Vivere Florencia – Piazza Santa Maria Novella

Carissimi lettori di Posti e Pasti,
ancora una volta, ben ritrovati nella mia rubrica del nostro blog! Questo mese vi parlerò di una delle piazze fiorentine più belle e di tutti gli edifici che accompagnandola, la rendono ancor più maestosa: Piazza Santa Maria Novella.

Pronti quindi a catapultarvici al suo interno, come se foste realmente qui presenti!?

Di cose da dire ce ne sono veramente tante ma spero di riuscire a tenere alta la vostra attenzione fino all’ultima parola del mio articolo! Vi auguro per adesso una buona lettura, in attesa magari di potervi un giorno incontrare e guidare narrandovi tutto questo direttamente dal vivo.

Piazza Santa Maria Novella a Firenze

L’inizio dei lavori di Piazza Santa Maria Novella fu inaugurato ufficialmente nel 1287, per Decreto della Repubblica Fiorentina e a spese del governo comunale della città. Questi lavori furono portati a termine nel 1325 ca., dopodiché la piazza fu donata all’omonima Basilica come sua naturale estensione. Il luogo divenne presto un riferimento importante per tutta la comunità cittadina e non solo, volto ad accogliere folle di cittadini sempre più numerose ed ecco perché il Comune di Firenze diede avvio a grandi opere di ampliamento. Per far questo però si dovettero abbattere numerose case che si trovavano sul luogo.

Dopo l’arrivo dei frati Domenicani la piazza divenne infatti teatro di affollatissime predicazioni religiose. Non solo, data l’importanza e la grande affluenza a Santa Maria Novella, si celebrarono anche eventi, giochi e le celebri giostre cittadine. Detto ciò arriviamo a comprendere anche la presenza, nell’area centrale della piazza, dei due grandi obelischi in marmo mischio di Serravezza (un marmo particolarmente ricco di venature e soprannominato “Breccia medicea” poiché largamente impiegato dai Medici e soprattutto al tempo del Granducato). Questi 2 obelischi servivano a segnare le mete nella corsa del “Palio dei Cocchi”, la più importante fra tutti questi giochi e giostre cittadine.

Il “Palio dei Cocchi”, altro non era che una corsa con carrozze simili alle bighe romane, istituita da Cosimo I nel 1563. Le carrozze (o cocchi) giravano intorno a due strutture piramidali di legno che delimitavano i punti più alti della pista. Nel 1608 le piramidi lignee vennero sostituite da questi due obelischi marmorei sostenuti a loro volta da quattro tartarughe in bronzo e realizzate nientemeno che dal Giambologna, noto scultore manierista di origine fiamminga del XVI secolo anche se le basi marmoree e i gigli dorati sulla cima degli stessi, sono del tardo ‘700.

Il palio si svolgeva il 23 giugno, vigilia della festa di San Giovanni Battista, patrono di Firenze, un giorno prima della finale annuale del noto Calcio Storico Fiorentino. I quattro cocchi di legno avevano quattro colori diversi (a seconda del quartiere rappresentato): verde, azzurro, rosso e bianco, ognuno tirato da due cavalli. Dopo tre giri ellittici intorno alle piramidi, la corsa terminava. L’ambito premio per il vincitore era un palio (o drappo) di velluto.

Ma c’è anche da aggiungere che questa piazza non fu utilizzata solo per lo svolgimento del Palio dei Cocchi ma anche per lo svolgimento delle partite del calcio storico in quanto il calcio storico, un tempo si teneva in diverse piazze della città.

La piazza così come la vediamo oggi è delimitata dalla facciata della chiesa – vera protagonista – che si articola attraverso: i suoi 19 avelli contigui, un fronte omogeneo di edifici allineati sul lato ovest e, sul lato est, una serie di edifici allineati lungo una discontinua direttrice obliqua, risultanti dalle trasformazioni del XIX-XX secolo di case preesistenti.

