Dal mare al mare, camminando sulle falesie
Qualcuno di voi ha mai visto questa foto?

Scommetto che la maggior parte di l’ha già vista su Instagram.
Il buco che raffigura è la grotta dei falsari di Capo Noli, la particolarità geologica ligure forse più postata sui social ed oggi, andiamo a vedere quale contesto nasconde una delle foto più cliccate nelle pagine di escursionismo.
L’itinerario parte dal suggestivo borgo di Noli in provincia di Savona: un pregevole paese di mare con alle spalle un grande retaggio storico. Questo paese, considerato per lungo tempo come la quinta repubblica marinara, vista la sua potenza militare sul mar Ligure come alleata della repubblica di Genova, diede asilo al grande filosofo Giordano Bruno ed al grande Dante Alighieri durante il suo periodo di esilio.
La passeggiata di oggi porta il nome del poeta, infatti, l’itinerario che andremo a seguire viene chiamato “sentiero dantesco”; tale sentiero inizia all’estremità occidentale del paese alle pendici del promontorio di Capo Noli, da una piazza nella quale sorge una chiesta con uno psichedelico bambino raffigurato sulla facciata e tra le casette di un carruggio, ha inizio la mulattiera che si fa strada lungo il versante del promontorio.


Dopo poche decine di metri dall’inizio del cammino, già ci troviamo immersi nella vegetazione e ad indicarci la via, troviamo due facce sorridenti intagliate nel legno di ulivo (Olea europea). La vegetazione che ci circonda è la tipica vegetazione della macchia mediterranea, un tipo di vegetazione che comprende diverse specie persistenti in inverno, per cui durante le calde giornate invernali, sembrerebbe quasi di passeggiare in primavera o in estate.


Poco più avanti troviamo le prime tracce di storia quando ci imbattiamo nelle rovine dell’antico lazzaretto di Noli risalente al X secolo ed utilizzato fino al 1500, come struttura nella quale isolare e curare i malati di peste e di lebbra. La struttura che incontriamo, conserva ben poco di quello che era in origine, infatti rimangono un paio di muri malridotti dell’edificio principale e qualche muretto gravemente danneggiato della cappella adiacente. Nonostante le condizioni in cui versano questi ruderi, trovo questo luogo molto suggestivo e non manco di fargli visita ogni volta che percorro il sentiero dantesco.
Più avanti, in concomitanza di zone a vegetazione rada, la nostra escursione ci regala scorci da cartolina come la vista sull’intero borgo di Noli. Di particolare pregio storico oltre che paesaggistico, sono le mura di Capo Vescovado, il promontorio posto all’estremità opposta del paese. Questo promontorio, un tempo sede del centro abitato è al centro della leggenda secondo la quale il Poeta Dante Alighieri, fu da esso ispirato per la creazione del monte del purgatorio.



Dopo la visita al lazzaretto e contemplazioni di frammenti di passato che ritornano, il sentiero ci porta all’estremità più esposta di Capo Noli dove sorge la chiesa di Santa Margherita. Questa chiesa, fu costruita in stile romanico intorno al X secolo e fu utilizzata come luogo di culto fino al 1600 circa per poi essere via via lasciata in stato di abbandono. Anche qui è doveroso fermarsi per una visita all’interno diroccato della chiesa e per fare qualche foto al panorama. Avremo modo di verificare, proseguendo nell’escursione, come questo sentiero, molto probabilmente sia quello che offre i panorami più belli di tutta la Liguria.




Riprendiamo il cammino imboccando un sentiero che inizia alla sinistra della facciata della chiesa e dopo poche decine di metri ci imbattiamo in un edificio alquanto singolare visto il luogo in cui ci troviamo. Una fatiscente casa in legno soggetta all’incuria delle intemperie e dei vandali sorge in vetta alla falesia tra gli alberi della macchia. Di che si tratta? Dall’aspetto sembrerebbe un chiosco rivierasco costruito in una posizione turisticamente molto improbabile, tuttavia, si tratta dell’eremo del capitano De Albertis, un marinaio ed esploratore ligure vissuto a cavallo tra il 1846 e il 1932. Questo personaggio, fu un instancabile navigatore genovese che prese parte a diversi viaggi attorno al pianeta e che costruì la sua abitazione dove visse dopo il ritiro dalle scene.

Di grande pregio fu il suo contributo alle scienze naturali, infatti, raccolse molti reperti di valore scientifico durante i suoi viaggi; reperti conservati ancora oggi nel museo di storia naturale di Genova, fondato e diretto dal suo amico Giacomo Doria. Costruì questa casa per trascorrere in pace gli anni della pensione coltivando piante esotiche, eredità dei suoi trascorsi da esploratore.
Proseguendo lungo il sentiero che decorre alle spalle della casa ci si congiungerà con un sentiero più ampio dove, ad un certo punto incontreremo un cartello recante le indicazioni per la grotta del falsari; arrivati a questo cartello svolteremo a sinistra lungo un sentiero in discesa che sarà un piacere immenso dover ripercorrere poi in salita, considerando il terreno alquanto scivoloso.


