Un viaggio tra arte, tradizione, storia e fede
I fratelli Faustino e Giovita, patroni della Diocesi di Brescia, si festeggiano il 15 febbraio con numerose manifestazioni religiose, civili e una storica e famosa fiera popolare.
Si è andata consolidando negli anni infatti, una tradizione: la domenica che precede la festa dei Santi Patroni, il parroco di San Faustino, raggiunge palazzo Loggia per consegnare al sindaco il “capèl” (cappello).

È il “galero rosso”, simbolo di protezione e di fede ma nel contempo anche il simbolo che testimonia la benevolenza dei Santi Patroni, per la città di Brescia. La cerimonia simboleggia il rinnovo del patto tra autorità civili e religiose. Questo rito affonda le sue origini nel Medioevo quando proprio in occasione della ricorrenza della festa, l’abate del monastero di S. Faustino si recava in Comune per consegnare ai rettori un berretto simbolo appunto di protezione e nel contempo segno di accoglimento della supplica da parte di tutti i Bresciani.
Dal 2011, l’omonima confraternita, oggi Associazione culturale, promuove in loro onore i festeggiamenti diffusi anche in numerosi paesi della provincia. La loro vita viene ricostruita dalla “legenda maior” attribuita a Giovanni presbitero, un sacerdote milanese, con l’aggiunta di diversi elementi leggendari.
Grazie a essa, sappiamo che i due fratelli erano figli di una nobile famiglia pagana di Brescia. Una volta entrati nell’ordine equestre, diventano entrambi cavalieri.
Da un punto di vista storico, sappiamo che i due fratelli, vennero battezzati dal Vescovo Apollonio e una volta convertiti al cristianesimo, sono tra i primi evangelizzatori nel bresciano. Apollonio ordinerà Faustino presbitero e Giovita diacono.
L’episodio del loro battesimo lo troviamo rappresentato nell’arca di S. Apollonio, conservata nel Duomo Nuovo di Brescia. Muoiono martiri al tempo dell’imperatore Adriano, tra il 120 e il 134. La loro attività di predicazione in una Brescia pagana li espone all’odio al punto che Italico, governatore della Rezia, viene esortato a eliminarli. Con il pretesto di mantenere l’ordine pubblico, si fanno osservare le direttive imperiali di Traiano che intanto aveva ordinato l’inizio della terza tremenda persecuzione: la diffusione del Cristianesimo era temuta dai pagani soprattutto se promossa negli ambienti di elevata posizione civile e militare.



Con la morte di Traiano, promotore della persecuzione, il governatore approfitta della visita a Milano di Adriano, per denunciare i due fratelli predicatori, come nemici della religione pagana. A entrambi viene richiesto di rinnegare la religione cristiana : lo stesso Adriano chiede loro l’atto di devozione al sole: l’ara sacrificale di questa divinità è oggi conservata nel complesso museale della città: Santa Giulia. Al loro rifiuto, si spalancano le porte del carcere. Durante la loro prigionia a Milano, segnata da tremende e incessanti torture, la tradizione racconta di diversi eventi miracolosi come per esempio la loro prodigiosa uscita dal carcere per l’incontro e il battesimo di S. Sepolcro. Si racconta inoltre che durante il loro viaggio in nave alla volta di Napoli, Faustino e Giovita placarono una tempesta.
Venne loro inoltre inflitta per spregio e umiliazione alla qualifica di cavalieri, il supplizio dell’eculeo, macchina di sofferenza simile a un cavallo e usata per disarticolare le membra.
A Brescia, sulla strada verso Cremona, verranno decapitati. Su quel luogo verrà eretta la basilica di San Faustino ad sanguinem, oggi S. Angela Merici: qui si trovava il cimitero di S. Latino, fuori dalle mura della città. Il loro martirio, nel contempo, portò numerosi pagani a convertirsi tra essi anche Afra, la moglie di Italico.