All’angolo estremo del lato ovest della piazza troviamo il noto Hotel Roma (nel suo stile Art déco – l’Art déco è stato un fenomeno del gusto che interessò sostanzialmente il periodo fra il 1925 e il 1940 e che riguardò le arti decorative, visive, l’architettura e la moda) con vetrate e mosaici al pianterreno di Galileo Chini, risalenti appunto agli anni ’20 del‘900.

Sul lato meridionale della piazza e opposto alla chiesa, si vede la loggia dell’antico Ospedale di San Paolo: esso era stato il più grande e antico complesso assistenziale della città destinato ad accogliere i pellegrini agli inizi del XIII secolo e quindi si parlava di una struttura equivalente ad un ospizio. Poi, dal 1345 l’edificio da ospizio divenne un ospedale e fu gestito dai Terziari francescani (ossia del terz’ordine del ramo francescano), per passare poi nel 1451 sotto la direzione della Congregazione dei Buonomini di San Martino e solo all’epoca fu ristrutturato e ampliato in chiaro stile brunelleschiano (forse sotto la supervisione di Michelozzo Michelozzi), così come ne fu eretto il relativo portico con dieci arcate.

La loggia sopraelevata (unico elemento monumentale rimasto integro) ha 10 arcate su colonne con capitelli corinzi (tutte sostituite intorno al 1790 da Giuseppe Salvetti); tra gli archi invece ci sono 9 medaglioni di terracotta invetriata realizzati da Andrea della Robbia e raffiguranti Santi Francescani e Opere della Misericordia. Alle estremità delle 10 arcate, altri due metà medaglioni in terracotta invetriata (sempre opera di Andrea della Robbia) raffiguranti ritratti dello spedalingo B. Benini/Benigni (datati 1491 e l’altro 1495).

Dopo la riforma del 1592, per volontà del Granduca Ferdinando I de’ Medici, questo ospedale fu trasformato in luogo destinato ai soli convalescenti della città, fino poi ad arrivare alla figura di Pietro Leopoldo di Lorena che adibirà l’edificio ad accogliere le Scuole Leopoldine, nell’ambito di tutte quelle riforme che Pietro Leopoldo andò ad attuare in città. Infine, arriviamo alla sua definitiva soppressione nel 1780.

Al centro della facciata del porticato, al di sopra dell’arco centrale vi è il busto di Ferdinando I de’ Medici (1594 ca.), realizzato da Pietro Francavilla.

Sopra la porta della testata dx della loggia che conduceva alla chiesa sconsacrata e trasformata si trova una lunetta di terracotta invetriata policroma di Andrea della Robbia, raffigurante l’abbraccio di San Domenico e San Francesco (come simbolo della concordia tra i due ordini monastici).

Edificio sul fondo: antico Ospedale di San Paolo, oggi Museo del Novecento

All’angolo del lato meridionale della piazza con Via della Scala vi è un tabernacolo quattrocentesco contenente una fedele copia di una Madonna con Bambino e Santi opera di Francesco d’Antonio detto Francesco Fiorentino, allievo di Lorenzo Monaco. L’affresco originale fu staccato nel 1938 (ora si trova presso la Soprintendenza alle Gallerie, compresa la sinopia) e sostituito due anni dopo con appunto una fedele copia del maestro Tullio Micheli.

 “Tabernacolo di Madonna con Bambino e Santi”, opera di Francesco Fiorentino

La piazza rimase lastricata fino agli anni ’30 del ‘900, quando fu poi parzialmente trasformata in un giardino ad aiuole triangolari, avente al centro una vasca marmorea circolare.

Rasentando invece la parte absidale della basilica, vedremo anche il suo l’agile campanile nel suo originario aspetto gotico che fu elevato nel 1332-1333 sulle fondazioni di quella che era una grossa torre usata come posto di guardia per avvistare gli incendi, purtroppo molto frequenti a Firenze nel Medioevo. Questa torre servì da base di appoggio nel XIV secolo, per la costruzione dell’attuale campanile (h. 68,80 mt.) che pare si debba attribuire a Fra’ Giovanni Bracchetti da Campi (noto anche per la ricostruzione del Ponte alla Carraia).

