Torino e oltre – Sant’Antonio di Ranverso 

Un gioiello sulla Via Francigena

Il nostro viaggio sulla via Francigena ci ha portato alla scoperta di tanti luoghi suggestivi e ricchi di storia come Susa o la Sacra di San Michele ( vedi i miei articoli precedenti), ma c’è un altro sito, perlopiù sconosciuto ai molti turisti che in estate transitano nelle nostre valli, che merita una tappa. Si tratta della Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso, a pochi chilometri da Avigliana, sulla strada che conduce a Rivoli.

Il nome “Ranverso”   sembra derivare da “Rivus inversus”, ovvero un corso d’acqua che scorreva sul lato “inverso” “ a nord” della valle. Ci troviamo dunque in una zona molto fredda e ombrosa, soprattutto nel periodo invernale. L’area dove sorge la Precettoria, ovvero l’insieme di chiesa, convento, ospedale e cascine, fu donato all’ordine degli Antoniani di Vienne attorno al 1180-1185 dal conte Umberto III di Savoia, detto il Beato.

La storia della nascita dell’Ordine degli Antoniani è ricca di leggenda. Antonio era originario di Qumas in Egitto; nato attorno al 251, dopo essere rimasto orfano intraprese la via del romitaggio. Visse oltre 100 anni e per circa quattro secoli il luogo della sua sepoltura rimase segreto. Scoperto il sepolcro, le sue reliquie arrivarono fino a Costantinopoli e lì, nell’anno 1000, trasportate in Francia da un nobile del Delfinato. Nel 1090 a Didier-de-la-Motte, oggi Bourg Saint Antoine, Gastone dei Gastoni terminò di erigere la chiesa dedicata al Santo e fece costruire anche un Ospedale per ringraziare Antonio della prodigiosa guarigione del figlio dall’ergotismo.

Non esiste una vera e propria relazione tra Sant’Antonio e l’ergotismo, ma la tradizione popolare ha ricamato attorno alla figura di Antonio un’aura taumaturgica. L’ergotismo era una malattia spesso mortale o invalidante che si prendeva mangiando pane di segale intaccata da un fungo, il “Claviceps Purpurea”, meglio conosciuto con il nome francese di “Ergot”.  Chi ne era affetto spesso aveva allucinazioni o, nel peggiore dei casi, parti del corpo che andavano in gangrena. L’ergotismo venne soprannominato “Fuoco di Sant’Antonio” e l’accezione oggi ingloba anche l’herpes zoster, malattia diversa e sicuramente meno nefasta dell’ergotismo.

Il progetto della Precettoria di Ranverso si sviluppò nel corso di più secoli. Se la prima chiesa sorge nel XII secolo come un ambiente a navata unica e abside circolare, i vari ingrandimenti successivi hanno portato alla costruzione attuale, ovvero una chiesa a tre navate, un nartece all’ingresso ad ovest, un abside poligonale ad est ed un piccolo chiostro sul lato sud. Dell’ospedale non rimane che la facciata Quattrocentesca decorata con formelle, pinnacoli e ghimberghe, nel tipico stile gotico-lombardo del Piemonte.

A fianco dell’Ospedale, da un piccolo edificio, sporge una stadera che serviva a pesare prodotti agricoli o animali. Esistono ancora gli antichi pesi, anche se non visibili al pubblico.  Le cascine sono tutt’ora sfruttate dai contadini locali e dunque non hanno perso la loro funzione originale.

Sul lato nord della chiesa un grosso masso erratico con un’alta stele in granito e con la “Tau”, simbolo degli Antoniani, fungeva da segnale per i pellegrini in cerca di ospitalità.

La facciata attuale, dipinta a motivi geometrici, risale al Cinquecento, mentre del secolo precedente sono le ghimberghe, i pinnacoli e le formelle in cotto, simili a quelle dell’Ospedale.

Sulle volte del nartece diversi affreschi narrano la storia delle reliquie di Sant’Antonio, ma il visitatore rimane colpito dai soggetti dei capitelli in pietra verde locale: il cane di San Rocco con il pane nella bocca, oppure delle teste barbute che evocano il santo titolare della chiesa.

Da notare le formelle, decorate con foglie di quercia, ghiande, pere: simbolo del cibo dato ai maiali che giravano liberi per la zona. Gli Antoniani infatti, curavano le piaghe dell’ergotismo con il grasso di questi animali. Nessuno poteva appropriarsi indebitamente dei maiali della Precettoria, riconoscibili dal campanello appeso al collo.

Sant’Antonio è spesso rappresentato con un maialino ai suoi piedi, un campanello in mano ed un bastone a forma di Tau, ultima lettera dell’alfabeto ebraico con la forma simile ad una stampella: quella utilizzata da chi era stato colpito dall’ergotismo.

Entrando nella chiesa si rimane affascinati dalla sua atmosfera sacra. La pianta è piuttosto irregolare, a causa dei vari ampliamenti che datano tra il XII e il XV secolo, mentre lo stile è lontano dal gotico francese, quello delle ampie vetrate che caratterizzano le grandi cattedrali.

Il colore e la vivacità sono resi dai diversi cicli di affreschi che decorano le pareti: quelli  più antichi risalgono al XIII e al XIV secolo e rappresentano un Cristo Benedicente e dei Santi. Si trovano nella navata sinistra, sulle pareti delle cappelle. Alcuni sono solo dei lacerti, altri invece sono ben conservati.

