Oltre i confini della routine – La Via Marenca – Parte 4

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Ho trascorso questa ultima notte contemplando qualcosa che, a causa di varie vicissitudini, è diventato per me molto raro nel corso degli anni. Imparare a udire e familiarizzare con il silenzio e il buio è qualcosa di strano se vivi nel mezzo della Pianura Padana, anche se ai lati di una città a misura d’uomo, comunque lontano dal frenetico rumore di un grande centro. Subito si resta spiazzati, quasi impauriti. A farmi compagnia sono solo i rumori della campagna, un gatto che cerca ripetutamente di entrare in cucina e la luce della civiltà che ha deciso di popolare l’area a ridosso del mare, lontano da qui, in un posto per certi versi più accogliente del luogo in cui mi trovo adesso. Non per questo però, più affascinante.

Il senso della contemplazione

Davanti alla tavola imbandita da quanto preparato da Matteo, di fronte alla stufa accesa, contemplo la bellezza di questo momento. La solitudine qui non è un problema, è semmai una forma di riconciliazione con sé stessi e una forma di preparazione per quanto ancora devo vivere. Ne assaporo ogni istante, come faccio con ogni cosa presente sulla tavola. Persino troppe, tanto da non riuscire, a malincuore, a finirle. Prima di andare via, il mattino seguente, cerco di riordinare tutto com’era quando Matteo mi ha salutato. Lavo e pulisco tutto ciò che ho sporcato, ripongo con cura quello che non ho finito, sperando che qualcuno possa ancora goderne. Lascio un biglietto sul tavolo: “avete costruito qualcosa di speciale, grazie!”.

Mi dirigo verso la sorgente poco sotto le case in pietra, so che oggi avrò bisogno di tanta acqua: il cammino è lungo, l’itinerario tutto in crinale, lontano dall’ombra degli alberi, la giornata è calda. Sicuramente non sarà una semplice passeggiata. Prima di andare via, butto nuovamente lo sguardo verso l’orizzonte. Quelle forme che da giorni sembravano lontane e confuse ora assumono una linea più chiara nella mia testa e tutto torna ordinato: il Monte Faudo, punto di riferimento di ogni mia giornata in età adolescenziale, è giusto qui davanti, una sorta di limite tra ciò che ho vissuto e ciò che mi aspetta, la porta d’ingresso al mare. Risalgo la via che porta alla strada principale e inizio il mio ultimo giorno di Via Marenca. Quello che è stato e sarà per tutto il giorno: una continua opera di contemplazione.

Verso il mare

Ieri avevo abbandonato, per un momento, le tracce della Marenca per raggiungere questo splendido luogo di ristoro nel cuore dell’alta Valle Argentina. Oggi inizio sulla strada asfaltata che porta a Passo Teglia, dove riprenderò il sentiero abbandonato ieri, per puntare dritto al mare.   

La giornata è stupenda, non una nuvola in cielo. Man mano che procedo, davanti a me si apre inconfondibile il profilo del mare, alle spalle tornano ad emergere le vette percorse nei giorni scorsi, quasi a seguire il mio tragitto per assicurarsi che io raggiunga davvero il mare. Riprendo il sentiero carico di gioia e voglia di arrivare, di compiere finalmente ciò che da anni desidero portare a termine.          

Il passo è veloce, cerco di accorciare le distanze. Il primo incontro è quello con un cacciatore ed il suo cane, poco dopo la mia partenza: “dove vai?”, “a Imperia”, “e da dove sei partito?”, “da Limone, due giorni fa”. Un momento di silenzio, poi l’esclamazione che mi fa comprendere che ormai sono alle porte di casa: “belin ma tu sei matto”, intonato con quel classico accento che ci contraddistingue, una sorta di cantilena che riesce a rimarcare perfettamente lo stupore e l’incredulità, facendo perdere senso al significato letterale delle parole, quasi superflue, sovrastate dalle note di questa musica. Lo saluto e procedo in direzione Monte Grande, il nostro terrazzo sulla Liguria di ponente, la vetta che vedi dalla costa e che segna nitidamente il confine tra le Alpi e il mare: da un lato una tavola azzurra e luccicante al picchiare del sole, dall’altro il profilo inconfondibile di vette che dividono province, regioni, stati. 

Il mare è là davanti, ora inizia la discesa verso casa.

