Liguria da scoprire e tutelare: Entroterra del Tigullio 

Al principio era la meraviglia

Aristotele nella Metafisica pone la meraviglia al principio di ogni forma di conoscenza. La scienza ha poi esteso tale principio, ponendo l’accento anche sullo stupore provato al termine di ogni ricerca, quando l’uomo si ritrova di fronte a qualcosa di più grande ed eccitante di quanto avesse previsto. Prende così forma il carattere umanistico della scienza, entro cui lo stupore genera nuove prospettive che dobbiamo sapere e volere accogliere. L’accostarsi alla natura e all’ambiente con stupore e meraviglia risulta imprescindibile se vogliamo rifiutare il ruolo di dominatori e consumatori delle risorse naturali, incapaci di porre un limite ai propri interessi immediati. Quello stupore, a volte intriso di inquietudine e stordimento, innesca il bisogno di conoscenza dei fenomeni che accadono intorno a noi; la conoscenza così acquisita andrebbe sempre convertita in tutela e valorizzazione e non più in mero sfruttamento. 

Forti di questa convinzione ritorniamo in Val Graveglia, nel cuore dello splendido entroterra del Tigullio, tra le province di Genova e La Spezia. L’area è salita recentemente ai “disonori” della cronaca per la decisione del Ministero per la Transizione Ecologica di concedere il permesso per nuove attività di esplorazione a scopo minerario alla Energia Minerals Italia: società registrata in Italia ma interamente controllata dalla società australiana Alta Zinc LTD. La disposizione è giunta come un fulmine a ciel sereno, assunta nonostante il parere negativo della Regione Liguria e l’opposizione delle amministrazioni locali e delle principali associazioni, ambientali e non, attive sul territorio.  

Quest’area dell’Appennino Ligure è stata interessata da attività di ricerca ed estrazione di minerali a partire dalla Preistoria (Età del Rame e del Bronzo). L’attività estrattiva crebbe esponenzialmente a partire dal XVIII secolo. Tra 1850 ed il 1910, i metodi di estrazione migliorarono a tal punto da rendere esplorazione e produzione sistematiche, improntando in modo indelebile le Valli Graveglia, Petronio, Gromolo e Vara, fino alla chiusura dell’ultimo sito produttivo di Libiola negli anni ‘60 del secolo scorso. Negli anni ‘80 vennero comunque avviate campagne di prospezione geofisica e rilevamento geologico per la potenziale ripresa della ricerca mineraria.

Una delle tante cave di materiali inerti in Val Graveglia

A quanto pare molti cullano il desiderio di riprendere tali attività estrattive, incuranti delle ferite che ancora lacerano il territorio e di quanta fatica abbia fatto e stia ancora facendo la comunità a voltare pagina. La Val Graveglia, grazie all’impegno e all’abnegazione della sua gente, è riuscita a ritagliarsi una dimensione nuova mediante la coltivazione e la vendita di prodotti agricoli di assoluta qualità, puntando sulla gastronomia locale e su un territorio agreste integro. La miniera di Gambatesa, oggi museo minerario, rappresenta un ulteriore manifesto degli sforzi profusi nel rilancio della valle a livello turistico e culturale. 

Una nuova vocazione dell’entroterra del Tigullio che necessita di sostegno economico e politico, non certo di anacronistiche derive industriali, per di più calate dall’alto da autorità estranee al territorio, che minacciano gli obiettivi di sostenibilità ambientale e valorizzazione del patrimonio naturalistico e culturale. Al contrario vi è l’assoluto bisogno di scelte coraggiose e lungimiranti quali l’estensione dei confini dell’attuale Parco Regionale dell’Aveto e la definitiva istituzione del vicino Parco Nazionale di Portofino, in grado di apportare nuova linfa ai progetti avviati e una chiara e riconoscibile cornice istituzionale in cui inserirli.

Per scoprire e lasciarsi sopraffare dalla bellezza dei luoghi, è sufficiente percorrere uno dei numerosi itinerari escursionistici che consentono di godere pienamente delle peculiarità naturalistico-culturali del territorio dell’entroterra del Tigullio e in particolare dell’alta Val Graveglia. Inoltre, l’ampia varietà di paesaggi si riflette in una straordinaria produzione gastronomica, da provare facendosi coccolare da una delle tante ottime trattorie della zona.