Il sentiero, prima di scendere verso la grotta ci permetterà di giungere ad una balconata dalla quale potremo ammirare immense falesie bianche dominare la costa e dall’altro lato, l’eremo del capitano che abbiamo lasciato poc’anzi. Dopo aver scattato le doverose foto imposte dalla bellezza del paesaggio, scendiamo ulteriormente il sentiero fino a trovarci davanti al buco nella roccia più famoso dei social network.
Scattiamo la foto di rito da postare su Instagram e oltrepassiamo il buco…
Il luogo in cui ci ritroviamo è una bolla d’aria scavata nella roccia, dalla quale cielo e mare dominano la vista.




Vista la popolarità del posto è molto probabile che durante la nostra visita, lì dentro ci siano altre persone assieme a noi, però, se la nostra è una giornata fortunata e riusciamo a visitare la grotta senza altri escursionisti a rompere le scatole, approfittiamone per goderci qualche decina di minuti di meditazione all’interno di questo antro, per nutrire la nostra anima di energia positiva. Ammiriamo lo scenario davanti a noi, perdiamoci in ciò che guardiamo e svuotiamo la mente. Troviamo il nostro darshan qui, dove echeggiano le onde del mare e i canti dei gabbiani.
Rifocillati di vibrazioni positive risaliremo il piccolo ed infame sentiero scivoloso, tornando così sul sentiero principale per poi seguire le indicazioni per il semaforo di Capo Noli, finché ci toccherà imboccare un altro sentiero sulla nostra sinistra. Terminato questo tratto saremo nel punto più alto del promontorio, sul quale vi è costruita una stazione militare.

Da questo punto potremo osservare quello che sarà il nostro punto di arrivo, la torre saracena sul promontorio di Punta Crena. In pratica torneremo al livello del mare dopo essercene allontanati.

Il checkpoint successivo si troverà su un pianoro posto in cima ad una temibile falesia da cui è un attimo volare di sotto in caso di scivolamento ma a noi piacciono i posti pericolosi e quindi ci andiamo di corsa per mangiucchiare lo spuntino di metà percorso.
Giungiamo su questa piana non prima di una breve deviazione che ci porta a visitare la piccola torre delle streghe. Nonostante il nome di questa torre possa richiamare temi esoterici, la torre fu eretta nel XVI sec. come punto di vedetta dei nolesi, per avvistare intrusi provenienti da Varigotti (un tempo città rivale di Noli) che tentavano di sconfinare. La torre fu soprannominata “torre delle streghe” da parte degli abitanti di Varigotti, ad indicare spregevolmente le donne di Noli.




Giungiamo sul pianoro in cima all’abisso per il meritato spuntino e ripensiamo a ciò che abbiamo appena visto. Una moltitudine di oggetti ci ricordano il passato di questo luogo ed è difficile non immaginarci i sentieri che abbiamo appena seguito, popolati da monaci che si recano a messa o al luogo di cura dei malati, capitani in pensione che curano l’orto, guardie cittadine che si recano ai luoghi di vedetta.
Esiste un’altra storia che permea questi luoghi. Una storia molto più antica i cui tratti sono ancora vivi e ben più longevi dell’uomo. La storia naturale del finalese è caratterizzata dal clima spiccatamente mediterraneo che domina la zona e dalla roccia calcarea di colore bianco che si estende per chilometri dal comune di Spotorno fin oltre il comune di Finale Ligure distante da noi qualche chilometro in direzione ovest.
La roccia che biancheggia sulle ripide pareti finalesi è un calcare detto “roccia di Finale”. Questa roccia, autentico paradiso dei free climber, accoglie alcune specie di piante endemiche (che vivono solo qui). Le più note delle quali, sono la campanula di Savona (Campanula sabatia) e la campanula a foglie uguali (Campanula isophylla), piante erbacee con pregevoli fiori.


