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La notte al Rifugio Don Barbera ha sempre il suo fascino; per la quantità incredibile di stelle che popolano questo fazzoletto di cielo; e per il fatto che tu sei quasi “costretto” ad ammirarle, raggiungendo l’unico punto dove il telefono ha rete, distante cinque minuti dal rifugio e immerso in quel buio di montagna che non riesce proprio a spaventarti, anzi ti conquista lasciandoti a bocca aperta.
L’ultima volta avevo dormito nel vecchio bivacco poco lontano, uno dei tanti da queste parti, fornito dell’unica vera comodità che ricerchi dopo una lunga giornata di cammino: la struttura di un letto, un materassino, un cuscino. Questa volta dormo nell’edificio principale e, complice il periodo, ho a disposizione un’intera camerata tutta per me. Un lusso, dall’aspetto pur sempre molto austero, aderente con la realtà di questo luogo ameno incastonato tra le Alpi Marittime e quelle Liguri.
La (ri)partenza
Martedì mattina, giorno due di cammino. Mi sveglio molto presto, la luce penetra dalla finestra ancor prima dell’alba. È una scelta voluta, non voglio perdermi un minuto del sorgere del sole, come ieri non me ne sono perso uno del suo calare. Si vede subito che la giornata sarà spettacolare, lo percepisco dalla tonalità di questo arancione che dolcemente bacia i prati intorno il rifugio.

Faccio colazione prima di tutti gli altri avventori, ma ho comunque tempo di salutare i due ragazzi tedeschi che a breve si metteranno in marcia verso Ventimiglia. Anche i due ragazzi che stanno facendo il Tour del Marguareis sono svegli, loro hanno trascorso la notte in tenda qua davanti. Se la prendono giustamente con un po’ più di calma, il tempo di svegliarsi completamente e impacchettare tutto l’occorrente per la notte.
Saluto tutti e mi rimetto in moto, la tappa non è lunga, ma la smania di camminare ancora lungo il crinale di confine è tanta. Così è subito e ancora per i prossimi chilometri; sarà così anche domani, pur se in piccola parte. Il primo tratto dal Rifugio Don Barbera fino alla Colla Rossa è puro spettacolo.


Il sole negli occhi, una striscia di sentiero che taglia a metà un costone esposto sul versante francese, a fondovalle una macchia inconfondibile di larici che stanno cambiando pelle in vista dell’autunno, davanti a me un piccolo pascolo di bovini di Fassona; sul più bello, appena arrivato al Colle delle Selle Vecchie, aguzzo la vista e scruto l’orizzonte, guardo meglio e inconfondibile scorgo il profilo del mare, la mia meta finale. È la prima volta che lo vedo in questi giorni, la milionesima in vita mia. Su quelle rive ci sono cresciuto.

Eppure, oggi, la vista del Mar Ligure è ben diversa: apparizione, stupore, emozione. Tutto si mescola dentro di me al muoversi della mia testa e del mio sguardo: da un lato il Monviso, ancora visibile; dall’altro il mare, nitido, sopra il quale il sole si specchia come ogni giorno.
Verso il Monte Saccarello
Questa è sicuramente la tappa più bella dei quattro giorni in cammino, lo scopro pian piano andando avanti. La mia destinazione odierna è il Rifugio La Terza, posto esattamente a metà tra il Monte Saccarello e il Monte Frontè, rispettivamente la prima e la seconda vetta più alta della Liguria.
In mezzo un lungo procedere a bocca aperta guardandosi intorno. L’itinerario si sta disegnando chiaramente davanti ai miei occhi. Dal profilo del Monviso a quello del Marguareis, della Cima delle Saline e del Mongioie alla statua del Cristo che segna sulla mappa, in maniera inconfondibile, la presenza del Saccarello. Per ora mi fermo lì con la vista, solo dal Frontè avrò ancor più chiaro il percorso davanti ai miei occhi.