Anello del Monte Zatta

Percorso ad anello tra i più suggestivi dell’intero Appennino Ligure, ruota intorno alle scoscesi pareti meridionali del massiccio del Monte Zatta, che fanno da testata alla Val Graveglia.

L’itinerario si sviluppa in buona parte all’interno dei confini del Parco Naturale Regionale dell’Aveto ed è pertanto adeguatamente segnalato dalle paline dell’area protetta (sentiero A11), oltre che dai classici segnavia geometrici eredità della F.I.E (Federazione Italiana Escursionisti).

Punto di partenza e arrivo è la piccola frazione di Reppia (546 m), uno dei tanti piccoli insediamenti facenti parte del comune sparso di Né. La piazza centrale è dominata dall’antichissima chiesa parrocchiale di Sant’Apollinare, già citata nel 972 d.C. come parte dei possedimenti dell’abbazia di San Colombano di Bobbio. La chiesa ha subito diversi rifacimenti e ristrutturazioni nel corso della sua storia: l’attuale corpo principale risale molto probabilmente al XV secolo, mentre il campanile è stato aggiunto nel 1892.

Il percorso di salita segue fedelmente il segnavia “due linee rosse”, che da Reppia conduce fino alla punta più occidentale del Monte Zatta risalendo il costolone che separa la Val Graveglia dalla Valle Sturla. Dalla piazza del paesino si imbocca l’antica mulattiera, un tempo unica via di collegamento tra le varie borgate della valle, che scende rapidamente con alcuni tratti scalinati sul letto del Torrente Reppia, facilmente superabile grazie a due brevi e caratteristici ponticelli in pietra.

Antico ponticello in pietra sul torrente Reppia

Superato un breve tratto di rocce e sfasciumi, la mulattiera entra in un incantevole castagneto. Il rumore dei passi si tramuta in piacevole fruscio di foglie; tracce di antichi ruderi e tronchi cedui dalle curiose forme sembrano ricordare con dolore i bei tempi andati della civiltà contadina del castagno, quando l’intera comunità viveva quasi esclusivamente dei prodotti di questo maestoso albero.

La mulattiera sale dolcemente verso il castagneto

Usciti dal castagneto, inizia un tratto che incrocia più volte alcune vie carrabili e taglia in diagonale numerose fasce terrazzate, in buona parte ormai invase dalle vegetazione arbustiva. In breve si giunge così alla rapida scalinata che attraversa il piccolo nucleo abitato di Visagna (701 m). Da qui, procedendo in leggera salita lungo la rotabile tra boschetti e case sparse, si guadagna una selletta sullo spartiacque tra Graveglia e Sturla (754 m), crocevia di diverse stradine e sentieri, tra cui una traccia che parte verso sinistra in direzione delle Miniere di Gambatesa.

L’ardita piramide del Monte Zatta si erge possente alla destra, al culmine di una serie di severi contrafforti che scandiscono la salita lungo il costolone. Il sentiero risulta inizialmente piuttosto scomodo e a tratti infrascato nella macchia mediterranea, ma salendo di quota migliora in virtù di una vegetazione sempre più rada. Accompagnati dalle ultime tracce di antichi muretti a secco, si passa nei pressi di un’umile edicola dedicata alla Madonna dell’Orto (810 m), testimone della vocazione agreste della zona, quindi si prosegue lungamente in diagonale tra arbusti e rocce affioranti.

La copertura vegetazionale appare anonima ad un occhio inesperto, ma in realtà rappresenta uno delle rare formazioni di gariga supra-mediterranea a dominanza di bosso (Buxus sempervirens) dell’intera penisola italiana. Si tratta di comunità arbustive rupicole stabili, perlopiù associate a praterie erbose secche su suoli calcarei superficiali e crinali ventosi. Molto probabilmente, questi significativi nuclei di bosso costituiscono dei relitti piuttosto antichi di una vegetazione più estesa in un periodo risalente a circa 5000 anni fa. È altrettanto probabile che l’attuale distribuzione dipenda anche da attività umane legate alla pastorizia, all’estrazione mineraria, all’uso delle fronde e del legno di bosso come strame, per piccoli utensili o riti religiosi. L’impatto delle attività antropiche ha inevitabilmente impedito l’evoluzione di queste formazioni in querceti a roverella, mantenendo la componente arbustiva.

Il progressivo diradarsi della vegetazione consente di apprezzare il notevole panorama che si apre sulle Valli Sturla e Fontanabuona, sulle città di Chiavari e Lavagna e, all’orizzonte, sulla tavola azzurra del Mar Ligure.

