Metafisica della vita quotidiana

Acquisita all’inizio degli anni Ottanta, la tela Le Muse Inquietanti di Giorgio De Chirico presenta due dei più celebri soggetti della produzione dechirichiana: le muse inquietanti. Si tratta di una delle innumerevoli versioni derivate dalla prima tela risalente al 1917-1918 in collezione Mattioli, nota anche in prima istanza con il titolo Vergini inquietanti. Pur trattandosi di una tarda versione, datata al 1950, in essa si condensano tutti i dettami della poetica metafisica, di cui l’opera diventa quasi una sorta di manifesto ideale.
Proveniente dalla collezione Nehmad (Milano) e pubblicata nel catalogo generale dedicato all’artista dallo studioso Claudio Bruni Sakraischik, l’opera è ambientata nello spazio urbano di Ferrara, la città foriera di incontri in cui tutto ebbe inizio;
Formatosi tra il 1907 e il 1909 nel clima simbolista di Monaco di Baviera, con alle spalle una solida cultura letteraria e un’autentica passione per la mitologia greca, De Chirico è sottile lettore di Nietzsche, di cui condivide l’idea di una Grecia culla della civiltà e del pensiero occidentali. Lucido osservatore delle questioni artistiche contemporanee, dopo gli iniziali entusiasmi il pittore muta il proprio atteggiamento nei confronti delle Avanguardie europee (Cubismo, Futurismo, Espressionismo, Astrattismo), alle quali rimprovera I’ eccessiva preoccupazione per i problemi linguistici a discapito di quelli filosofici:
<<Prima di essere cézanníani, picassiani, soutiniani o matissiani e prima di avere I’ emozione, I ‘angoscia, la sincerità, la spontaneità, la spiritualità, i nostri geni modernisti farebbero meglio a imparare a fare una buona e bella punta al loro lapis>>.
Bersaglio della polemica, acutamente svolta in un articolo apparso sulla rivista “Valori Plastici” nel 1919, è l’involuzione formalistica degli artisti d’avanguardia, che a giudizio di De Chirico aveva prodotto un inevitabile scollamento con la realtà, una perdita di memoria nei confronti della tradizione, la fine della pittura come “mestiere” e come strumento d’indagine del mondo.
L’applicazione alla pittura del termine metafisica è invenzione di Carrà a Ferrara, nel 1917, dove i due artisti prestano il servizio militare (con loro vi è anche Alberto Savinio, fratello di De Chirico). Il riferimento alla filosofia greca sottolinea la volontà di attingere tramite la pittura una verità “trascendente”, situata al di là della realtà fenomenica conoscibile attraverso i sensi.
L’importanza della città di Ferrara – teatro del cruciale incontro con Carrà nonché luogo di fondamentali riflessioni estetiche – nell’elaborazione della pittura metafisica è resa esplicita dal dipinto Le muse inquietanti, in cui è raffigurata un’ampia e profonda piazza, simile a un palcoscenico o alla tolda di una nave, oltre la quale svetta la celebre fortezza che fu residenza degli Estensi. L’inconfondibile sagoma turrita e rossastra della costruzione, simbolo malinconico di un passato glorioso e irrimediabilmente lontano, è affiancata da una fabbrica con due ciminiere, allusione alla mescolanza di antico e moderno che in quegli anni caratterizzava Ferrara: una città, secondo il pittore, <<quanto mai metafisica>>, <<lussuriosa>> e trasognata, tanto incline al fantastico quanto sprofondata in una quotidianità priva di grandezze.
Il primo piano della scena è dominato da misteriose e inquietanti figure (le muse del titolo), costituite dall’assemblaggio di elementi appartenenti a tradizioni e ambiti diversissimi. Quella a sinistra, in piedi su un basso piedistallo rotondo, ha l’aspetto di una statua greca femminile abbigliata con un pesante peplo, ma la sua parte superiore presenta un’enorme testa di manichino, innestata su un torso virile marmoreo. La figura di destra, seduta su una scatola blu, mostra caratteristiche analoghe alla prima (il colore biancastro delle statue antiche, le pesanti pieghe della veste), ma il suo corpo è attraversato da linee tratteggiate, tipiche dei modelli di sartoria. La testa, una sorta di maschera rosso-arancio di forma ovoidale, è appoggiata ai suoi piedi. Sempre in primo piano sono collocati un bastone cilindrico decorato con un motivo a spirale e una scatola policroma a motivi triangolari, che potrebbero appartenere all’attrezzatura di un prestigiatore. Più lontano, nella zona d’ombra proiettata sul pavimento (simile alla pedana di un palcoscenico, in forte fuga prospettica) dall’antico edificio ad arcate sulla destra, vi è una terza statua paludata, dal capo privo di volto.
Il carattere malinconico e cerebrale della scena dell’opera Le Muse Inquietanti di Giorgio De Chirico è acuito, oltre che dalla luce, dai colori e dalle lunghe ombre portate, dall’assenza di figure umane e dall’arbitrarietà degli scorci prospettici, che donano allo spazio una qualità e un’instabilità proprie del mondo onirico. Il dipinto, una sorta di speculazione sulla “nullità dell’essere”, funziona come un meccanismo collaudato e preciso, basato sull’accostamento tra oggetti e contesti che generano nell’osservatore un effetto di sorpresa per il fatto di non avere nulla in comune sul piano logico. Tale meccanismo, secondo quanto teorizzato dall’artista, stimola un processo di astrazione dalla realtà che ha il pregio di rivelare l’anima segreta delle cose, il fondo oscuro e nascosto dell’esistenza, la dimensione metafisica del mondo.



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Alice Brivio
Una prima laurea in Scienze dei Beni culturali e una specializzazione in Storia e critica dell’arte. Convinta aspirante insegnante, milanese di nascita, amante di tutto ciò che è artistico!
La rubrica “Finestre sull’arte” nasce per raccontare e condividere con voi ciò che conosco su opere, artisti e correnti artistiche, raccontandole in brevi articoli di pochi minuti, come se fossero delle vere e proprie pillole da assumere una volta al giorno. Perciò, se siete interessati ad approfondire la vostra conoscenza su questi temi, date un’occhiata ai miei articoli sul blog!