Con i suoi tre piani di bifore e trifore che si alzano dal livello del tetto della chiesa, con l’agile guglia svettante e il concerto delle sue 5 campane dai cinque toni musicali, il campanile invita alla preghiera e dà un festoso saluto a chi arriva nella città dei fiori… Firenze!

E per concludere, prima di iniziare con la storia della basilica, lungo il fianco dx della chiesa, vi è Via degli Avelli che riprende il proprio nome dalla serie di questi avelli i quali altro non sono che sepolcri archiacuti o più tecnicamente detti “ad arco solio” indicando proprio una particolare sepoltura, collocata all’interno appunto di questa specie di nicchia. Ogni avello reca scolpita al centro la croce del Popolo, affiancata dalle armi della famiglia proprietaria della tomba e nelle lunette vi erano delle pitture oggi scomparse.

Si vede perfettamente come questi avelli corrono in maniera allineata lungo il lato facciata della basilica e lungo tutto il lato dx della stessa, delimitando così anche l’antico cimitero degli Avelli che noi attraverseremo per consentirci l’ingresso in basilica.

Queste sepolture con la loro imponente forma ad arco a sesto acuto risalgono al XIV secolo ed ecco che possiamo classificarle come elementi architettonici di matrice gotica; gli avelli che danno sulla piazza sono 19 e tutti dovrebbero essere quelli originali del XIV secolo ai quali se ne aggiungevano altri 3 che poi solo nel XIX secolo sono stati rimossi dalla piazza e posti su Via degli Avelli per ragioni di allargamento di questa stessa strada. Gli avelli che invece si trovano nel giardino che è sul lato dx della chiesa (in corrispondenza dell’antico cimitero di Plaona e oggi conosciuto come cimitero degli Avelli) sono 80 che per lo più sono un rifacimento ottocentesco. Nel terzo avello, lungo il muro della chiesa, cominciando dalla facciata (da sx verso dx), fu sepolto il pittore DOMENICO BIGORDI meglio conosciuto come IL GHIRLANDAIO (ƚ 1494) e sotto l’arco, una volta, era dipinto il suo ritratto al naturale.

 Gli avelli della Basilica di Santa Maria Novella – Foto Adobe Stock

Ma la vera protagonista dell’intera piazza è la monumentale Basilica di Santa Maria Novella, della quale io qui mi soffermerò a raccontarvi la storia evolutiva del complesso e soprattutto mi cimenterò sulla bellissima facciata rinascimentale costruita su una pregressa facciata gotica di cui ancora oggi conserva alcune rifiniture e dettagli decorativo – architettonici, il tutto perfettamente ed armoniosamente uniformato grazie alla straordinaria capacità artistica di Messer Leon Battista Alberti.

La basilica di Santa Maria Novella è nota in primis per essere in assoluto il primo grande edificio fiorentino di stile gotico e la prima chiesa mendicante ad essere stata costruita a Firenze tra il XIII e il XIV secolo. Ma questa basilica la ricorderei anche come una basilica particolarmente amata dal nostro Michelangelo Buonarroti il quale era solito definirla “La mia sposa…”.

Questa basilica appartiene all’ordine monastico dei domenicani, il quale ordine arrivò a Firenze nel 1221 e si stanziò fuori dalle mura del tempo che erano le prime mura comunali della città (risalenti al 1172 – 1175), scegliendo un’area opposta a quella che verrà poi scelta dai francescani. La chiesa di Santa Maria Novella verrà inclusa all’interno delle mura cittadine solo successivamente e comunque solo a partire dalla costruzione dell’ultima cerchia muraria comunale di Arnolfo di Cambio (1284 – 1333).

La zona di Santa Maria Novella era appunto una zona fuori le mura, rurale ma non era un’area depressa come quella di Santa Croce. Infatti già dal 983 d.C. è qui documentata una piccola chiesetta romanica, ricostruita e consacrata poi nel 1094, la quale fu concessa ai domenicani non appena questi arrivarono a Firenze. Questa chiesetta romanica si chiamava Santa Maria Inter Vineas (= Santa Maria tra le vigne) e la sua stessa intitolazione dava l’idea secondo cui questa era tutta un’area bucolica/campestre/rurale e destinata soprattutto alla presenza di vigneti.

