Breve riflessione sul sentiero
“Prova a meditare sul sentiero”: così scriveva Jack Kerouac nel suo romanzo I vagabondi del Dharma. Quando percorriamo un qualsiasi sentiero volgiamo istintivamente il nostro sguardo intorno a noi, preferibilmente verso l’alto o in lontananza a scrutare la linea dell’orizzonte o a cercare di individuare la nostra meta. Il sentiero così facendo scorre sotto di noi senza che ce ne accorgiamo, confinato letteralmente al di sotto della nostra attenzione, ridotto alla mera funzione di silenzioso e discreto assistente. Ma così facendo cosa perdiamo? Quanti piccoli e solo apparentemente insignificanti dettagli trascuriamo? Proviamo quindi a camminare fissando la strada sotto ai piedi, sperimentando un cambio netto di prospettiva che conduca a riflettere su quel sentiero, sul suo significato, sulla sua origine ed evoluzione. Ancorati alla sua contingenza iniziamo un viaggio che ne ripercorra la storia e ne colga l’essenza.

Un sentiero è una sequenza di segni individuabili in modo affidabile. Una definizione piuttosto generica che ha però il merito di eliminare il presupposto erroneo secondo cui un sentiero debba necessariamente essere una pista sterrata immersa nella natura e superare l’approccio riduzionista e superficiale che riconduce la sua paternità alla sola nostra specie. Infatti, molteplici autori apportano un contributo e ogni segno si carica di un enorme potere informativo, vestendosi di plurimi significati a seconda degli occhi che si posano su di esso. Non esiste sentiero che non sia una miniera di preziose informazioni, le quali tuttavia sono codificate in un linguaggio spesso a noi criptico.

La comprensione di questa lingua era per uomini e donne delle tribù di cacciatori-raccoglitori una questione di sopravvivenza e ancora oggi alcune comunità indigene sono costruite intorno a questa abilità.
Più in generale il saper individuare e leggere le tracce ha innescato una vera e propria rivoluzione: l’inizio del processo di insediamento in un territorio e la conseguente conquista della sedentarietà. Popoli nomadi, una volta giunti in nuove terre, si avventuravano nella loro esplorazione al fine di mapparle e renderle così meno estranee. Ribaltando un concetto chiave della moderna psicologia, il timore per ciò che non si conosceva non comportò alcuna contrazione della propria esistenza bensì ne alimentò l’evoluzione e la crescita.
In risposta all’esigenza di mitigare i rischi, le prime perlustrazioni non potevano essere accidentali ma necessariamente opportunistiche, decidendo consapevolmente di affidarsi a impronte e segni di presenza lasciati da altri uomini o altre specie animali.

Il bisogno di addomesticare la natura selvaggia spinse così alla creazione di molti dei primi sentieri. Dopo tutto, fino all’avvento del romanticismo, ben poche cose erano più agghiaccianti per la mente umana dell’idea di una natura impenetrabile e priva di vie facilmente percorribili. Dante descrisse bene quella sensazione creando l’immagine di una “selva selvaggia, aspra e forte / che nel pensier rinnova la paura”. L’assenza di una traccia gettava nello sconforto e un sentiero era pertanto la promessa rassicurante per un cuore ansioso che si stava andando da qualche parte, e non girando in tondo senza meta. La paura di perdersi spinge istintivamente a riempire lo spazio percorso con la propria presenza, manifestata marcando il proprio passaggio con segni facilmente riconoscibili, indizi che altri potranno decifrare e sfruttare. Ogni passo lungo quella “via dei segni” sarà un voto di fiducia verso gli altri e l’esito delle urne non potrà che sancire la nascita del sentiero. Nel seguirlo il singolo diviene parte dell’opera e della storia dei molti passati prima di lui. Ecco perché camminare su un sentiero richiede, e al tempo stesso instilla, una certa dose di umiltà.

I sentieri costituiscono in tal modo una forma di memoria spaziale sociale e solidale, un sistema mnemonico collettivo dove ogni luogo diventa un appiglio a cui aggrapparsi. A quei luoghi abbiamo poi attribuito un nome, spesso associandolo a un’immagine, un ricordo o a un’esperienza personale. La commistione tra lingua e territorio ha contribuito a trasformare le vie di comunicazione nelle vene e nelle arterie della vita culturale.
A partire dalla materia grezza del terreno sono state modellate creature di fango e pensiero. Col passare del tempo, le idee si accumulano, come le impronte, e si formano nuovi livelli di significato. Ben più di semplici tracce di movimento, i sentieri diventano trame culturali che connettono persone, luoghi e storie, riunendo il mondo in un tutto coerente, anche se inesorabilmente fragile perché in continua evoluzione. Infatti, la rete di sentieri non è un organismo culturalmente sessile, ovvero perennemente ancorato al substrato di origine, ma suscettibile di mutazioni antropogeniche o spontanee spesso tutt’altro che benefiche.

