Napolitudine, un viaggio dell’anima – Il borgo di San Leucio (CE)

Ferdinandopoli: il re lazzarone e il sogno di una città ideale

La nascita di San Leucio si inscrive in un contesto culturale che vedeva Napoli come una delle più importanti e ferventi capitali europee, un centro artistico e culturale dove circolavano idee illuministe arrivate qui grazie a figure di rilievo nel panorama culturale dell’epoca.

Non possiamo avere certezza se la famosa opera di Tommaso Campanella intitolata “La città del sole”, scritta almeno un secolo prima, abbia avuto una qualche influenza sul re Ferdinando VI di Borbone nella concezione della colonia di San Leucio, ma sicuramente alcuni articoli del codice delle leggi che furono emanate per regolare la vita all’interno del borgo, presentano sicuramente delle affinità con l’opera del frate calabrese.

San Leucio avrebbe dovuto inizialmente chiamarsi Ferdinandopoli, modello di una città ideale, anche se il progetto iniziale non fu mai portato a termine, comunque è innegabile che Ferdinando insieme alle menti di cui si circondò in quegli anni, concepì qualcosa che per l’epoca non aveva ancora trovato riscontro in nessuna città europea.

Un re che è stato ricordato ed è passato alla storia come un uomo rozzo e senza spina dorsale, succube di una moglie dura e austera, un uomo che pensava più ai propri piaceri che ai bisogni del suo popolo, è stato invece capace di concepire un modello unico per quei tempi di gestione economica, legata alla produzione della seta e innovativa anche dal punto di vista di organizzazione industriale: Ferdinando IV di Borbone poi passato alla storia con il nome di Ferdinando I re del regno delle due Sicilie, sperimentò un qualcosa di veramente innovativo.

La colonia di San Leucio, vicino Caserta, prende il nome da una chiesa di origine longobarda.

Il luogo proprietà degli Acquaviva, principi di Caserta i quali vi costruirono un casino di caccia nel XVI secolo, chiamato Belvedere, probabilmente per la posizione panoramica in cui fu costruito, fu acquistato poi dai Borbone insieme a tutto il territorio scelto da Carlo III per la costruzione della maestosa Reggia, i cui lavori iniziarono il 20 gennaio 1752, giorno del compleanno del sovrano.

Per molto tempo il Belvedere fu sede di ristoro dalle amate battute di caccia dei sovrani, finché un giorno proprio durante una di queste battute, vi morì il primogenito di Ferdinando IV, Carlo Tito, erede al trono, e per questo motivo fu abbandonato dal sovrano.

Soltanto in un secondo momento si decise di impiantare nella riserva reale una vera e propria industria, avviando delle scuole di manifattura. Esperimenti del genere o la volontà di insegnare a lavorare la seta erano già state avviati nel regno di Napoli, soprattutto per impiegare gli orfani del regno, come nel Real Albergo dei Poveri o nel complesso di Carminiello ai Mannesi, ma la vera rivoluzione si ebbe con la colonia di San Leucio, sperimentando un sistema produttivo a ciclo completo che andasse dalla coltivazione della pianta da gelso e dall’allevamento del baco fino al prodotto finito, passando per la trattura e la torcitura del filo, la sua tessitura e tintura.

Parallelamente si assistette al riassetto dell’intero complesso la cui sistemazione e ristrutturazione fu affidata all’architetto Francesco Collecini, allievo di Luigi Vanvitelli, il quale avviò i lavori con cui l’antico casino di caccia divenne il corpo centrale avanzato con una corte interna.

San Leucio si trasformò in un edificio multifunzionale dove da un lato, vi erano gli appartamenti reali con camere e salone delle feste e dall’altro, scuola, abitazioni dei coloni e tutti i corpi di fabbrica usati per la lavorazione della seta come i locali per la trattura, la torcitura, la tessitura e la tintura. Lo stesso appartamento reale comunicava con le stanze dei telai.

Successivamente si impiantò un sistema idraulico che collegato direttamente ad un ramo dell’acquedotto Carolino, inizialmente costruito per alimentare le fontane del parco della vicina reggia di Caserta, fu utilizzata l’acqua come forza motrice e furono introdotte macchine nuove che portarono al rivoluzionamento di antichi metodi di lavorazione

Infine furono costruiti i quartieri abitativi per chiamati San Carlo e San Ferdinando.