L’antica chiesa romanica Santa Maria Inter Vineas, aveva inoltre un orientamento completamente diverso rispetto a quello che oggi ha l’odierna basilica di Santa Maria Novella; mentre oggi l’odierna basilica è orientata in direzione nord – sud, Santa Maria Inter Vineas era orientata in direzione est-ovest e quindi la facciata corrispondeva alla direzione est e dava su uno spazio estremamente esiguo rimanendo al di fuori delle mura (quello che per noi oggi corrisponde grosso modo a Piazza dell’Unità d’Italia, seppur decisamente inferiore), mentre l’abside era in direzione ovest. Si deduce quindi che la chiesa originaria non seguisse l’orientamento canonico est – ovest di qualsiasi basilica. Sempre di questa antica chiesetta romanica, oggi sono stati ritrovati dei relativi resti in corrispondenza e al di sotto dell’attuale Sagrestia, e dovremmo immaginarcela avente una lunghezza dell’attuale transetto.

I domenicani, a cui fu concessa questa originaria chiesa di Santa Maria Inter Vineas, necessitavano però innanzitutto di un grande spazio antistante nel quale poter predicare alla popolazione ma anche di una chiesa di maggiori dimensioni visto la grande numerosità di fedeli che nel corso degli anni erano riusciti a conquistare. E questo fu dovuto soprattutto a seguito del grande successo riportato da San Pietro Martire, frate domenicano che arrivò a Firenze nel 1244 e che si distinse nella lotta all’epoca contro l’eresia, in particolar modo contro i movimenti eretici dei catari e patarini. In più egli fondò anche delle importantissime Compagnie e Confraternite quali la Compagnia del Bigallo e dei Laudesi, e la Confraternita della Misericordia.

Di conseguenza i monaci domenicani avviarono una completa ricostruzione della chiesa, e proprio il 18 ottobre 1279, nel giorno della festa di San Luca, fu posta la prima pietra di inizio di questi lavori di ricostruzione della basilica. La denominazione della nuova chiesa “Santa Maria Novella” deriverebbe proprio dal fatto che all’epoca si era trattato appunto di una basilica nuova rispetto a quella preesistente di Santa Maria Inter Vineas.

Questo rifacimento si protrae fino a circa la metà del XIV secolo, nella prima fase dei lavori intervennero due frati architetti, Fra Sisto Fiorentino e Fra Ristoro da Campi, mentre nella seconda metà del XIV secolo intervennero altri due frati architetti, Fra Jacopo da Talenti e Fra Ristoro da Campi. Cambia inoltre l’orientamento della basilica di ben 90°, da est – ovest a nord – sud. Infine, contemporaneamente alla ricostruzione della nuova chiesa, i frati architetti realizzano anche il relativo spazio antistante e i lavori della piazza si protraggono dalla fine del ‘200 fino ai primi decenni del ‘300.

Per quanto riguarda invece la splendente facciata di Santa Maria Novella, opera completata da Leon Battista Alberti solo a fine XV secolo, dobbiamo sapere che questa preserva di originale il suo primo registro con l’apertura dei 6 avelli, dei 2 portali laterali cuspidati, dell’apertura del rosone e di tutta la decorazione marmorea in bicromia di questo primo registro. Quindi, prima che arrivasse Leon Battista Alberti a completarne il rivestimento, ciò che realmente mancava era tutto il secondo registro della facciata.

In più, sempre all’epoca della nuova costruzione di Santa Maria Novella, vi era già l’accesso laterale tutt’oggi esistente e dal quale noi entreremo. È importante che vi ricordiate l’importanza storico – artistica di questo accesso laterale perché, quando nel ‘400 Masaccio realizzò l’affresco della Trinità,

la colloca in un punto apparentemente poco importante della chiesa cioè la navata di sx – su cui noi oggi infatti la vedremo – ma che all’epoca la relativa collocazione fu molto importante perché era la prima opera che si vedeva entrando dalla porta laterale e in origine, l’ingresso in una chiesa dalla porta laterale non era una cosa inusuale.