In epoca moderna si è infatti assistito alla profonda mutazione genetica dei sentieri. La connettività e non la linearità si è sempre più imposta quale filosofia alla base della loro nascita. Il nuovo obiettivo non è tanto superare delle difficoltà quanto creare un momento di svago, una possibilità di staccare dal quotidiano. Questo cambio di paradigma ha comportato il passaggio da linee di minor resistenza, individuate per raggiungere nel più breve tempo possibile una meta, a lunghi sentieri ricchi di deviazioni che puntano a connettere siti d’interesse naturalistico-culturale. Inoltre, i sentieri moderni sono progettati in modo meticoloso per resistere all’erosione dei tanti fruitori e dei loro scarponi; così, ad esempio, sul ripido versante di una montagna, si disegnano dolci tornanti per ridurre la pendenza, i quali vanno rispettati senza operare incoscienti e dannosi tagli.

Il fatto che un sentiero abbia bisogno di essere percorso per non scomparire è quantomeno lapalissiano. Ma nel secondo dopoguerra, quando l’escursionismo è divenuto sempre più diffuso e popolare, è emerso il pericolo opposto: all’improvviso alcuni sentieri hanno iniziato a correre il rischio di essere troppo utilizzati. Oltre la metà degli escursionisti tende infatti a percorrere solo il 10% dei tracciati a disposizione. L’aumento esponenziale della pressione escursionistica ha generato una sfida per coloro che si dedicano alla progettazione dei sentieri, il cui compito consiste sempre più nell’affrontare il dilemma di convincere le persone a fare quello che dovrebbero fare senza però rinunciare ad assecondarne i desideri. Un progettista deve necessariamente possedere una conoscenza ad ampio raggio del territorio, in modo da stabilire in anticipo il tracciato più sostenibile, senza offrire a tutti coloro che in futuro lo seguiranno alcun motivo per allontanarsene.
In ogni caso risulta fondamentale evitare che alcuni itinerari diventino troppo affollati, stimolando gli escursionisti a scegliere percorsi alternativi e meno battuti, lasciandosi alle spalle il solco polveroso per avventurarsi su sentieri d’erba appena calpestata. Una forma di ribellione, una fuga da rigide tradizioni e miopi conformismi che soffocano la vastità del mondo reale e rischiano di isolarci dalla sua complessità.

Nel corso dei millenni, i primi sentieri appena abbozzati si sono estesi in una fitta rete globale, consentendo agli individui di raggiungere i propri scopi in modo sempre più efficace. Ma se tutti si limitassero ad acquisire meccanicamente questo risultato, rispettandone gli asfittici confini, sarebbe inevitabile precipitare in un’ottusa decadenza collettiva.
Siamo nati per vagare nel caos, per cercare ed errare. Eppure non ci sentiamo perduti senza speranza, poiché chi ci ha preceduto ci ha lasciato una traccia da seguire. L’intera storia della vita può essere vista come un unico sentiero creato da chi lo ha percorso. Tutti siamo eredi di quella linea, ma non dobbiamo dimenticare di esserne anche pionieri. A ogni passo ci spingiamo nell’ignoto, lasciando però una traccia dietro di noi, il seme di un nuovo sentiero.
“Questa era quella Terra di cui avevamo sentito parlare, creata da Caos e dalla Vetusta Notte. Qui non c’erano giardini di uomini, il mondo antecedente il tocco dell’uomo. Non era prato, né pascolo, né erbaio, né bosco, né terreno coltivabile, né terreno sterile. […] Non era previsto che l’uomo dovesse associarsi a essa […] era Materia, vasta, tremenda […] pietre, alberi, vento sulle nostre guance! La solida terra! Il mondo reale! Il senso comune! Contatto!”
Henry D. Thoreau
LUCA CAVIGLIA
Nato a Genova nel 1991, mi sono prima laureato in “Scienze Naturali” presso l’Università degli Studi di Genova e successivamente ho conseguito il titolo Magistrale in “Evoluzione del comportamento animale e dell’uomo” presso l’Università degli Studi di Torino, con specializzazione in ricerca e gestione di carnivori e ungulati. Amo la montagna in tutti i suoi molteplici aspetti e ogni mia escursione vuole essere una tavolozza piena di colori, con cui dipingere insieme ai partecipanti le meraviglie del nostro territorio!
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