“Nos trois perles”: è così che il Sindaco di Aymavilles ama definire i preziosi beni culturali situati all’imbocco della Valle di Cogne, ossia il Castello di Aymavilles, il complesso monumentale di Saint-Léger e il ponte-acquedotto romano di Pont d’Aël che, unitamente al patrimonio naturalistico e ai prodotti del territorio, contribuiscono a dare un senso di identità alla comunità. Andiamo a scoprire di cosa si tratta.
Il meraviglioso Castello di Aymavilles
“Questo castello appartiene a me e a coloro che mi succederanno”: è questo il messaggio in tedesco che accoglie il pubblico al portone d’ingresso del Castello di Aymavilles, unico nel suo genere, distinto nel suo aspetto esteriore da fasi medievali e barocche, frutto delle iniziative architettoniche dei diversi membri della famiglia Challant che nel corso dei secoli hanno adattato l’edificio alle esigenze e ai gusti più in voga.


La prima citazione di una casaforte cinta da mura risale al 1207, all’epoca dei signori De Amavilla, e a partire dal XIV secolo, con il passaggio agli Challant, cominciarono le prime importanti trasformazioni: nel Quattrocento venne arricchito dalle 4 torri angolari, da una doppia cinta muraria e dalla costruzione dell’ultimo piano mentre, durante la grande campagna costruttiva di Joseph-Félix de Challant avviata tra il 1713 e il 1728, gli spazi compresi tra le torri vennero impreziositi dalle logge, eleganti decorazioni a stucco e altri elementi tardo-barocchi. Nel corso dei secoli XIX e XX il castello subì numerosi rimaneggiamenti interni, legati al suo utilizzo dapprima come casa museo per volontà dell’ultimo discendente della casata, il conte Vittorio Cacherano Osasco della Rocca Challant, e in seguito per le villeggiature estive da parte di famiglie piemontesi e liguri.

È un sito culturale dalla doppia anima: da un lato una dimora leggibile nelle sue fasi edilizie e dall’altro un museo con 18 sale espositive disposte su 4 livelli, 2 dei quali dedicati alla collezione dell’Académie Saint-Anselme: attraverso la visita guidata e le installazioni multimediali si possono scoprire la storia e le fasi salienti della trasformazione del maniero legate alle diverse famiglie che lo abitarono. Al primo livello vengono illustrate le vicende degli Challant e dei Bombrini, industriali di origine genovese che nel 1857 acquistarono il castello per 50 mila lire: la Regione autonoma Valle d’Aosta nel 1970 lo pagò 60 milioni.
Le porte delle sale sono impreziosite da originali decorazioni risalenti agli anni Trenta e Quaranta del XIX secolo, come Napoleone in esilio a Sant’Elena o il ricorrente e misterioso uroboro, il serpente che si morde la coda. Al secondo piano trova spazio il collezionismo ottocentesco: dal momento che le opere del conte sono andate perdute e volendo restituire alla dimora l’atmosfera di casa museo come doveva essere nell’Ottocento, la collezione dell’Académie – fondata nel 1855 dall’allora priore della Collegiata di Sant’Orso Jean-Antoine Gal – ha rappresentato la soluzione ideale per l’allestimento delle sale con alcuni tra i reperti più pregiati, come lo splendido bassorilievo del 1440 in alabastro gessoso di Santa Caterina d’Alessandria realizzato dalla bottega di Stefano Mossettaz, lo scultore più importante del Quattrocento valdostano.



Le apparentemente bizzarre decorazioni parietali della stanza delle sfingi e il revival egizio creano un ulteriore legame con la sezione “terre lontane” dove sono esposti piccoli oggetti esotici in un intreccio di coeve passioni collezionistiche pienamente coerenti con i gusti e la spiccata curiosità culturale del committente, il conte Vittorio Cacherano, il cui ritratto ad opera del pittore locale Jean-Laurent Grange del 1857 è visibile nel salone.