Panorama sulle valli Sturla e Fontanabuona

Sempre mantenendosi alla sinistra dei contrafforti, si aggirano in successione le asperità del Monte Camilla e del Monte Cian, fino a sbucare su una selletta a quota 1092 m, sovrastata da un caratteristico dente roccioso e al cospetto dell’imponente anfiteatro meridionale del Monte Zatta.

Tralasciate a sinistra alcune deviazioni in discesa, si prosegue in ripida salita sul filo di cresta. Impossibile non rimanere sorpresi dall’improvvisa mutazione del paesaggio: il versante orientale rimane ripido e roccioso, mentre quello occidentale comincia a ricoprirsi di una sempre più fitta faggeta. Conviene però non lasciarsi distrarre per affrontare con decisione l’ultimo e impegnativo tratto di ascesa. La traccia si inerpica tra erba e spuntoni e, superati due gradini rocciosi grazie a passaggi attrezzati con staffe e catene metalliche, conquista infine l’ampia cima del Monte Zatta di Ponente (1355 m).

Monte Zatta di Ponente

Il Monte Zatta è una massiccia montagna arenacea che si eleva lungo lo spartiacque principale appenninico, dove corre l’iconica Alta Via dei Monti Liguri. La peculiare cresta sommitale si sviluppa per centinaia di metri e culmina in varie cime: il Monte Zatta di Ponente (1355 m) rappresenta l’estremità occidentale della cresta sommitale; la cima centrale (1371 m) sorge in posizione mediana ed è sormontata da una croce e da un altarino in legno; il Monte Zatta di Levante (1404 m) è la cima principale, e si trova nella zona centro-orientale del crestone. La vera e propria estremità orientale è però costituita dal Monte Prato Pinello (1392 m), importantissimo nodo orografico tra la Val di Vara a sud-est e la Val Graveglia.

Primo tratto della lunga cresta sommitale del Monte Zatta

La cresta sommitale separa due versanti profondamente asimmetrici. Il versante padano segue dolcemente la superficie degli strati arenacei che costituiscono la montagna, e digrada verso la Val di Taro interamente coperta da una fitta faggeta che giunge fin sul filo di cresta. Il versante tirrenico, al contrario, taglia perpendicolarmente gli stessi strati di roccia e precipita vertiginosamente a formare un’imponente bastionata a chiusura della testata della Val Graveglia. La forza di gravità e l’azione erosiva dell’acqua hanno ugualmente contribuito a modellare un versante dirupato e brullo, provocando continue asportazioni di materiale e il conseguente arretramento del versante. Il toponimo “Zatta”, di origini dialettali, significa “scodella” e si riferisce per l’appunto al caratteristico aspetto concavo e scavato del versante meridionale.

Tratto terminale della cresta del Monte Zatta

Conquistata la cresta, se verso nord la faggeta impedisce qualsiasi panoramica velleità, in direzione del mare si apre una splendida vista. Nelle giornate più terse ci si diverte a saltare con lo sguardo tra le cime delle Alpi Apuane, a rifinire il profilo delle isole dell’Arcipelago Toscano e a scorgere all’orizzonte le scogliere della Corsica.

Non resta che percorrere l’intera cresta, prima correndo sul bordo dei lastroni di arenaria che precipitano verso la Val Graveglia, poi addentrandosi tra i faggi per aggirare alcuni dossi e infine camminando lungo il crinale erboso che termina sulla cima del Monte Prato Pinello (1372 m). Qui occorre cambiare alta via: si abbandona infatti l’Alta Via dei Monti Liguri (AVML), diretta alla Colla Craiolo, per piegare verso destra lungo il sentiero dell’Alta Via delle Cinque Terre (AV5T) che termina a Portovenere.

Dal Monte Prato Pinello si scende lungo l’Alta Via delle Cinque Terre

La prima parte della discesa ricalca l’ultimo spezzone di salita, snodandosi pertanto lungo ripide svolte tra erba e rocce affioranti, fino a guadagnare pendenze più dolci. Proseguendo sul versante della Val di Vara, il sentiero alterna passaggi immersi tra faggi di alto fusto a tratti di cresta decisamente più brulla. Raggiunta un’ampia sella (1026 m), il contrafforte cambia ancora una volta aspetto, addolcendosi ulteriormente e caratterizzandosi per la presenza di prati caoticamente invasi da affioramenti di rocce calcaree bianche. Un paesaggio tribolato ma al contempo affascinante, dove, in corrispondenza del Passo del Gatto (1048 m), si incontrano le paline segnaletiche dell’Itinerario Carsologico del Monte Chiappozzo. La comparsa delle tipiche doline è un manifesto altrettanto esplicito del carsismo dell’area.

