata dalla costruzione di alcune piazzole per la difesa antiaerea nel corso del secondo conflitto mondiale e oggi non resta più alcuna traccia della roccia con l’orma del Diavolo che ispirò l’irriverente racconto popolare.
I Forti Occidentali
I Forti Occidentali, ancor più di quelli Orientali, sono stati teatro di sanguinose e cruente battaglie. I testi degli storici locali riportano come gli ultimi rilevanti fatti d’arme che si svolsero intorno alla città furono quelli inerenti la guerra di successione d’Austria, nel 1747, e l’assedio del 1800.
La guerra di successione d’Austria, spesso identificata a Genova con l’episodio di Balilla e la cacciata degli austriaci, coinvolse la città in due anni di continue battaglie contro gli eserciti austro-piemontesi. Nel 1800 furono invece le forze della Seconda coalizione antifrancese ad assediare per oltre tre mesi i resti dell’Armata d’Italia sotto il comando di Massena.
Durante questi due assedi vennero a delinearsi le grandi fortificazioni che oggi si ergono dominanti sulla città, per poi prendere definitivamente forma nei decenni successivi. Singolare come molte delle fortezze vennero costruite in sostituzione di antiche cappelle e più raramente sui resti di vecchie fortificazioni di epoca medievale. È questo il caso del Forte Crocetta (160 m), il cui toponimo però rimanda molto probabilmente al vicino crocevia e non al vecchio convento dedicato al Santissimo Crocifisso, completamente demolito tra il 1815 e il 1827 proprio per fare spazio al forte.
Alla seconda casistica rispondono invece il Forte Tenaglia (225 m) e il Forte Begato (460 m). La collina del Forte Tenaglia era in origine occupata dalla Bastia di Promontorio, un castello risalente al XV secolo e smantellato durante la costruzione delle Mura Nuove. Riconvertito in postazione antiaerea, in seguito all’annuncio dell’armistizio venne occupato da alcuni soldati tedeschi che vi rimasero asserragliati fino al 26 Aprile 1946, il giorno dopo la liberazione di Genova da parte dei suoi cittadini.
Il Forte Begato è invece sorto sui resti di alcune fortificazioni allestite nel XIV secolo in occasione delle lotte tra guelfi e ghibellini. L’attuale imponente fortezza, munita di bastioni angolari e cortile centrale, fu edificata tra il 1818 e il 1831 dal Genio Militare Sabaudo. Costituiva a tutti gli effetti una vera e propria cittadella, in grado di alloggiare quasi mille soldati e contenere oltre 40000 kg di munizioni all’interno della polveriera.

Sopravvissuta nel 1922 al tentativo di spianarla per fare spazio alla costruzione di un piccolo aeroporto, dopo alcuni decenni di abbandono è stata ristrutturata a cavallo tra la fine degli anni 90’ e l’inizio del nuovo millennio grazie al prezioso contributo della Comunità Europea.
Il primo baluardo a difesa delle città fu però eretto tra il 1756 e il 1758 in cima al Monte Diamante (650 m). L’omonimo forte è senza dubbio uno dei più affascinanti dell’intero complesso, sia per la sua posizione estremamente panoramica sia per i suoi arditi bastioni a forma stellare.
Il Forte Diamante fu uno dei protagonisti del celebre assedio del 1800, quando Genova si trovò al centro dello scontro tra le armate repubblicane francesi e quelle imperiali austriache, a cui presero parte anche celebri patrioti come Ugo Foscolo. Fonti storiche riportano come il 30 Aprile gli austriaci guidati dal conte di Hohenzollern, dopo aver conquistato con un assalto improvviso i forti dei Due Fratelli, attaccarono proprio il Forte Diamante presidiato dai francesi del generale Bertrand. Quella stessa sera, dopo aver riunito le sue truppe sulle alture intorno al forte, il conte intimò la resa a Bertrand, la cui risposta rimane incisa nelle pagine della storia di Genova:
“Signor generale, l’onore, che è il bene più caro ai vostri Soldati, proibisce troppo imperiosamente alla brava guarnigione che io comando, di rendere il forte, la cui guardia le è stata affidata, perché ella possa consentire di consegnarvelo sopra una semplice intimazione; e a me pure, signor generale, sta sommamente a cuore di meritare la vostra stima per dichiararvi che soltanto la forza e l’impossibilità di resistere più a lungo potranno determinarmi a capitolare. Bertrand.”
Alla fine il loro sacrificio non fu necessario. Infatti, in quelle stesse ore, una colonna francese, guidata dal generale Soult, stava salendo al contrattacco lungo i ripidi sentieri della Val Bisagno. Lo scontro con gli austriaci si protrasse con alterne vicende per diverse ore, con gravi perdite da entrambe le parti, ma al tramonto le posizioni vennero ristabilite e i forti ritornarono saldamente in mano francese.
A malincuore bisogna riconoscere come l’odierno aspetto del Forte Diamante non renda affatto onore al suo passato glorioso. Già verso la fine del XIX secolo, una volta venuta meno l’importanza strategica della sua collocazione, iniziò il suo inesorabile declino e divenne presto vittima dell’abbandono. I conseguenti crolli e saccheggi oggi restituiscono un’immagine ben poco lusinghiera nei suoi confronti, oltre a rappresentare un manifesto dell’incapacità delle varie amministrazioni di conservare e valorizzare un sito di così grande valore storico-culturale e paesaggistico.