La facciata però sarà completata solo da Leon Battista Alberti, con i lavori che cominciano nel 1456 e che si protraggono fino al 1470; facciata che è posteriore alla conclusione dei lavori della basilica che fu consacrata da Papa Martino V già una cinquantina di anni prima (7 settembre 1420). Pensate che questa è l’unica facciata rinascimentale di edificio religioso che sia presente in città.

Bisogna anche dire che nel XVI, più precisamente ai tempi di Cosimo I, Giorgio Vasari verrà chiamato ad apportare delle modifiche soprattutto all’interno della basilica. Inoltre Vasari andrà a murare la porta d’ingresso laterale alla basilica che vi era determinando per secoli un’errata lettura dell’importante affresco della Trinità di Masaccio. Questa porta, che è la stessa attraverso cui noi entreremo in basilica, è stata riaperta solo nel ‘900.

Passando adesso definitivamente all’analisi e descrizione della facciata, vi dicevo che i lavori per questa facciata cominciarono appunto nel 1456 per opera di Leon Battista Alberti e gli furono commissionati da Giovanni di Paolo Rucellai, come viene anche riportato a caratteri cubitali latini sul fregio alto della facciata e che per la prima volta compare sulla facciata di un edificio religioso. Qui viene riportata anche la data di completamento della facciata, anno 1470. L’elemento decorativo che qui sulla facciata ci ricorda la famiglia e committenza Rucellai, sono anche gli stemmi. Si vede appunto la nota “vela della fortuna gonfiata dal vento”, stemma che simboleggia l’impresa personale di Giovanni Paolo Rucellai e che ha il significato di buon auspicio per il traffico dei commerci di panni di lana per il quale la famiglia Rucellai si era distinta. Ma in realtà all’interno di questa facciata vi corre anche un altro stemma – al di sopra dell’architrave del portale maggiore – pur sempre appartenente alla famiglia Rucellai ovvero le “3 piume in un anello diamantato” e che fa riferimento alle insegne della famiglia stessa ed in particolar modo al figlio di Giovanni, Bernardo Rucellai, sposerà Lucrezia de’ Medici detta Nannina sorella di Lorenzo il Magnifico.

Naturalmente la famiglia Rucellai fu una famiglia di grandi mercanti di panni di lana, imparentata con i Medici ma in realtà Giovanni Rucellai si era imparentato anche con gli Strozzi perché aveva sposato la figlia del ricchissimo Palla Strozzi. Giovanni Rucellai oltre ad essere stato un mercante, è stato anche un mecenate ed un importante umanista che scrisse addirittura dei testi significativi.

Egli aveva chiamato Leon Battista Alberti anche per realizzare il palazzo di famiglia, la loggia antistante e il tempietto del Santo Sepolcro, appositamente per accogliere la sua sepoltura.

Ma tornando sempre sulla nostra facciata, vediamo nello specifico che cosa realizzò di nuovo rispetto alla facciata già esistente, il nostro Leon Battista Alberti.

Leon Battista Alberti, come già detto, si trova a lavorare con le preesistenze gotiche quindi tutto il primo registro fino all’altezza dell’architrave ed escluso l’attico e la parte superiore, era già stato realizzato dai precedenti frati architetti. Ecco che Leon Battista Alberti si trova a dover operare con 6 avelli già esistenti, vi era già tutta la bicromia in specchiature marmoree – lo stesso tipo di rivestimento romanico già utilizzato per il Battistero di San Giovanni e probabilmente i frati architetti si sono ispirati proprio a questo genere di rivestimento – e i due portali laterali, mentre il portale centrale fu aperto dallo stesso Leon Battista Alberti.

Un’altra cosa che già esisteva, ancor prima che Leon Battista Alberti vi mettesse mano, era l’apertura del rosone che in questo caso è un tipico rosone gotico perché è molto grande. Così come già c’era la vetrata del rosone, tratta da cartoni di Andrea di Bonaiuto e che era stata realizzata negli anni ’60 del XIV secolo con la raffigurazione del tema dell’Incoronazione della Vergine.

