Quei ritratti che spogliano l’anima

Quando conoscerò la tua anima, dipingerò i tuoi occhi.
A. Modigliani
Questo scriveva Amedeo Modigliani a proposito dei suoi ritratti. In effetti, tutti coloro che avevano posato per lui dicevano che essere ritratti da Modi (un soprannome datogli dagli amici) era come «farsi spogliare l’anima». Spesso, però, il pittore non era in grado di vedere appieno l’anima di chi stava posando: il risultato di tale mancanza sono gli occhi vuoti e vitrei di alcuni ritratti, come quello del noto collezionista d’arte, Paul Guillaume. In questo dipinto del 1916 del Museo del Novecento, Modigliani raffigura l’amico con un solo occhio, il motivo lo spiega lui stesso con queste parole:
Perché con uno tu guardi il mondo, con l’altro guardi in te stesso.
A. Modigliani
Amedeo Modigliani visse a lungo a Parigi, nella capitale della avanguardie (fino al 1920, l’anno della sua morte), senza però aver realmente sfondato come artista. Il suo stile era troppo anticonvenzionale, la sua salute instabile era già minata dalla tubercolosi, il suo stile di vita troppo eccessivo. Sebbene provenga da una famiglia livornese che lo sostiene finanziariamente, la sua situazione continua a peggiorare: insomma, incarnava il cliché dell’artista bohémien per eccellenza.
Impossibile da incasellare in categoria alcuna, Modigliani divenne particolarmente famoso per i ritratti che realizzava ad amici e conoscenti: erano veloci, originali e ammaglianti, e non hanno precedenti nella storia dell’arte.
In uno di questi è ritratta Beatrice Hastings, una poetessa e giornalista inglese, inviata nella città per scrivere degli scandali e dei vizi della scena artistica parigina. Amedeo la conobbe quando era poco più che trentenne. Il loro primo incontro nell’estate del 1914 fu disastroso. Beatrice lo ricorda con queste parole: «un personaggio complesso, un vero maiale e un miscuglio di… hashish e brandy. Per niente interessante. Era brutto, selvaggio e avido», per poi continuare: «L’ho incontrato di nuovo al Café Rotonde, era rasato, affascinante. Con un gesto gentile, sollevò il berretto, arrossì e mi chiese di andare a vedere i suoi lavori». È probabile che l’artista fin da subito fosse stato sedotto dal fascino di questa “poetessa inglese” e in poche settimane il loro rapporto sfociò in un’intensa storia d’amore, che a causa delle loro rispettive personalità, divenne presto nociva.
Beatrice, “Bice” come la chiamava Modigliani, fu la prima, e forse una delle più importanti muse dell’artista: fra il 1914 e il 1916 l’artista la ritrasse diverse volte. È proprio dipingendo il suo volto che Amedeo tornò alla pittura, un’attività che aveva per qualche tempo abbandonato per dedicarsi alla scultura.
Ma presto il lato burrascoso del rapporto tra Beatrice Hastings e Modigliani prese il sopravvento. L’eccessivo consumo di alcool e oppio dell’artista e le loro continue litigate furono i motivi che li separarono definitivamente nell’estate del 1916, dopo quasi due anni di relazione. Modigliani trovò poi il suo ultimo ma tragico grande amore in Jeanne Hébuterne; mentre Beatrice tornò a Londra, e rimasta sola e senza un soldo, si suicidò nel 1943.

Torniamo un attimo a Paul Guillaume. Sappiamo il suo nome grazie all’iscrizione, con tanto di data, sulla parete di fondo. Nel ritratto è seduto e appoggiato allo schienale di una sedia. La posa dipende da una serie di fotografie scattare tra il 1915 e il 1916 nello studio che Guillaume aveva affittato per Modigliani. I colori sono densi, scuri e compatti. A costruire la figura ci pensano i contorni, le linee.
Il volto di Beatrice Hastings ritratto nel 1915 è invece ripreso frontalmente, quasi in una sorta di formato fototessera. Qui ricorrono ancora di più gli elementi caratteristici e inconfondibili del suo stile pittorico: il viso allungato, la bocca piccola e stretta, gli occhi simmetrici. Modigliani riprende alcuni spunti da Cézanne amalgamandoli con il sintetismo e la semplificazione formale dell’arte primitiva. Anche in questo caso, il volto di Beatrice, incorniciato dai corti capelli corvini, presenta, come nelle sculture arcaiche, occhi privi di pupille. Il pittore disdegnava infatti l’introspezione psicologica e l’esibizione dei sentimenti, demandando l’analisi del carattere all’espressività “parlante” dei corpi e delle fisionomie.



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Alice Brivio
Una prima laurea in Scienze dei Beni culturali e una specializzazione in Storia e critica dell’arte. Convinta aspirante insegnante, milanese di nascita, amante di tutto ciò che è artistico!
La rubrica “Finestre sull’arte” nasce per raccontare e condividere con voi ciò che conosco su opere, artisti e correnti artistiche, raccontandole in brevi articoli di pochi minuti, come se fossero delle vere e proprie pillole da assumere una volta al giorno. Perciò, se siete interessati ad approfondire la vostra conoscenza su questi temi, date un’occhiata ai miei articoli sul blog!