Gli stessi Due Fratelli versano in un simile stato di degrado. Inizialmente costruiti come “ridotte”, a metà del XVII secolo, furono trasformati in veri e proprio forti nei primi decenni del secolo successivo, ad opera del Genio Militare Sardo. Se il Fratello Minore, sulla sommità del Monte Spino (620 m), appare decisamente diroccato e pericolante, pertanto da visitare con la massima cautela, del Fratello Maggiore, eretto sulla cima del Monte Sellato (644 m), non resta praticamente nulla in seguito alla sua completa demolizione negli anni Trenta del Novecento, decisa per fare posto a quattro piazzole per l’artiglieria contraerea, di cui oggi rimangono pallide tracce.
A completare la “famiglia” venne eretto più o meno contemporaneamente il Forte Puin (512 m), il più piccolo dei forti genovesi. A dispetto delle sue dimensioni, il forte esprime una grande magnificenza, grazie alla massiccia torre a pianta quadrata e al possente recinto bastionato a forma di stella. Il suo toponimo lo lega indissolubilmente alle fortificazioni dei Due Fratelli: in dialetto genovese “puin” significa “padrino” e nei vecchi testi si trova riscontro del fatto che venne effettivamente costruito a protezione e sorveglianza dei Due Fratelli.

Il Parco delle Mura
Il riconoscimento del valore del sito si concretizza solo nel 2008, anno in cui viene istituita l’Area Naturale Protetta di Interesse Locale “Parco delle Mura” al fine di tutelare e valorizzare la cinta muraria più lunga d’Europa. I confini dell’area protetta si sovrappongono in buona parte alla linea delle Mura Nuove seicentesche e includono 17 fortificazioni dei secoli XVIII – XIX, per una superficie totale di circa 617 ettari sulle colline sopra la Superba. Il Forte Diamante risulta però inspiegabilmente esterno ai confini del parco, nonostante l’evidente continuità storica e ambientale con le zone adiacenti.
Il territorio del “Parco delle Mura” conserva varie testimonianze degli antichi percorsi di risalita della città e dei manufatti storici degli ambiti vallivi di appartenenza, tra cui si annoverano siti archeologici, monasteri, conventi, “residenze di villa” e nuclei rurali rappresentativi di interessanti realtà agricole del passato. Inoltre, l’area protetta comprende anche i tracciati delle due principali vie di valico tra il porto di Genova e le regioni padane, ovvero la romana via Postumia sul Polcévera e l’antica via del Sale, ricalcata poi in epoca medievale dalla Via dei Feudi Imperiali sul Bisagno, che hanno costituito la matrice degli insediamenti extraurbani a cintura della città.
Infine, il paesaggio del Parco si arricchisce di alcuni degli elementi più emblematici e identitari della storia urbana genovese: l’Acquedotto storico, antica e complessa struttura di approvvigionamento idrico per la città; le ripide salite mattonate alle Mura Nuove che attraverso le sei Porte di passaggio raggiungono le due vallate; mulattiere militari ottocentesche che collegano i forti che più si addentrano nel territorio; linee meccanizzate di risalita realizzate tra la fine dell’800 e i primi anni del ‘900 (la funicolare Zecca – Righi, la cremagliera Principe – Granarolo e la ferrovia a scartamento ridotto, il cosiddetto trenino di Casella, che costeggia il perimetro orientale del Parco delle Mura e che si collega con il Parco Regionale dell’Antola).

