La Basilica dei Santi Giovanni e Paolo (San Zanipolo in veneziano), domenicana, è un’imponente chiesa medievale tra le più grandi a Venezia, insieme a quella dei Frari (francescana).

Fino al Duecento questa zona era praticamente disabitata, piuttosto fangosa e paludosa, c’era solo un piccolo oratorio in legno dedicato a San Daniele. Poi nel 1234 questi terreni vennero donati dal doge Jacopo Tiepolo ai frati domenicani, in seguito ad un sogno premonitore. Come tutti i grandi cantieri medievali che si rispettino, ci vollero circa due secoli per completarla, e nonostante tutto la facciata rimase incompiuta.
Il portale, opera di Bartolomeo Bon, ci dà l’idea di come sarebbe dovuta diventare la facciata, mentre sulla sommità della chiesa abbiamo le statue di San Tommaso d’Aquino, San Domenico, San Pietro da Verona.

Sulla facciata possiamo ammirare diversi bassorilievi bizantini, un altorilievo raffigurante San Daniele (a ricordo del piccolo oratorio qui presente prima della chiesa), le urne di Jacopo Tiepolo (con la rappresentazione del sogno premonitore) e di Marco Michiel.
I Michiel erano tra le dodici più antiche famiglie di Venezia, il capostipite era Angelo Frangipane, senatore romano venuto a Venezia con altri due fratelli, che venne soprannominato “el Michiel” per la forza e la bontà, paragonate a quelle dell’arcangelo Michele. Lo stemma di famiglia venne modificato così come lo vediamo sulla tomba da Domenico Michiel, uno dei più grandi dogi di Venezia.
La chiesa era, insieme alla Basilica dei Frari, il pantheon dei dogi, e luogo della celebrazione dei funerali dogali. Alla morte di un doge un rappresentante del Senato dava l’annuncio al Maggior Consiglio dicendo “Abbiamo sentito che il doge è morto, ma ne faremo un altro”. Il doge veniva quindi imbalsamato ed esposto per tre giorni, poi veniva posto su di un cataletto e accompagnato da un lungo corteo che partiva da Palazzo Ducale al suono dalle campane del “Paron de casa” (il campanile di San Marco), giunti davanti alla Basilica di San Marco le campane smettevano di suonare e i portatori del cataletto alzavano nove volte la bara gridando nel silenzio generale: “Misericordia!” (il popolo lo chiamava il “salto del morto”).
Dopodiché il corteo proseguiva lungo le calli delle mercerie fino alla chiesa dei Santi Giovanni e Paolo.
Nel corteo i parenti vestivano di nero mentre le varie rappresentanze dello Stato vestivano di rosso, a significare che “il lutto è privato, ma la Serenissima è eterna”. Alla funzione in Chiesa c’era poca partecipazione di popolo per via di una profezia che diceva che la chiesa sarebbe crollata in un giorno solenne!
Sul fianco della chiesa è ancora possibile vedere parte della antica pavimentazione del Campo (a Venezia le piazze si chiamano “campi”), in cotto e non in pietra come siamo abituati a vedere selciati i campi e le calli oggigiorno.
All’interno della chiesa possiamo ammirare diverse tombe di dogi nonché il monumento a Marcantonio Bragadin, eroe veneziano scorticato vivo dai turchi dopo la presa di Famagosta. Mentre il transetto di destra è dominato dallo spettacolare finestrone gotico con vetrate colorate.
Marcantonio Bragadin Vetrata colorata
Innumerevoli comunque le opere d’arte al suo interno, che la collocano tra gli edifici religiosi più interessanti di Venezia!

Walter Fano, nato da padre piemontese e madre veneta, ha vissuto per lo più tra Torino, Milano e Venezia, ma è in quest’ultima che si sente a “casa”. Appassionato di storia dell’arte decide di diventare guida turistica, ma con un’impronta meno accademica e più narrativa (le date e i nomi si dimenticano facilmente, le storie no). Crea l’associazione “L’altra Venezia” con l’intento di mostrare ai viaggiatori più sensibili e curiosi una Venezia meno turistica e più autentica.
Sito web: http://www.laltravenezia.it/