È anche presente una sezione dedicata alla numismatica con oltre 2.300 esemplari, tra monete e medaglie, in gran parte di provenienza valdostana, e una toilette del tutto particolare (chiedete se è possibile dare un’occhiata). Al terzo livello si possono ammirare le sale contenenti altri oggetti della collezione dell’Académie, come armi, mobili e mirabilia, e quella di Madama Giovane – al secolo Giuseppina Allegroni, dama di compagnia di Teresa di Challant e sposa del figlio Vittorio dopo la sua morte – unica stanza a ricreare in maniera realistica un arredo dell’epoca: il letto a baldacchino è stato infatti riprodotto sulla base della fattura del 1838 di un tappezziere torinese. L’ultimo piano illustra le fasi architettoniche e costruttive del castello grazie ai modelli lignei suddivisi per secoli e i filmati che mostrano i cambiamenti strutturali in un viaggio a ritroso nel tempo: qui è possibile ammirare la meravigliosa carpenteria lignea del Quattrocento, perfettamente conservata, che con i suoi 367 pezzi di legno sostiene il tetto. La torre nord, infine, ospita la sala didattica con un tavolo touch screen con gli approfondimenti sui restauri, sugli scavi archeologici e sul paesaggio circostante, ricordando anche la colonia di pipistrelli che vi ha trovato rifugio negli anni passati.
Il parco esterno è parte integrante del complesso architettonico e comprende la vasca centrale con la fontana, la serra, la grandze e le scuderie, edifici di servizio un tempo utilizzati per le attività agricole e per il ricovero dei cavalli, dove ora trova posto la biglietteria.

Dopo lunghissimi anni di chiusura per restauro, da metà maggio 2022 il Castello di Aymavilles è finalmente aperto al pubblico, andando ad arricchire l’offerta culturale della regione: per prenotare l’ingresso è necessario selezionare la data e l’orario sul sito https://www.midaticket.it/eventi/chateau-daymavilles.
La Chiesa e la cripta di Saint-Léger

Il complesso monumentale di Saint-Léger, che comprende la chiesa attuale costruita intorno al 1762, la cripta sottostante e un vano ad essa adiacente, riassume in poco spazio un lungo viaggio nel tempo che inizia in epoca romana, verosimilmente nel I secolo d.C. e finisce alle soglie della contemporaneità.
Le vicende del sito si inscrivono in quelle del territorio circostante: una villa romana, con possibili strutture termali, doveva infatti sorgere in questo luogo in un periodo non lontano dal 3 a.C., anno di costruzione del ponte-acquedotto di Pont-d’Aël e, in una fase successiva fu costruito probabilmente il monastero benedettino di cui parla la tradizione orale.
Nel campanile, dalla forma quadrata in pietra a vista risalente al XV-XVI secolo, risuona la più antica campana datata della Valle d’Aosta risalente al 1372, come riportato sull’iscrizione “Ave Maria gratia plena, Dominus tecum. A.D. MCCCLXXII”. Si tratta quindi di un sito dal valore millenario che ancora oggi riesce ad emozionare i visitatori e i passanti a partire dalla sua facciata che non passa di certo inosservata poiché interamente affrescata con la tecnica del trompe-l’œil, in grado di suscitare l’illusione della tridimensionalità: al centro è rappresentato il martirio di San Leodegario (Léger) con ai lati i santi Giuseppe, Germano, Grato e Leonardo, eseguito dal sopracitato pittore Jean-Laurent Grange.
All’interno, invece, la chiesa presenta un’unica navata con volte a crociera ornate da una luminosa e ricca decorazione pittorica ad opera del medesimo artista risalente agli anni 1856-1857. La chiesa è aperta e visitabile ogni domenica durante i mesi estivi grazie all’impegno di un gruppo di volontari che si rendono disponibili per effettuare visite guidate.