Imperia e il mare

Passo Monte Grande e raggiungo Colle d’Oggia, luogo caro per mille motivi. Un continuo saliscendi mi porta fino al Passo della Valle, segnato solo sulle mappe e nella testa di chi conosce questi luoghi. Qua le tracce dei sentieri si perdono, mischiandosi a percorsi tracciati dagli animali o dai pastori. Non un segno per terra, non una freccia: è solo orientamento e conoscenza. Dal Passo della Valle, camminando sul crinale, sporgo la testa verso fondovalle. Eccola lì, casa mia! Dolcedo e la Val Prino sono davanti a me, sto tornando a casa come ho sempre desiderato, a piedi, sulle orme della Via Marenca. Scorgo, inconfondibile, il profilo dei borghi che compongono la mia valle: Villatalla, Tavole, Valloria un po’ nascosta. E poi ancora Molini e laggiù, in fondo, Dolcedo con il suo inconfondibile campanile. Sta suonando la mezza, mi fermo, e lascio che il suono delle campane in lontananza mi faccia compagnia. Se girassi a destra, a questo bivio immaginario, potrei raggiungere Dolcedo in poco più di due ore. Ma il mio obbiettivo è più in là, è il mare, distante ancora un po’ di più.        

Dal Passo della Valle muovo verso il Monte Acquarone, lungo un bellissimo crinale che divide la Val Prino dalla Valle Impero. Tra pascoli affacciati sul mare e caselle costruite un tempo dai pastori, raggiungo la piccola cappella ai piedi del Monte Acquarone. Mi fermo per pranzo. Le energie scarseggiano, così come l’acqua e il cibo avanzato. Il caldo è davvero un fattore oggi.              

Dopo pranzo riparto, il mare dista davvero pochi chilometri. Eppure, il caldo mi sta rallentando e “discesa”, in gergo escursionistico, non sempre è sinonimo di semplicità, soprattutto dopo 3 giorni di cammino. Arrivato alle porte di Imperia ho finito l’acqua. Manca ancora una manciata di chilometri, ma sento che senza sarebbe davvero difficile arrivare. All’altezza dell’ultimo tratto mi avvicino al terreno di una casa, un signore anziano sta lavorando la terra. Mi vede arrivare e, senza che io possa nemmeno dire una parola, mi chiede: “hai bisogno di acqua?”, “grazie, sarebbe davvero molto gentile”. Si allontana e dopo pochi secondi torna con una bottiglia piena, porgendomela al di là della recinzione. “Da dove arrivi?”, “da Limone”, “allora hai fatto la Marenca?”, “esatto”. Gli occhi gli riempiono di gioia, quasi non avesse mai visto un escursionista prima: “bellissima, l’ho fatta tanti anni fa”. I suoi racconti proseguono e mi consentono di bere e riposare, ascoltando storie di straordinarie esperienze vissute sulle Alpi Marittime ormai anni fa. Dopo mezz’ora abbondante mi saluta e mi lascia ai miei ultimi chilometri. Mi sento rinfrancato, pieno di nuove energie e sono pronto all’ultimo tratto.              

Arrivo ai Bardellini, il colle che divide Imperia in due, e subito eccola ai miei piedi: Oneglia e il suo porto da un lato, Porto Maurizio e il suo centro storico arroccato dall’altro. Sono arrivato!              

L’ultimo tratto, difficile per la fatica accumulata e gli scalini che si susseguono, è il completamento di un sogno che ho cullato per anni: compiere la Marenca da Limone a Imperia, fino a mettere i piedi in acqua.

Prima mi fermo nel mio bar di fiducia, tre pezzi di focaccia appena fatta, prima di andare in spiaggia, posare per l’ultima volta lo zaino a terra, slacciare gli scarponi e entrare in acqua. Stanco ma contento come poche altre volte.

La Via Marenca finisce qui. Un cammino unico, senza paragoni, dal fascino straordinario. Mare e montagna, natura e civiltà, storia e cultura. Di una terra che ha saputo valorizzare le proprie differenze, senza che mai queste potessero essere un limite. Piuttosto, un continuo susseguirsi di cose da ammirare e contemplare.


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Sono Paolo, guida e vagabondo pieno di sogni e speranze. Non ho un’unica origine e la natura, in ogni sua sfaccettatura, è il luogo dove mi sento più a mio agio. La mia casa è ovunque e da nessuna parte, conseguenza di una vita trascorsa in posti diversi: l’Emilia, la mia terra natale; la Liguria, la mia casa; la Sicilia, a cui una buona parte delle mie origini è legata; l’Alto Adige, le cui montagne mi hanno catturato influenzando molte delle mie scelte. Tra cui quella più recente e forse più importante: diventare una guida. Perché come ogni buon vagabondo e chiacchierone, ho un sacco di cose che vorrei condividere e raccontare. Venite con me?!

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