Raggiungo il Mont Bertrand, ai piedi il Bosco delle Navette, gioiello naturalistico di queste zone, e la presenza di tanti differenti pascoli e greggi. Mi fermo ad ammirarne la bellezza, cercando di comprenderne il valore inestimabile per queste zone. Gioia e anche dolori, soprattutto per gli escursionisti: dove c’è un gregge o un pascolo molto spesso c’è anche un (o più) cane. Anche oggi è così.
Camminando lungo il sentiero che si dirige al Passo del Tanarello, appena sotto il Saccarello, ne scorgo un paio in lontananza, anch’essi sul sentiero: non un bel segnale. Non faccio in tempo ad accorgermene che loro mi hanno già notato e, a modo loro, mi stanno intimando di stare lontano. Il messaggio è forte e chiaro e lo colgo immediatamente; per questo scruto nei dintorni una possibilità per variare l’itinerario senza dover passare per forza dal sentiero. Una voce indistinta però mi blocca nel farlo.
È il pastore che richiama la mia attenzione e mi dice di avanzare senza preoccupazioni. Attento a identificare i cani, non mi ero accorto della sua presenza che per me significa lasciapassare senza ulteriori perdite di tempo. Lo sguardo dei due cani, maestosi, mi accompagna finché non sono più a vista. È il bello di queste zone e, al contempo, la parte meno piacevole per chi cammina o passa di qui, meglio sempre prestare attenzione.
Tra distese di mirtillo e costanti saliscendi, raggiungo per l’ora di pranzo il Passo del Tanarello. Una breve sosta ammirando la caparbietà di alcuni ciclisti che stanno risalendo la vecchia strada militare dalla Valle Argentina, prima di ripartire alla volta del Saccarello. Lo raggiungo in poco meno di un’ora e sono l’unico in vetta. Ai miei piedi, ora, c’è la Liguria e la provincia di Imperia. In pratica, sono già a casa.

L’arrivo al Rifugio La Terza
Dall’obelisco posto in cima al Saccarello mi guardo intorno per ammirare un panorama che si perde a vista d’occhio. Davanti a me il mare, alle spalle il Piemonte, accanto la Francia.
In questo crocevia di Stati, culture e avvenimenti storici mi fermo un momento per godere della bellezza e del valore simbolico di un posto simile. Qui ho immediatamente la sensazione che distanze, geografiche e culturali, non esistano. Poco sotto, un cippo in pietra me lo ricorda a chiare lettere: “le montagne dividono le acque e uniscono gli uomini”, frase riportata su tre lati e tradotta nei dialetti delle comunità che all’ombra del Saccarello hanno trovato dimora. Un profondo senso di pace mi pervade. Volevo fare questo cammino da tanti anni, me l’ero immaginato proprio così e oggi lo sto vivendo sulla mia pelle, lasciandomi trasportare da tutto questo.

Il Rifugio La Terza ormai non è lontano. Dal Saccarello riparto tra rovine di forti e la grande statua del Cristo redentore posta sull’anticima, a vegliare e benedire tutti gli abitanti della valle sottostante. La strada forestale scende rapidamente lungo le tracce dell’Alta Via dei Monti Liguri, rappresentata dal segnavia AV in rosso. L’Alta Via è qui quasi alla fine per chi la percorre da Spezia a Ventimiglia, forse nel suo tratto più bello, quello alpino.


In poco tempo raggiungo il rifugio, vecchia stazione sciistica del comprensorio di Monesi, ormai fuori uso. Bellezza, pace, nostalgia. Una mix che trova equilibrio su questa sella a metà tra la Val Tanaro e la Valle Argentina, una sensazione che stasera vivrò solo io e nessun altro, in compagnia soltanto dei gestori del rifugio.

Non mi era mai capitato di essere l’unico avventore di un rifugio. Egoisticamente, sono contento che sia capitato qui, a pochi chilometri da casa, catapultato in un contesto quasi fuori dal mondo che viviamo. È il potere della Natura che, ogni tanto, si avvale dell’uomo per trasformare un disegno bellissimo in un quadro perfetto che non necessita di altro.
Un’esibizione unica, tutta per me.
Sono Paolo, guida e vagabondo pieno di sogni e speranze. Non ho un’unica origine e la natura, in ogni sua sfaccettatura, è il luogo dove mi sento più a mio agio. La mia casa è ovunque e da nessuna parte, conseguenza di una vita trascorsa in posti diversi: l’Emilia, la mia terra natale; la Liguria, la mia casa; la Sicilia, a cui una buona parte delle mie origini è legata; l’Alto Adige, le cui montagne mi hanno catturato influenzando molte delle mie scelte. Tra cui quella più recente e forse più importante: diventare una guida. Perché come ogni buon vagabondo e chiacchierone, ho un sacco di cose che vorrei condividere e raccontare. Venite con me?!
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