Leon Battista Alberti qui fu particolarmente abile ad integrare il linguaggio gotico con il moderno linguaggio rinascimentale. E quali sono le cose principali che Leon Battista Alberti fa per completare la facciata?

Innanzitutto riprende la bicromia marmorea verde e bianca, però la piega a formare tutta una serie di specchiature cioè di forme geometriche che scandiscono razionalmente la superficie. Quindi, egli parte dallo stile gotico ma poi riesce a modificarlo in senso rinascimentale e razionale.

L’altra cosa che fa, è quella di impiegare tutta una serie di principi matematici per creare una forma equilibrata, misurata, armonica e addirittura paragonabile nei suoi rapporti alla ritmica musicale. Ma quali sono questi principi matematici?

La ripetizione di un modulo che è il quadrato, forma perfetta tanto amata nel Rinascimento, un quadrato che si ripete in sottomultipli ed ecco che la facciata la si può iscrivere all’interno di un grande quadrato, il registro inferiore è divisibile in due grandi quadrati che sono esattamente ¼ del quadrato grande della facciata, la parte superiore è iscrivibile anch’essa in un quadrato che è ¼ della facciata e le volute laterali sono iscrivibili all’interno di ulteriori quadrati che sono sottomultipli del grande quadrato della facciata. Inoltre, in rapporto proporzionale ci sono anche tutte le specchiature marmoree in bicromia che caratterizzano l’attico ovvero questa grande fascia centrale che divide la parte inferiore da quella superiore che fra l’altro rimanda proprio all’elemento architettonico dell’attico degli archi di trionfo romani ma che in questo caso l’elemento dell’attico viene impiegato per garantire un passaggio graduale tra il primo e secondo registro. Se non ci fosse stato l’attico, il passaggio dalla parte inferiore a quella superiore della facciata, sarebbe stato troppo brusco.

Ancora, tra gli elementi architettonici di chiara ispirazione e citazione classica, troviamo il timpano entro cui campeggia il simbolo dell’ordine domenicano ovvero “il sole raggiato” che però al contempo è anche il simbolo del Quartiere di Santa Maria Novella. Inoltre, il portale centrale inserito solo da Leon Battista Alberti e così circondato da due colonne e sormontato da un architrave, richiama anche l’aspetto di un arco di trionfo. Altra citazione dall’antico sono le volute (la cui bicromia è originale per una ma non per l’altra, quella non originale è stata rifatta nel ‘900 comunque su progetto di Leon Battista Alberti) che vengono qui a modificarsi di funzione rispetto al passato perché qui sono impiegate da Leon Battista Alberti per spezzare la rigida rettilineità della forma squadrata attraverso il loro movimento ondulato ed elegante. C’è però anche chi dice che queste volute siano state realizzate per coprire gli spioventi del tetto, dato che dietro c’è un tetto a salienti però alcuni studiosi hanno messo in discussione questo aspetto.

Un altro e ultimo elemento architettonico qui presente e di chiara ispirazione antica romana, sono le rosette che corrono nell’intradosso dell’arco al di sopra del portale maggiore.

Tra gli altri elementi presenti in facciata, ci sono i due strumenti scientifici realizzati da Fra’ Ignazio Danti – cosmografo e cartografo granducale ai tempi di Cosimo I de’ Medici – e questi sono: a sx la sfera armillare e a dx lo gnomone. [Ignazio Danti, frate domenicano, era il fratello dello scultore Vincenzo Danti ed erano originari di Perugia].

Entrambi sono due strumenti scientifici, la sfera armillare è una sorta di mappamondo celeste in cui vengono materializzati in bronzo i movimenti degli astri; di solito al centro della sfera armillare c’è la terra perché all’epoca c’era ancora la concezione “geocentrica” dell’Universo, quindi con la sfera armillare vengono visualizzati i movimenti degli astri intorno alla Terra.

Lo gnomone invece è una sorta di Meridiana, caratterizzata da un quadrante marmoreo con delle aste che proiettano l’ombra sul quadrante. Quindi non è altro che la parte dell’orologio solare che proietta la propria ombra sul piatto e la cui ombra serve appunto a segnare le ore nelle meridiane.