La cripta, databile nella sua parte originaria all’Alto Medioevo e forse all’VIII secolo, si può classificare come una delle più antiche della regione e rappresenta un vero e proprio tesoro ancora ben preservato e poco conosciuto. Le 2 navate sono separate da pilastri in pietra che sostengono le volte tramite archi a tutto sesto mentre l’abside è semicircolare. Aperta al pubblico dal 2017, è stata dichiarata uno dei beni religiosi più rilevanti dell’alta Valle in seguito agli approfondimenti effettuati durante le recenti campagne di scavo archeologico.
Ma gli aneddoti non finiscono qui poiché recentemente lo storico dell’arte valdostano Patrik Perret ha svelato un segreto celato nella facciata della chiesa: “Per tutti questi anni nessuno se n’era mai accorto e per pura fatalità, mentre registravo una puntata di un programma televisivo, ho scoperto che nel pretenzioso trompe-l’œil appaiono 2 volti nascosti. Tra le venature azzurrine della finta colonna marmorea alla destra di San Germano è infatti possibile scorgere il profilo del committente, il conte Vittorio Cacherano con la pipa in bocca e un probabile autoritratto dell’autore Jean-Laurent Grange dall’aspetto più popolaresco. Ritengo sia stato un piccolo scherzo del conte, dallo spirito “buontempone”, che nel 1857, l’anno della sua morte, fece rimodernare gli affreschi della chiesa dal suddetto pittore facendo inserire i loro visi mimetizzati.”
Non resta che aguzzare la vista!

Prezzi: intero 3 € e ridotto 1,50 €
Orari di apertura della cripta: dal 1° al 31 agosto dalle 15 alle 16 dal venerdì alla domenica con visita guidata; dal 1° al 4 settembre aperto dalle 15 alle 16 il venerdì e il sabato con visita guidata (minimo 5 e massimo 12 partecipanti).
Sito web: https://www.grand-paradis.it/it/content/cripta-di-saint-l%C3%A9ger
Il ponte-acquedotto romano di Pont d’Aël

Sembra quanto mai calzante l’esclamazione di Astérix & Obélix “Ils sont fous, ces Romains!” per descrivere lo stupore che si prova di fronte alla grandiosa opera d’ingegneria idraulica realizzata nel villaggio di Pont d’Aël, lungo la strada che da Aymavilles porta a Cogne: si tratta della maestosa arcata gettata sul torrente Grand Eyvia guardata ancora oggi con ammirazione poiché il tempo e la fortuna l’hanno preservata e mantenuta intatta fino a noi. Il ponte-acquedotto ci racconta la sua storia millenaria grazie all’epigrafe presente sulla facciata: nel 3 a.C. il ricco imprenditore padovano Caius Avillius Caimus fece realizzare un’infrastruttura per trasportare l’acqua da Cogne ad Aymavilles per l’estrazione e la lavorazione del marmo bardiglio, materiale largamente usato nel programma edilizio di Aosta romana e ancora ben visibile nei monumenti.

Con un canale tagliato nella roccia e in parte sotterraneo, l’acquedotto seguiva il profilo montano, adattandosi perfettamente alla morfologia del territorio, con una pendenza sempre costante sino all’arrivo. Nel punto dove il vallone si restringe, un’unica arcata ancorata alla roccia permetteva alla conduttura di superare il torrente con ben 2 livelli di attraversamento: quello inferiore consentiva il transito pedonale e animale – ben aerato ed illuminato da piccole fessure – mentre quello superiore, pavimentato e originariamente impermeabilizzato con la malta idraulica, era destinato al passaggio idrico.
Una scoperta inattesa, nel corso dei lavori di restauro conservativo durati dal 2010 al 2013, ha rivelato la soluzione tecnica adottata dai Romani per la sua costruzione: nella parte interna è presente un’area cava suddivisa in varie camere vuote che consentivano di alleggerire l’imponente struttura. Oggi è possibile camminare su entrambi i livelli e rendersi conto, grazie alla passerella in vetro, della presenza degli spazi dentro l’arcata.
Info e prezzi: intero 3 € e ridotto 2 €

