Napolitudine, un viaggio dell’anima – Do ut des: le anime pezzentelle

I napoletani hanno sempre avuto un rapporto particolare col mondo dell’aldilà, il culto dei morti ha radici antiche che si perdono nelle origini di questa città così particolare fondata dai greci. Ed è proprio a loro che si deve la nascita di luoghi di sepoltura dove un tempo venivano portati i corpi e lasciati al di fuori delle mura della città dove vivevano uomini chiamati eunostidi i quali forse si occupavano del seppellimento e la cura dei morti. Nello stesso luogo dove secoli dopo sorse il famoso cimitero delle fontanelle nel Rione Sanità per accogliere i corpi dei tanti che nel corso dei secoli persero la vita a causa delle numerose epidemie come la peste e il colera.

Foto da initalia.virgilio.it

Normalmente chi apparteneva ad uno status sociale superiore aveva la possibilità di essere sepolto in tombe monumentali fatte costruire all’interno delle cappelle delle chiese, servendosi di architetti, scultori e artisti tra i più famosi, o nelle terresante al di sotto delle pavimentazioni dei luoghi di culto. Anche agli appartenenti ad una confraternita che avessero fondato una chiesa dedicata al loro santo protettore, era concesso di essere seppelliti nelle cripte di queste chiese.

Sarà soprattutto nel 1600 che nel cuore della città antica sorgerà una chiesa chiamata “Santa Maria del Purgatorio ad Arco” (per la presenza di un arco romano oggi scomparso) grazie ad un gruppo di nobili napoletani che mossi da sentimenti di pietà, decisero di costruire, affinché si e celebrassero messe in suffragio di quelle anime che avevano perso la vita e non avevano nessuno che pregasse per loro, perché gettati in fosse comuni in modo anonimo.

Inizialmente si pregava perché potessero raggiungere quello che in lingua partenopea era detto: “ò rifrische” ovvero il passaggio dalle pene del purgatorio alla frescura del Paradiso, grazie alle preghiere che venivano recitate per le anime pezzentelle, le anime dei poveri.

Col tempo questa sorta di preghiera spontanea diventò un’accorata richiesta di un popolo affamato e sofferente che vedeva nelle anime per cui pregava, persone che come loro avevano sofferto e soffrivano e bisognosi di aiuto per trovare la pace eterna, così come chi pregava aveva bisogno di credere che nell’aldilà ci fosse qualcuno che provvedesse alle loro miserie.

Ecco che queste preghiere divennero una sorta di “do ut des”: io prego per te affinché tu vada in paradiso ma tu prega per me e per le mie necessità, per la salute di un mio caro, per trovare lavoro, per trovare marito. Le famose capuzzelle non erano altro che teschi di persone seppellite all’interno di fosse comuni e scelti da famiglie che li “adottavano”, e iniziavano a pregare per loro, si racconta che le persone si sentivano chiamati dalla stessa anima, ecco perché sceglievano quella capuzzella in particolare, piuttosto e non un’altra.

Questa anima diventava una sorta di Lares Familiares, proprio come nell’antica Roma quando dove ogni famiglia edificava una piccola edicola votiva nella propria casa in onore delle divinità domestiche.

E così ogni napoletano una volta adottato un teschietto, costruiva a sue spese una “scarabattola”, ovvero un piccolo contenitore che fosse di marmo, di ferro o di legno, a seconda delle possibilità economiche di ognuno e queste cassette contenenti i teschi venivano però lasciati in loco e non portati nelle case, il compito delle famiglie era assicurare la pulizia del teschio, l’abbellimento della scarabattola, la presenza di fiori e di lumini e preghiere continue, una volta che l’anima avesse raggiunto il Paradiso avveniva ò rifrische ovvero il teschio diventava lucido ed era quello il momento in cui si sperava che l’anima fosse riconoscente ed esaudisse le preghiere.

Il teschietto – Foto da 21secolo.news

Una pratica questa che dal 1600 ha avuto seguito fino agli anni ’70 del 1900 quando l’allora Cardinale Ursi decise di chiudere questa sorta di aree cimiteriali, poiché il culto per queste anime acquisì caratteri profani, come ad esempio la richiesta alle anime di venire in sogno per avere i numeri da giocare al lotto.