Il loro culto si diffuse a partire dall’VIII secolo e contemporaneamente si sviluppa anche una vasta iconografia. Vengono ritratti come sacerdoti: San Faustino come presbitero compare con la pianeta, Giovita come diacono, con la dalmatica. Vengono però rappresentati anche come guerrieri: vestono abiti militari romani impugnando con una mano la spada, con l’altra la palma del martirio. Li troviamo su dipinti, affreschi, pale e perfino monete, coniate nella seconda metà del XIII secolo dove compaiono con un libro in mano. Moretto li ha rappresentati in quelle che erano le ante d’organo eseguite per il Duomo Vecchio di Brescia tra il 1515-1518 oggi a Lovere, uno dei borghi più belli d’Italia che si affaccia sulla sponda bergamasca del Sebino.

I Longobardi, una volta convertiti al Cristianesimo diffusero la devozione in tutta Italia in modo particolare a Viterbo. Vi è un legame particolare con l’Abbazia di Montecassino: nel 577 i Longobardi la riducono in rovina ma nel 717 grazie a un nobile bresciano, Petronace su incarico di Gregorio II , viene riportata agli antichi splendori.
Brescia lega il culto dei santi al monastero benedettino di S. Faustino Maggiore dove per volontà del Vescovo Ramperto, vengono qui traslate le reliquie dando appunto il nome al monastero stesso ( oggi sede di facoltà di Economia ). Le loro reliquie si trovano nella Basilica a loro dedicata.

L’ufficializzazione e il rafforzamento del loro culto iniziano nel corso del Quattrocento favorito anche grazie all’iconografia che li vuole soldati e guerrieri. Brescia confermò con maggior forza il patronato dopo la prodigiosa apparizione dei due santi sulle mura della città, nel corso dei decisivi combattimenti che portarono i milanesi a levare un feroce assedio, il 13 dicembre 1438. In questo giorno si racconta di una loro apparizione sulle mura della città: i due uomini respingevano le cannonate a mani nude. Questo evento ha quindi elevato i due santi a protettori della città. L’affresco si trova sulla parete sinistra del presbiterio della Chiesa a loro dedicata e raffigura il miracolo avvenuto nel 1438.
Lungo la strada che porta al Castello, si trova un monumento a loro dedicato dove i due santi sono vestiti da cavalieri e questa loro rappresentazione li consacra santi guerrieri pronti a difendere e salvare la città. Si vede l’epigrafe che fa riferimento alla loro apparizione durante la battaglia finale die Bresciani contro Niccolò Piccinino: solo l’esercito assediante li avrebbe visti.
La fiera di S. Faustino che dovrebbe tornare ad animare il prossimo anno la città, ha un suo dolce tipico. Si chiama “tirapicio”.
Le bancarelle sono piene di queste stringhe elicoidali di caramello aromatizzate alla liquirizia. Il significato di questo dolce che può essere chiamato anche “tiramolla”, troverebbe questa spiegazione: il caramello per essere reso morbido deve essere fuso, mentre una serie di impasti e tiraggi creeranno quello strato che verrà arrotolato prima che si indurisca. La parola picio starebbe ad indicare una persona incapace: durante la lavorazione di questo dolce il padrone per la riuscita del lavoro potrebbe aver esortato i suoi collaboratori a tirare l’impasto con maggior vigore dicendo “tira, picio!” e il nome è rimasto.
La fiera patronale di Brescia identifica la città: il 2023 dovrebbe essere l’anno della ripartenza di questo evento che unisce arte, fede, storia e tradizione!
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Sono Vanessa Marcolla, guida turistica abilitata per la lingua tedesca, iscritta con l’Associazione Arnaldo da Brescia, fondata nel 1986, la più attiva e conosciuta in città e provincia. Il mio ambito di lavoro è la città di Brescia, la sua provincia con i laghi (Iseo e Garda), la Franciacorta – rinomata terra di vini e patria indiscussa del Bollicine Franciacorta – e la Valle Camonica.
E’ in questa valle che risiedo da più di 20 anni: ho imparato ad amarla e apprezzarla, per la sua storia, legata soprattutto alle incisioni rupestri (Patrimonio UNESCO dal 1979), i suoi borghi, i suoi paesaggi montani.
Brescia, “La leonessa d’Italia” è la città che amo, ricca di storia, colpisce il visitatore per il bianco latteo del suo marmo di Botticino. Esso caratterizza chiese e palazzi. Al visitatore attento non sfugge il vicoletto nascosto, un particolare portale, un affresco che il tempo ancora non si è portato via.
Vi farò conoscere arte e storia, il buon cibo e il “saper bere bene”. Vi aspetto!