Una passeggiata in compagnia di orchidee e farfalle
Una volta attraversato il ponte acquedotto romano si può imboccare il sentiero n. 2A fino a raggiungere una galleria illuminata realizzata per attraversare la cascata: il percorso prosegue in discesa a fianco della parete rocciosa fino ad un piccolo ponte in metallo e, una volta attraversato il bosco, si raggiunge la cinta muraria della cascina di Eissogne. La zona, in virtù del clima arido, offre un’interessante varietà di flora e fauna, in particolare, rare specie floristiche di origine steppica e mediterranea, ben 11 specie diverse di rare orchidee e 96 specie di farfalle. La passeggiata ha una durata di circa 45 minuti, difficoltà E (escursionistico).
La Fata di Ozein e la Favò
Appena dopo l’abitato di Pont d’Aël, salendo verso Cogne, si incontra sulla sinistra la deviazione per il villaggio di Ozein. Dopo un breve tratto si scorge sulla destra una parete rocciosa con una piccola cascata.
L’atmosfera è davvero suggestiva e, in qualche modo, magica: non a caso è in queste grotte che vive la Fata di Ozein! Le numerose cavità naturali ospitano madonnine, rosari ed ex voto di vario genere, inseriti anche nelle fessure più piccole o appesi alle sporgenze più aguzze. Ma ad attirare l’attenzione è il misterioso leggio in ferro posto al centro: sullo spartito serigrafato su una sottile lastra bianca sono impresse le note di una melodia dedicata proprio alla creatura fantastica.

L’istallazione fa parte dell’opera diffusa “Il Silenzio delle Fate” dell’artista Giuliana Cunéaz di Gressan, un importante lavoro d’arte ambientale realizzato nel 1990. In Valle d’Aosta sono presenti ben 24 leggii posti in luoghi suggestivi e abitati, secondo le credenze popolari, da queste affascinanti e misteriose creature che un tempo regnavano sulle montagne prediligendo le grotte, le sorgenti e i margini dei boschi solitari. Una volta riuniti e ordinati si potrà riprodurre un’intera opera musicale realizzata appositamente dal compositore torinese Armando Prioglio che, attraverso i fruscii, i mormorii e i sospiri riecheggianti nel vento, ridà voce a quell’incanto perduto.
Ozein è famosa anche per una deliziosa zuppa, la Favò, che nel 2020 è entrata ufficialmente a far parte del novero delle ricette ufficiali dell’Accademia italiana della Cucina. A fine luglio si svolge solitamente la sagra dov’è possibile gustare la ricetta originale di questo sostanzioso piatto d’antan che in passato veniva preparato durante la mietitura del grano nel mese di luglio, quando maturavano le fave, per dare energia a chi lavorava nei campi che, a quei tempi, erano molto numerosi nei dintorni di Ozein. Ogni famiglia aveva la propria ricetta e gli ingredienti erano più poveri rispetto ad oggi: si faceva cuocere la pasta nelle fave e abbrustolire il pane nero nel burro fuso e la Fontina, aggiungendo poi il basilico e la santoreggia che qui chiamano “parietta”. Spesso mancava la salsiccia e al posto della Fontina si metteva la toma; adesso invece vengono aggiunte le carote, la cipolla e il sedano per dare più sapore. Provare per credere!

Per finire in bellezza, il territorio di Aymavilles è inserito all’interno dell’area di produzione del “Vallée d’Aoste Torrette DOC”, il vino valdostano prodotto in maggior quantità, originato principalmente da uve di Petit Rouge (minimo 70% secondo il Disciplinare). È un rosso di buon corpo (12°-13°) ideale con le carni, arrosti e selvaggina, ma anche con salumi locali e formaggi stagionati. La versione Supérieur, ottenuta dai vigneti più soleggiati e con limitate rese ad ettaro, si differenzia per una maggiore concentrazione delle uve e un affinamento più prolungato. Santé!
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CATERINA PIZZATO
Ciao a tutti, mi chiamo Caterina e sono giornalista, accompagnatrice turistica e guida museale. Nel tempo libero mi dedico alle altre mie passioni: l’arte, i viaggi e la promozione della mia amata regione, la Valle d’Aosta, un piccolo scrigno tutto da scoprire! Seguite i miei consigli per conoscere le curiosità e le meraviglie custodite tra le montagne più alte d’Europa. Siete pronti a partire?