Tante erano le chiese o le terresante dove questa pratica della preghiera alle anime del purgatorio era frequente, oggi le più famose e visitabili come dei siti museali e riaperte al pubblico sono Il cimitero delle Fontanelle nel Rione Sanità e la Chiesa di Santa Maria del Purgatorio ad Arco, in via tribunali, ma pochi conoscono la piccola chiesa di Santa Luciella.

Santa Luciella sorge nel cuore del centro storico, nascosta in una stradina parallela alla più famosa San Gregorio Armeno e che in epoca romana era chiamato vicus cornelius ma che oggi prende il nome dall’omonima chiesa di Santa Luciella.

La chiesetta fu fondata in epoca angioina; nel 1600, conosciuta come Cappella dell’Arte dei Molinari o Mulinari e successivamente presa in custodia dai maestri pipernieri, gli artigiani che lavorando le pietre dure, rischiavano che le schegge, schizzando, potessero conficcarsi negli occhi, e affidavano la sanità dei loro occhi a Santa Lucia, la protettrice della vista, e a lei decisero di dedicare questo piccolo luogo di culto.

Abbandonata e dimenticata poi per quasi 30 anni, attualmente è riaperta al pubblico grazie al lavoro e all’impegno di un gruppo di giovani che hanno costituito un’associazione chiamata Respiriamo Arte, che intende recuperare e valorizzare la chiesa per farne un centro di attrattiva turistica, culturale e sociale.

Ciò che caratterizza questa chiesa oltre alla sua storia è stato il ritrovamento nei sui sotterranei di un altro piccolo spazio cimiteriale e di altri teschi che erano probabilmente oggetto di venerazione per la grande quantità di ex-voto ritrovati per grazia ricevuta.  Ed è qui che si trova un teschio inusuale: Il Teschio con le orecchie: una calotta cranica che per la sua particolare conformazione sembra avere due orecchie ai lati della testa che da sempre ha attirato in passato la povera gente per sussurrare all’orecchio le proprie preghiere, affinché potesse portarle a Dio e fungere da messaggero, come si fa con un amico a cui si affidano segreti e desideri perché possa custodirli.

Oggi la chiesa di Santa Luciella ha perso la sua funzione di luogo di culto e di preghiera, la si può visitare come un piccolo tesoro tutto da scoprire e il teschio con le orecchie accoglie i turisti curiosi di vedere da vicino quello che è considerato la star delle capuzzelle, ma una volta scesi nell’intimo della cripta di questa piccola chiesetta, si è avvolti da un’atmosfera surreale dove sacro e profano si confondono e magari lì tra turisti distratti e frettolosi  potrete scorgere ancora qualche anziana signora che invece di curiosare è lì solo per affidare al teschio la sua accorata preghiera.

Contatti della Chiesa di Santa Luciella
Aperta dal Lunedì al Sabato
dalle 10:00 alle 18:00
Cell: +39 331 420 90 45
Email: respiriamoarte@gmail.com


Ciao, sono Roberta Paparo, guida turistica della Regione Campania dal 2011 e laureata in Conservazione e Restauro dei Beni Culturali. Amo il mio lavoro perché adoro la mia terra e tutto ciò che di bello ha da offrire.
Lavorare come Guida mi dà al possibilità di studiare e scoprire aspetti sempre nuovi ed interessanti del territorio campano, dalle bellezze storico-artistiche a quelle del paesaggio, dalle tradizioni popolari e folkloriche alle leggende e ai miti, rinnovando le mie conoscenze e visitando luoghi diversi ogni giorno.
Inoltre, amo anche l’arte a 360°, dalle arti figurative al teatro, dalla danza alla musica. Proprio per questo, recito  nella compagnia teatrale amatoriale “Gli ardisti” da oltre 20 anni ed ho partecipato a diversi laboratori teatrali che mi hanno aiutata anche nell’approcciarmi in modo diverso rispetto ad una semplice visita guidata, cercando di coinvolgere i turisti in una esperienza che gli permetta di essere protagonisti e non passivi ascoltatori, con la speranza che tornando a casa possano portare con sé un po’ di Napoli nel cuore.

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