La vegetazione che domina l’area è quella che compone la macchia mediterranea, un arbusteto di media altezza dal caratteristico odore, tra la quale troviamo specie come il lentisco (Pistacia lentiscus), la strappabraghe (Smilax aspera), il ginepro (Juniperus communis), la ginestra odorosa (Spartium junceum), l’erica arborea (Erica arborea) e l’euphorbia arborea (Euphorbia arborea). A tratti possiamo trovare alberi di corbezzolo (Arbutus unedo) e a dominare tutto ciò, troviamo il pino marittimo ( Pinus pinea). Qua e la non è difficile trovare piante di ulivo (Olea europea), una coltivazione che è parte della storia ligure da centinaia di anni. E’ comune trovarlo sia in zone tutt’ora in uso, sia in zone abbandonate, dove si è mescolato con la vegetazione spontanea.
Non di rado abbiamo anche potuto osservare dei muretti a secco: muri chiamati così per il fatto di essere composti da pietre non “incollate” da alcun tipo di cemento; questi muretti, molto usati in passato, suddividono il terreno acclive tipico della riviera ligure in terrazze pianeggianti sulle quali poter coltivare agevolmente. Qua e la possiamo trovare frammenti di questi muretti abbandonati dove un tempo, al posto dei boschi vi erano terrazze coltivate.
In questa zona, oltre ai più comuni animali, di particolare interesse vi è il colubro lacertino (Malpolon monspessulanus), un serpente che può raggiungere dimensioni ragguardevoli oltre che avere il morso velenoso ma non pericoloso per gli umani. Tali caratteristiche lo rendono un temibile predatore della fauna minore, infatti esso può nutrirsi di piccoli mammiferi, anfibi e rettili che può facilmente deglutire infondendo loro alcune gocce di veleno tramite il suo morso.
In primavera è anche possibile avvistare il biancone (Circaetus gallicus), un rapace migratore che viene a trascorrere i mesi estivi in Europa. Ci troviamo nel bel mezzo di un corridoio migratorio di questo uccello, la cui dieta è composta per lo più da serpenti.
Poco prima del nostro arrivo al borgo di Varigotti, sul sentiero troviamo ancora due siti degni di nota. Il primo di questi è la casa dell’australiano. Se i francesi hanno Henry Charriere (protagonista e autore del romanzo Papillon), noi italiani abbiamo Giuseppe Cerisola soprannominato “Carnera l’australiano” o “uomo dei sette mari”. Un marinaio originario di Varigotti che divise la sua vita tra l’Italia e l’Australia; fu soldato, prigioniero di guerra, marinaio, pescatore, agricoltore, autore di diversi salvataggi in mare ma soprattutto, uomo molto ammirato dalle donne finalesi.

Troviamo il cancelletto della sua storica tenuta tra gli ulivi decorato con motivi marinareschi a ricordo del suo grande passato da navigatore, su cui sono state incise frasi commemorative di eventi passati.
Dopo poche decine di metri ci troviamo ad un bivio al quale possiamo svoltare per visitare la chiesa di San Lorenzo, la chiesa storica per eccellenza di Varigotti risalente ad un periodo altomedievale, un tempo sede di un gruppo di monaci benedettini.

Scendiamo lungo l’ultimo tratto di sentiero ed arriviamo nel primo ed unico lembo di asfalto che incontriamo da diverse ore a questa parte. Scendiamo solo per risalire su di una mulattiera che ci porterà in cima al promontorio di Punta Crena. Le tracce di storia sono ben visibili anche qui, infatti lungo quest’ultimo tratto troviamo costruzioni diroccate, antiche tracce degli antichi insediamenti che un tempo, anziché trovarsi a livello del mare come oggi, si trovavano sulle alture.


La nostra escursione termina con una suggestiva scalinata che porta ai piedi della torre di vedetta, risalente al XVI sec., costruita sulla vetta del promontorio di Punta Crena, in cima ad una falesia alta settanta metri.
Dalla torre possiamo osservare tutto il sentiero che abbiamo appena percorso; un panorama che può tranquillamente competere in bellezza con le falesie di Dover ma che probabilmente possiede un patrimonio storico intrinseco, decisamente superiore.




Con questo splendido paesaggio da cartolina si chiude l’itinerario di oggi. Abbiamo visitato siti dove natura e storia si intrecciano, luoghi di vita di personaggi storici e luoghi di culto religioso (dove abbiamo pensato che forse le persone di un tempo erano molto meno sfaticate di noi, se per raggiungere certi posti di vita comune, dovevano camminare su terreno sconnesso per delle mezzore abbondanti con calzature sicuramente meno tecniche delle nostre).
L’escursione di oggi ci ha portato a scoprire cosa fa da contesto ad una semplice foto che vediamo spesso sui social. Quante cose si possono imparare seguendo un sentiero ed osservando ciò che incontriamo lungo il cammino?
Namastè!
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Ciao a tutti, mi chiamo Matteo, e la natura è sempre stata una parte fondamentale della mia vita. Questa passione mi ha accompagnato durante la mia crescita, finché non è sfociata in determinazione nel volerla trasformare in una professione. Ho frequentato così un percorso universitario a tema ambientale naturalistico che mi ha dato modo di ampliare ed approfondire nel modo migliore le mie conoscenze in materia e, successivamente, spinto dal voler trasmettere le sensazioni che la natura può regalare, sono diventato guida escursionistica. Inoltre, faccio parte dell’associazione Docet Natura e collaboro con ASD La Ventura. Provo un’immensa soddisfazione nel vedere i sorrisi e gli sguardi pieni di meraviglia nelle persone che scoprono la maestosità di piccoli fenomeni naturali, a loro poco prima sconosciuti!