Beh, ma ci domanderemo, perché la presenza di strumenti scientifici all’interno di un grande complesso religioso come questo?

Innanzitutto gli strumenti religiosi sono simbolo della sapienza e della conoscenza ma soprattutto, l’ordine domenicano oltre ad interessarsi alla lotta contro l’eresia e alla comunicazione, si dedicava molto allo studio. Addirittura, il frate domenicano e dottore della Chiesa San Tommaso d’Aquino nel suo pensiero e nella sua filosofia Scolastica cercò di voler coniugare la fede cristiana con il pensiero razionale della filosofia greca quindi ci sarà comunque un riferimento al mondo delle scienze.

Infine, si vedono poi, le lunette al di sopra dei 3 portali, affrescate solo nel ‘600 dal pittore aretino Ulisse Ciocchi: nella lunetta centrale abbiamo “L’apparizione del Crocifisso a San Tommaso d’Aquino” e la cosa particolare nel caso di questa lunetta è che sullo sfondo si vede la basilica e la processione del corpus domini che inizia proprio da Santa Maria Novella. Nelle lunette laterali invece ci sono raffigurati due personaggi dell’Antico Testamento ovvero sulla sx, “Aronne con la manna” e sulla dx “Melchisedech con i pani” quindi c’è un riferimento indiretto al tema del sacramento dell’eucarestia, d’altronde il mondo dell’Antico Testamento è sempre proposto come prefigurazione di quello che avverrà poi nel Nuovo Testamento. Infine, c’è anche la sepoltura di Bernardo Rucellai proprio davanti al portale così come riportato dall’iscrizione sul porfido.

Gli affreschi sopra le lunette dei tre portali della facciata di Santa  Maria Novella
 La lapide in porfido della tomba di Bernardo di Giovanni Rucellai

Vi aspetto per scoprire insieme questa magnifica città!


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Ciao, sono Eleonora, ho 35 anni e una vera e propria passione per l’arte, ma soprattutto per la mia città natale… Firenze! Motivo per cui, dopo una laurea in Lingue e Letterature Straniere e dopo vari impieghi, ho deciso di ascoltarmi veramente e seguire le mie passioni di sempre, ovvero l’arte e la storia: sono così diventata una guida turistica! Lavoro ogni giorno con un pubblico molto variegato, straniero e locale, e sono lieta di poterti parlare della mia città da “ambasciatrice dell’arte”!
Ecco che mi sono catapultata in questa nuova avventura… diventare una guida turistica, riuscendo così ad unire finalmente i miei due più grandi amori: l’arte e la mia città!
Fin da bambina in realtà ho sempre osservato con interesse e meraviglia gli splendidi monumenti che hanno fatto e che continuano a fare grande una città come Firenze. Quegli stessi monumenti ed opere d’arte che non smettono di catturare l’attenzione di studiosi, oltre che stupire le migliaia di turisti che in nessun momento dell’anno abbandonano il nostro territorio!
Al momento lavoro con un pubblico molto variegato, tanto straniero quanto locale privato e soprattutto con i fiorentini d’ hoc, i quali amano seguirmi nei miei tour non stancandosi mai di apprendere sempre più informazioni storico – artistiche inerenti alla loro città.
Vorrei poter proporre molte delle mie iniziative di visite guidate (anche personalizzate e su richiesta) ma soprattutto, il mio unico obiettivo è quello di riuscire a far divertire e trasmettere tutta la mia passione per la storia e per l’arte attraverso il mio ruolo di “ambasciatrice dell’arte”… eh già, perché è questo il vero ruolo che noi guide turistiche svolgiamo e per me è un vanto, oltre che un orgoglio portare con me un appellativo e una responsabilità di questo genere!
Vi aspetto quindi numerosi a Firenze e intanto mi auguro di riuscire a destare la vostra attenzione e curiosità tramite la mia rubrica “Vivere Florencia” che potrete trovare sulla pagina blog “Posti e Pasti”, oltre che sui principali ed odierni canali social.

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