Fiori e Belve
Diverse coincidenze hanno fatto sì che lo stile cosiddetto “Liberty” si sia diffuso a Torino agli inizi del XX secolo, annoverando la nostra città tra le quattro capitali dello stile floreale insieme a Milano, Napoli e Palermo. Nel 1850 l’architetto Carlo Promis firmò il piano di ingrandimento della Capitale, che interessava tre zone: area Sud (zona di Porta Nuova), area Ovest (zona di Porta Susa) ed area Nord (Vanchiglia). Nel frattempo, l’abbattimento della Cittadella liberava nuovi spazi e la cinta daziaria del 1853 delimitava una superficie urbana di 1.600 ettari.

Lo stile Liberty, che prenderà questo nome dai magazzini londinesi “Arthur Lasenby Liberty”, in altre parti d’Europa avrà nomi diversi: Art Nouveau in Francia, Jugenstil in Germania, Modernismo in Spagna. L’origine è unica: l’esigenza di rinnovare architettura e arte, sotto la spinta del fenomeno dell’industrializzazione. Nasce l’Urbanistica e il sogno di creare delle città che possano trasformare, grazie alla loro bellezza e funzionalità, la società stessa. In quanto utopia, non sono mai nate delle città liberty, ma si sono sviluppati dei quartieri residenziali oppure delle micro-realtà, come il villaggio operaio Leumann a Collegno.
Iniziato nel 1890 dall’industriale Napoleone Leumann per impiantarci un cotonificio, al termine degli ampliamenti progettati da Pietro Fenoglio, comprendeva villini e case per un totale di 120 appartamenti, scuole, ambulatorio medico, ufficio postale, mense, dopolavoro, spaccio e chiesa. Le idee moderniste nascono in Inghilterra, ma l’applicazione nel campo artistico e urbanistico si vedranno in Belgio, Austria, Germania, Spagna, Scozia e, nel decoro urbano, anche in Francia. Torino, per sua natura e per la sua posizione geografica, ha sempre avuto contatti stretti con il nord Europa. Ecco che i piani di rinnovamento della Capitale coincidono con la nascita delle nuove idee e del nuovo stile. Inoltre, Torino ha una grande vocazione industriale che a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, la vede sede di esposizioni nazionali ed internazionali dell’Industria.
Nel 1890 ci sarà una “Mostra Speciale di Architettura”, per adeguare l’architettura italiana ai nuovi sviluppi tecnologici. Si cerca uno stile nazionale, ma l’esigenza non è solo quella del “bello”, dell’”artistico”, ma anche quello del “funzionale”: case con riscaldamento, fognature, servizi igienici, ventilazione. Nel 1900 ci sono delle innovazioni nel “Regolamento d’Ornato” in merito alle aperture dei cortili, che devono essere a forma di “C” oppure di “U”, per dare luce agli appartamenti, che in passato, a causa del braccio interno, la ricevevano da un lato solo.
Nel 1902 al Parco del Valentino si terrà la Prima Esposizione Internazionale di Arte Decorativa Moderna, dove i maggiori architetti europei faranno conoscere il vento di rinnovamento che stava soffiando fuori dai confini italiani: Behrens, Olbrich, Mackintosh, Horta, Baumann e tanti altri ancora. Il concorso per allestire i padiglioni fu vinto da Raimondo D’Aronco, uno tra i più grandi architetti del liberty italiano, che si avvalse della collaborazione di Annibale Rigotti, architetto conosciuto anche in Siam per la realizzazione di opere pubbliche.
Già nel 1900, poco prima dell’Esposizione Internazionale, nel tratto dell’attuale Corso Francia, tra piazza Statuto e piazza Bernini, nascono i primi villini floreali ad opera del più grande architetto liberty torinese: Pietro Fenoglio che firmò circa 270 progetti a Torino. Se vogliamo concederci una passeggiata in questa zona, propongo di partire proprio da due dei suoi capolavori che si trovano rispettivamente in Corso Francia 8bis e in via Principi d’Acaja 11: il Villino Raby e casa La Fleur.
Il primo data del 1901 e fu fatto con la collaborazione di Gottardo Gussoni. Si tratta di un insieme armonico di corpi di fabbrica avanzati ed arretrati e un ingresso innestato nell’avancorpo in forma di portico terrazzato. Il tutto arricchito da una turgida decorazione. Lo stile non è completamente liberty, ma risente ancora del gusto eclettico del secolo precedente. Poco oltre, verso ovest, villa La Fleur è un esempio del nuovo stile. Costruita per sé e per la sua famiglia, è caratterizzata dal corpo d’angolo e dalla balaustra con grossi lumaconi. Lo stile è hortiano, con misurate decorazioni floreali e l’impiego di nuovi materiali quali il litocemento e il ferro battuto.



Poco distante, al numero 32 di corso Francia, c’è Casa Maciotta, caratterizzata da materiali tipici del liberty nelle decorazioni litocementizie delle finestre e dei marcapiano. Alla sommità del bovindo angolare, sopra ad un gazebo, c’è un terrazzino in ferro battuto ed un abbaino orientato verso sud.
Nello stesso quartiere convivono stili diversi dello stesso autore, per esempio il Villino Ostorero in via Beaumont 7, con le quattro facciate, una diversa dall’altra, e la Casa INA, in via Principi d’Acaja 20, in stile viennese.


Lo “secessionsstil” austriaco si può ammirare in via Vassalli Eandi 18, dove sorge la Palazzina Baravalle di Annibale Rigotti. Sobria e pulita nello stile e nel colore, la caratterizzano decorazioni floreali ed un sovrapporta di alto livello artistico.