La zona vanta numerose varietà di rocce: bianchi calcari marnosi, detti a Calpionella, rossi diaspri e oficalciti fratturate dagli antichi movimenti tettonici. Le oficalciti, spesso chiamate impropriamente “marmi rossi” o “marmi verdi” a seconda del loro colore, sono costituite da scuri frammenti di rocce ofiolitiche (in genere serpentiniti) cementati tra loro da vene di calcite bianca. Per il loro valore ornamentale erano estratte in varie località dell’Appennino Ligure, specialmente tra la Val Graveglia e Levanto, ma anche in Val Polcévera e a Varazze, nel comprensorio del Monte Beigua.

Seguendo le indicazioni dell’Itinerario Carsologico, si scende a destra lungo un ampio stradello, prima acciottolato e poi sterrato, che si abbassa con lunghi tornanti sul versante orientale della dorsale e passa nei pressi di una piccola e vecchia cava di oficalciti. L’ampia carrareccia, recentemente risistemata nell’ambito di un progetto di riqualifica ambientale finanziato dal Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale, compie alcuni ampi tornanti e conduce infine all’ampio pianoro erboso dove sorgono i Casoni del Chiappozzo (779 m).

Pianoro pascolivo dei Casoni del Chiappozzo

Si tratta di un caratteristico nucleo di case rurali, costruite in pietra calcarea, poste in un ampio pianoro prativo ai piedi del versante occidentale del Monte Chiappozzo. Le strutture mantengono ancora integre le caratteristiche dell’originario impianto costruttivo, tra cui spicca il tipico tetto in ciappe. I casoni avevano la funzione di ricovero temporaneo per i pastori durante il periodo del pascolo estivo e vennero costruite ravvicinate tra loro proprio per favorire la sorveglianza delle greggi, che vedeva spesso alternarsi i vari pastori in una sorta di regolare turnazione. In prossimità dell’insediamento sono presenti alcune sorgenti di origine carsica, elemento fondamentale per consentire l’utilizzo dell’area. A poche centinaia di metri, risalendo l’alveo del torrente Reppia, è possibile osservare la grotta della “Sorgente della Madonna”, una delle cavità più significative dell’Alta Val Graveglia.

I Casoni del Chiappozzo

Non resta che seguire la sterrata per giungere prima alla frazione di Case Soprane (672 m) e infine, lungo la rotabile asfaltata, fare ritorno alla piazza centrale del paesino di Reppia.

L’itinerario appena descritto è soltanto una delle diverse alternative escursionistiche dell’entroterra del Tigullio. La valorizzazione di simili percorsi deve costituire le fondamenta per il futuro di questo territorio.

Non commettiamo l’errore di pensare che il destino del Tigullio riguardi esclusivamente la popolazione locale. La Val Graveglia è l’ennesimo teatro in cui va in scena una delle tante battaglie apparentemente circoscritte, ma in grado di giocare un ruolo decisivo all’interno dello scacchiere nazionale. Dal successo di chi opera per la tutela e la valorizzazione di identità, tradizioni e realtà locali non dipende solo il futuro di una valle ma la definitiva affermazione di nuove opportunità e modelli alternativi di sviluppo.

Visitiamo insieme l’entroterra del Tigullio e contribuiamo a salvaguardare le sue bellezze, consentendo anche alle generazioni future di potersi meravigliare di fronte ad esse.


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Sono Luca Caviglia, Accompagnatore di Media Montagna iscritto al Collegio delle Guide Alpine della Liguria e membro del gruppo di Accompagnatori e Guide Alpine “Hike&Climb Liguria”.
Nato a Genova nel 1991, mi sono prima laureato in “Scienze Naturali” presso l’Università degli Studi di Genova e successivamente ho conseguito il titolo Magistrale in “Evoluzione del comportamento animale e dell’uomo” presso l’Università degli Studi di Torino, con specializzazione in ricerca e gestione di carnivori e ungulati.
Amo la montagna in tutti i suoi molteplici aspetti e ogni mia escursione vuole essere una tavolozza piena di colori, con cui dipingere insieme ai partecipanti le meraviglie del nostro territorio.

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