Ma gli affreschi più stupefacenti, quelli che fanno di Sant’Antonio di Ranverso uno scrigno di tesori, sono quelli datati  del XV secolo dipinti da Giacomo Jaquerio. Nato a Torino attorno al 1375, fu uno dei maggiori rappresentanti di quello stile tardo gotico che troviamo non solo a Torino, ma anche in varie località della Savoia e a Ginevra.

Proprio a Ranverso il pittore si è firmato, permettendo così l’identificazione dell’intero ciclo affrescato della chiesa. Nel presbiterio, sulla parete sinistra, sotto ad una Madonna in trono la scritta “[picta] fuit ista capella p[er]manu[m]Jacobi Jaqueri de Taurino”. Dipinti su un registro più basso, sei profeti di cui si ignora l’identità, salvo per Re Davide, perché incoronato.

Tra gli sguanci delle finestre diverse figure di Santi: san Giovanni Battista, Sant’Antonio, le Sante Marta e Margherita.

Sulla parete opposta, quella destra, su tre registri viene narrata la vita di Sant’Antonio. Purtroppo parte dell’affresco è andato perduto, ma sono ben visibili le scene con le tentazioni nel deserto, oppure l’incontro con Paolo di Tebe e la morte di quest’ultimo.

Di grande interesse la processione fatta in onore di Sant’Antonio, con animali e personaggi vivacemente descritti dalla mano di Jaquerio. Nel centro, in una lunetta, un Cristo che si erge dal sepolcro, con attorno gli strumenti e i simboli della passione: il lavaggio delle mani di Pilato, la tunica e i dadi, la spugna, il flagello, il gallo.

Nella navata destra il ciclo dedicato a San Biagio, mentre sulla volta ci sono i Quattro Evangelisti. La tradizione vuole che il ritratto di un uomo barbuto, all’interno di un medaglione della cappella, rappresenti Giacomo Jaquerio stesso.

Il capolavoro di Ranverso però si trova nella cappella adibita a Sacrestia, dove ci sono gli affreschi più belli e meglio conservati di tutto il ciclo pittorico. Anche qui, come nella cappella di San Biagio, sulla volta ci sono gli Evangelisti con i loro simboli, mentre sulla parete sud i Santi Pietro e Paolo, e su quella ovest la preghiera nell’orto degli ulivi.

Ad est un’Annunciazione, ma è nella lunetta della parete nord che possiamo ammirare il capolavoro assoluto dell’artista: la Salita al Calvario.

Al centro il Cristo che porta la croce e tutto intorno, in una foresta di lance verticali, personaggi abbigliati secondo la moda del Quattrocento, con copricapo di diversa foggia. Osservando i loro volti, si riconoscono i malvagi o, al contrario, coloro mossi da grande pietà,  la sofferenza dei due ladroni e lo sguardo indifferente dei musici.

La Salita al Calvario

Jaquerio ha saputo interpretare un momento drammatico senza tralasciare il minimo dettaglio, descrivendo in maniera magistrale la tragedia di un uomo e di un popolo intero. Le espressioni sono ricche di pathos, i contorni delle figure sono morbidi e la tavola dei colori ricca di verdi, gialli e il bianco della tunica di Gesù una vera novità rispetto alla tradizionale veste rossa.

Tornando nell’area absidale e facendo un salto di circa 100 anni ecco sull’altare maggiore un grande “retable” realizzato dal pittore Defendente Ferrari e donato da  Moncalieri a Ranverso nel 1530, come ex voto per la liberazione della città dalla peste. Nel centro è rappresentata la Natività, mentre ai lati e sulle ante diversi Santi: Sant’Antonio, San Rocco, San Girolamo, San Cristoforo ed altri ancora. Nella predella sette scene della vita di Sant’Antonio.

Uscendo nel giardino si può ammirare quello che rimane del chiostro e del convento, quest’ultimo rifacimento Settecentesco del vecchio edificio medievale.

Nel 1776 una bolla papale abolì l’Ordine Antoniano e dunque tutto il complesso di Ranverso passò all’Ordine dei Santi Lazzaro e Maurizio. Oggi è la Fondazione del Mauriziano che ne ha la proprietà e che si occupa del mantenimento e delle aperture ai visitatori.

Una curiosità: la Precettoria è stata il set cinematografico per alcune scene del film del 2007 “ La Terza Madre” del maestro del brivido, Dario Argento.

Il mio consiglio, dopo la visita della Precettoria, è di spostarsi a Rivoli, per godere di un panorama su Torino dal piazzale Mafalda di Savoia, dove sorge il Castello, sede del Museo di Arte Contemporanea. Qui è possibile concedersi un aperitivo, oppure scendere in città dove non mancano ottimi ristoranti e locali di tendenza.

Vi aspetto per scoprire insieme le bellezze del Piemonte!


Ciao, sono Donatella. Avete sentito dire che Torino è una città industriale, grigia? O che in Piemonte non c’è molto da vedere, salvo le montagne? Allora il mio obiettivo sarà quello di farvi innamorare del mio territorio, non solo con gli articoli che scrivo, ma anche con delle visite pensate ad hoc per ogni esigenza. Mi piacciono la storia, l’arte, l’enogastronomia, le curiosità legate alla mia Regione e le lingue. È per me fantastico lavorare con turisti di altre Regioni d’Italia e con stranieri. Soprattutto quando tornano a casa con un po’ di Piemonte nel cuore.
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