Se rimaniamo sul lato nord, tra Corso Francia e via Cibrario, possiamo ammirare delle case molto particolari e tra loro differenti, tutte dell’ingegnere Giovanni Gribodo, che si dedicò attivamente a studi di entomologia. Sue sono le villette in via Piffetti 3,5 e 5 bis, caratterizzate da sfingi e da cerchi tangenti, oppure ai numeri 10 e 12 della stessa via dove le decorazioni sono il tipico “colpo di frusta” e tanti girasoli!

Su via Cibrario sono molti i palazzi progettati da Giuseppe Velati Bellini e Arnaldo Riccio. Il più conosciuto è quello all’angolo con via Beaumont 2, la cosiddetta casa della lira, nome dovuto alla decorazione delle facciate.


I tratti comuni dello stile liberty sono l’uso del bugnato, soprattutto al livello più basso. I balconi che si alleggeriscono man mano che si sale, passando dal litocemento al ferro battuto e le persiane a scomparsa, proprio per evitare l’antiestetico effetto delle finestre aperte contro i muri. La fine della collaborazione tra Velati Bellini e Riccio termina con la morte di quest’ultimo, nel 1913.
Nel 1911, una nuova Esposizione Internazionale a Torino metterà fine al gusto liberty per tornare ad una stagione di neo-barocco. Nella commissione tecnica, che decise questo cambio di rotta, c’era anche lo stesso Pietro Fenoglio.
Da questo momento, con la crisi europea che sfocerà nella Prima Guerra Mondiale, il gusto cambia. La zona a sud di Corso Francia ne è un esempio. Qui, a partire dal 1910 Gottardo Gussoni ed Ermanno Vivarelli, lavoreranno per l’impresa di Giovan Battista Carrera che ha “firmato” pressoché tutte le abitazioni tra Corso Francia e Via Susa. Si tratta di case di lusso, con 4-6 vani più i servizi e ascensore al piano, scale a pianta esagonale e decorazioni tutt’altro che sobrie. Nei cortili non è raro vedere dei bassi fabbricati usati come rimesse per automobili e abitazioni per “chauffeur”. Giovan Battista Carrera è stato un impresario visionario, che apprezzò molto Gussoni, perché architetto con gusti eclettici. Tutti i suoi edifici sono decorati con lo stemma dell’impresario: uno scudo con un carro trainato da un cavallo.
Gli edifici che colpiscono maggiormente sono la cosiddetta “casa del faro” sui Giardini Martini, caratterizzata da un bovindo angolare che termina con un terrazzo coperto a cupoletta. La facciata si presenta con un timpano decorato da aquile in cemento. A parte i materiali usati e l’alleggerirsi della struttura andando verso l’alto, questo palazzo sembra essere una interpretazione del neo-barocco in voga in quel periodo.

L’ultimo progetto firmato Vivarelli- Gussoni sono le case di via Susa 31-33 e di via Collegno 42. Siamo nel 1914, anno della morte di Vivarelli. Gussoni porterà delle modifiche alla casa di via Collegno, tanto che quest’ultima avrà l’appellativo di Torre di Westminster, riferito al torrione medievaleggiante che lo caratterizza.

Lo stile neogotico è caratterizzato da decori con animali veri o immaginari: grifoni, leoni, cinghiali, basilischi, draghi e lucertole. L’apice dello stile neogotico di Gussoni è rappresentato dal Palazzo della Vittoria, dedicato alla fine vittoriosa della Prima Guerra mondiale. Si trova in corso Francia 23 ed è un tripudio di richiami medievali mentre il bovindo si sviluppa in torre neogotica. All’ingresso ci accolgono dei draghi e delle lucertole. La porta, in legno chiaro, è sovrastata dallo stemma del Carrera e sembra l’ingresso di un luogo incantato quanto inquietante.
Infine, nell’isolato tra Corso Francia, via Bagetti, via Vassalli Eandi e via delle Alpi alcune case liberty e neo medievali dell’architetto Antonio Vandone di Cortemilia, più conosciuto per casa Maffei, in Corso Montevecchio 50, nell’altro quartiere liberty di Torino: la Crocetta.
La passeggiata nel quartiere detto “Cit Turin”, merita una pausa caffè. In via Duchessa Jolanda 23 bis Dezzutto è tra i locali più frequentati e conosciuti della zona. Un the con i pasticcini o le bignole, una fetta di torta oppure un aperitivo con tramezzini e salato.

Se si viene nei giorni feriali, la mattina, l’attrazione è il mercato di Giardino Luigi Martini, meglio conosciuta dai torinesi come piazza Benefica, per la presenza fino agli anni ’50 di un’associazione caritatevole, la Benefica, che si affacciava sulla piazza. E’ un mercato “griffato”, ma qualche bancarella alimentare resiste ancora.
Vi aspetto per scoprire insieme il lato liberty della città!
Ciao, sono Donatella. Avete sentito dire che Torino è una città industriale, grigia? O che in Piemonte non c’è molto da vedere, salvo le montagne? Allora il mio obiettivo sarà quello di farvi innamorare del mio territorio, non solo con gli articoli che scrivo, ma anche con delle visite pensate ad hoc per ogni esigenza. Mi piacciono la storia, l’arte, l’enogastronomia, le curiosità legate alla mia Regione e le lingue. È per me fantastico lavorare con turisti di altre Regioni d’Italia e con stranieri. Soprattutto quando tornano a casa con un po’ di Piemonte nel cuore.
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