Oltre all’indubbio interesse storico e architettonico, le aree verdi del “Parco delle Mura”, a diretto contatto con la città antica, si caratterizzano anche per gli splendidi panorami e il significativo patrimonio naturalistico, in particolar modo botanico, e risultano facilmente fruibili per mezzo di una fitta rete di sentieri, mulattiere lastricate e stradine.
La vegetazione del “Parco delle Mura” è rappresentata da boschi misti di latifoglie termofile, quali lecci e roverelle, che lasciano spazio a specie maggiormente mesofile come castagni e carpini neri sui versanti esposti a settentrione e lungo gli impluvi principali.
La stessa vegetazione offre scenari distinti tra il versante orientale e occidentale del Parco. Ad oriente, scendendo verso il torrente Bisagno, prevalgono gli uliveti, mentre lungo le sponde occidentali che digradano dolcemente fino al fiume Polcévera si registra un microclima più fresco, ideale per la coltura del castagno.
Le caratteristiche vegetazionali di ampie porzioni del Parco sono però il risultato di significativi interventi di rimboschimento, effettuati prevalentemente con pino marittimo, pino domestico e pino nero.
Salendo in quota lungo i crinali si respira un ambiente tipicamente mediterraneo ma contemporaneamente connotato da profumi alpini: arbusteti di erica, ginestre e cisti colorano le ventose praterie sommitali, arricchite dalla presenza di numerosi elementi floristici di pregio, alcuni dei quali endemici della zona.
Inoltre, le stesse praterie rappresentano l’habitat ideale per diverse specie animali di interesse conservazionistico e per tale motivo protette da convenzioni internazionali e direttive comunitarie, tra cui spiccano i lepidotteri diurni ai quali è stato anche dedicato un percorso naturalistico. Tra le specie animali di maggior interesse occorre citare la Salamandrina dagli occhiali, piccolo anfibio che sulle alture di Genova trova il limite occidentale della sua diffusione.

In conclusione, il “Parco delle Mura” non è soltanto il monumento urbanistico e storico a cui deve il suo nome, ma è lo splendido luogo di incontro fra la Superba città di Genova e la natura che la circonda.
La straordinaria ricchezza di questo territorio meriterebbe senz’altro l’istituzione di un’area protetta regionale se non nazionale, al fine di garantire maggiori strumenti, risorse e possibilità di intervento per la sua conservazione e valorizzazione.

Di seguito la breve descrizione di una delle tante possibili escursioni alla scoperta delle mura di Genova.
Itinerario: Begato – Piani di Begato – Pendici Ovest e cresta dei Due Fratelli – Fratello Minore e Maggiore – Forte Puin – sentiero versante sud Due Fratelli e discesa lungo il percorso di salita. L’itinerario può essere integrato proseguendo fino al Forte Diamante;
Tempo di percorrenza: 2h e 30 minuti (in caso di salita al Forte Diamante aggiungere circa 1 h);
Dislivello +: 350 m (450 m con la salita al Diamante);
Segnaletica: rombo rosso lungo la salita dai Piani di Begato al colle e lungo il ritorno dai pressi del Forte Puin; se invece si allunga fino al Forte Diamante, al ritorno verso il Forte Puin si dovrà seguire per un tratto il cerchio rosso.
Vi aspetto per scoprire insieme questi affascinanti territori!
LUCA CAVIGLIA
Nato a Genova nel 1991, mi sono prima laureato in “Scienze Naturali” presso l’Università degli Studi di Genova e successivamente ho conseguito il titolo Magistrale in “Evoluzione del comportamento animale e dell’uomo” presso l’Università degli Studi di Torino, con specializzazione in ricerca e gestione di carnivori e ungulati. Amo la montagna in tutti i suoi molteplici aspetti e ogni mia escursione vuole essere una tavolozza piena di colori, con cui dipingere insieme ai partecipanti le meraviglie del nostro territorio!
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