L’appartamento reale, inizialmente modesto, venne ampliato nel 1800 con nuove costruzioni, fu arricchito da splendidi affreschi e fu provvisto di alcune frivolezze tanto care ai Borbone come il Bagno della regina Maria Carolina, ricavato dalla trasformazione di ambienti di servizio e qui inserita una vasca molto grande di forma ovale in pietra di Mondragone fornita di acqua calda e fredda.

Alle spalle di questo edificio vi era un giardino con fiori di stagione, alberi di agrumi e vigne che seguivano un particolare disegno detto a ventaglio, dove in ogni spicchio si coltivava un diverso tipo di uva.

San Leucio oggi rappresenta una delle più grandi testimonianze di archeologia industriale.

Attraversando il grande portale risalente al 1600, quando la proprietà era ancora dei principi di Acquaviva e dove poi fu aggiunto lo stemma Borbonico, si ha l’impressione che il tempo si sia fermato.

Ai lati del grande arco d’ingresso si susseguono i due quartieri abitativi di San Ferdinando e San Carlo, dove un tempo abitavano gli antichi coloni e oggi dei nuovi abitanti del borgo. Di fronte e in posizione elevata si staglia la facciata della Chiesa di Santa Maria delle Grazie con alle spalle l’edificio reale e tutte le stanze che una volta erano impiegate per la lavorazione della seta e alcuni dei macchinari restaurati ed esposti all’interno del museo.

Ciò che comunque colpisce della storia di questo luogo, oltre alla modernità del sistema di produzione, era anche la gestione della colonia. Lo stesso re Ferdinando nel 1789 emanò un codice di leggi diviso in 5 capitoli e 22 paragrafi, che fece di San Leucio una comunità autonoma, una sorta di stato nello stato.

San Leucio era una colonia reale e come tale protetta giuridicamente e finanziata dallo stato che godeva di privilegi e attenzioni da parte del sovrano. Per le leggi Leuciane si è parlato di una sorta di socialismo ante litteram, poiché la vita all’interno della comunità si basava su un ideale di uguaglianza, parità tra i sessi, uniformità e semplicità nel vestire, abolizione di ogni distinzione sociale, istruzione scolastica obbligatoria per maschi e femmine, assistenza sanitaria.

Importante era che ci si sposasse tra abitanti del borgo per non disperdere il sapere e mantenere sempre attiva la produzione della seta. I matrimoni avvenivano un giorno all’anno ovvero il giorno di pentecoste e nella chiesa parrocchiale e solo se avessero raggiunto 16 anni di età le ragazze e 20 i ragazzi.

Il sovrano si faceva carico di provvedere alla casa per i giovani sposi che sceglievano di restare nel borgo.

Ovviamente le vicende politiche che si avvicendarono nel regno di Napoli come, la rivoluzione partenopea del 1799; la conquista da parte di Napoleone Bonaparte nel 1806 e alla fine la fine del regno borbonico nel 1861 portarono alla fine di questo sogno industriale. E’ importante ricordare che oggi a San Leucio esistono ancora piccole realtà di produzione della seta e che i meravigliosi tessuti che furono realizzate qui, oltre a decorare le pareti e i mobili delle residenze borboniche, molte delle quali restaurate dopo la seconda guerra mondiale, si possono trovare nel Vaticano, nella Casa Bianca e a Buckingham Palace.

Per informazioni su costi e orari di visita consultare il sito www.sanleucio.it


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Ciao, sono Roberta Paparo, guida turistica della Regione Campania dal 2011 e laureata in Conservazione e Restauro dei Beni Culturali. Amo il mio lavoro perché adoro la mia terra e tutto ciò che di bello ha da offrire.
Lavorare come Guida mi dà al possibilità di studiare e scoprire aspetti sempre nuovi ed interessanti del territorio campano, dalle bellezze storico-artistiche a quelle del paesaggio, dalle tradizioni popolari e folkloriche alle leggende e ai miti, rinnovando le mie conoscenze e visitando luoghi diversi ogni giorno.
Inoltre, amo anche l’arte a 360°, dalle arti figurative al teatro, dalla danza alla musica. Proprio per questo, recito  nella compagnia teatrale amatoriale “Gli ardisti” da oltre 20 anni ed ho partecipato a diversi laboratori teatrali che mi hanno aiutata anche nell’approcciarmi in modo diverso rispetto ad una semplice visita guidata, cercando di coinvolgere i turisti in una esperienza che gli permetta di essere protagonisti e non passivi ascoltatori, con la speranza che tornando a casa possano portare con sé un po’ di Napoli nel cuore.

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