Mi capita spesso durante il mio lavoro di guida di accompagnare turisti a visitare il parco Archeologico di Pompei o di Ercolano ma spesso riscontro che in molti non sanno che in realtà altri centri abitati subirono la stessa sorte delle più famose Pompei ed Ercolano, durante l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.
Stabia ed Oplontis ad esempio non considerate propriamente delle città ma una sorta di luoghi di villeggiatura. Campagne di scavi più recenti hanno messo in evidenza la presenza di ricche dimore con una grandezza che poteva variare dagli 11.000 ai 13.000m² ed oltre, con una successione di ambienti tra sale da pranzo, ingressi, giardini, biblioteche, terme private e camere da letto.
Due ville furono ritrovate a Castellamare di Stabia: “Villa San Marco” e Villa Arianna” sulla collina del Varano, e attualmente riportate alla luce solo in parte.
A Torre Annuziata, in antico Oplontis, furono invece ritrovate: la villa B detta anche di Lucius Cassius Tertius (attualmente non visitabile), e la villa A detta anche di Poppea Sabina.
Ma prima di descrivere quest’ultima dimora, scopriamo qualcosa di più sulla proprietaria di questa lussuosa villa e del perché sia stata attribuita all’ex imperatrice.
Poppea Sabina, fu la seconda moglie dell’imperatore romano Nerone, ed imperatrice dell’Impero romano dal 62 alla sua morte che pare avvenuta nel 65, quindi non sarebbe stata più in vita al momento dell’eruzione. Secondo alcuni storici l’imperatrice sarebbe stata uccisa a calci dallo stesso Nerone mentre era in attesa del loro secondogenito, qualcun altro racconta che invece sia stata vittima di un incidente proprio durante un soggiorno nella sua villa ad Oplontis ed altri che in realtà fosse morta sì ad Oplontis, ma nel 79 durante l’eruzione del Vesuvio.
Poppea fu descritta dai contemporanei come una donna dall’avvenente bellezza, ma anche una donna senza scrupoli che nonostante i due precedenti matrimoni era riuscita a diventare prima l’amante dell’imperatore Nerone per poi farsi sposare e diventare Imperatrice, passando sulla pelle della madre dello stesso Nerone, Agrippina, e del suo precettore il filosofo Seneca, i quali furono entrambi uccisi si dice per suo volere in quanto avrebbero ostacolato la sua salita al potere.
Secoli dopo altri scrittori riscattarono la figura di Poppea, dandone un profilo migliore e non facendola passare alla storia solo come una donna approfittatrice e arrivista e spietata.
La villa alle falde del Vesuvio fu attribuita alla famiglia dei Poppei, una famiglia molto nota anche nella vicina Pompei come classe dirigente, per il ritrovamento di un’anfora recante una semplice iscrizione indirizzata a Secundus, il cui nome apparteneva ad uno schiavo liberto dell’imperatrice.
Nulla invece ci dice io graffito ritrovata presso i bagni della casa che citava “Mnesthei Beryllos” (ricordati di Beryllo) nome di origine greca.
I primi scavi iniziarono già nel 1700 ma furono abbandonati a causa dell’area metifica, successivamente del sito si riparlò di nuovo nel 1839 ma scavi sistematici della villa iniziarono solo nel 1974.
La villa di Poppea Sabina come tante altre non è stata del tutto riportata alla luce ma gli edifici e le stanze visibili attualmente sono sufficienti a dare un’idea della sua grandezza ed eleganza.
La villa probabilmente era disabitata nel momento dell’eruzione, non furono trovati né vasellame da mensa, né suppellettili e molto materiale tra cui colonne o lucerne erano accatastati in altre stanze come in attesa di essere rimesse al loro posto una volta finiti i lavori di restauro, probabilmente dovuti ai numerosi terremoti dell’area vesuviana.
La visita al sito archeologico di Oplontis inizia da quello che un tempo doveva essere la parte retrostante della casa, un viridarium, ovvero un giardino ricco di fontane e piante, queste ultime al momento dello scavo furono trovate carbonizzate e di cui è possibile vedere i calchi in gesso delle basi. Su questo giardino si apriva un grande salone prospettico.
Da qui il percorso si snoda verso la grande piscina che ricorda nelle dimensioni una piscina olimpionica, una volta inserita in un lussureggiante ambiente naturale circondata da platani, limoni e oleandri.

Da un lato il portico che costeggiava la piscina, dove al momento dello scavo non è stato rinvenuto il colonnato poiché probabilmente rimosso per consentire i lavori di restauro della villa e qui una serie di stanze, che si alternavano in una successione di ambienti tra viridarium (giardinetti chiusi ricchi di piante e decorazioni parietali che imitavano le specie vegetali presenti nei piccoli giardini), e cubicola, e forse sale da pranzo.
Dalla piscina si percorre un corridoio dipinto a bande di colore bianche, nere e rosse tipiche degli ambienti servili, e più avanti ci sono i bagni che attualmente non sono più visitabili.
Si prosegue poi verso il cosiddetto porticus triplex, ovvero un porticato che si estendeva su tre lati che circondava un altro giardino. Non si riesce a percepirne la grandezza perché questo lato della casa non è stata del tutto riportato alla luce.

Da qui un altro porticato che doveva proteggere dal sole una serie di camere da letto, i cubicola. In una delle stanze su questo lato, forse un triclinium, ovvero una camera da pranzo, fu ritrovato un affresco raffigurante quello che è stato identificato come un’alzatina con sopra una torta o un dolce.

La villa presentava un atrio enorme con al centro il tipico sistema di raccolta dell’acqua piovana: compluvium (finestra/lucernario sul tetto), impluvium, vasca di raccolta sul pavimento.
Il salone d’ingresso è decorato con quello che è stato identificato come II stile della pittura, detto anche architettonico, dove false colonne, porte, pannelli a finto marmo a grandezza naturale creano un effetto prospettico e illusionistico di allargamento degli spazi.

Da qui in successione si ammirano un piccolo giardino, un salone e il giardino retrostante.

Uno dei saloni più affascinanti è sicuramente il grande salone con una immensa decorazione parietale in secondo stile, per il suo effetto realistico, in cui è rappresentato il santuario di Apollo, riconosciuto grazie al tripode delfico e attraverso un cancello dipinto si scorge un bellissimo colonnato prospettico ed in primo piano un pavone le cui piume sono dipinte con una delicatezza tale da sembrare reali.

Questa sala si congiunge con una seconda, forse un triclimiun, le cui colonne dipinte sulle pareti sono decorate con finti smeraldi e rubini e i colori dell’oro. Anche le pavimentazioni realizzate con marmi e mosaici, rispecchiano gli stessi colori che si ritrovano sulle pareti.
Questi ambienti sono uniti attraverso un piccolo giardino circondato da 4 colonne con al centro una fontana che conduce al balneum, ovvero alle terme private della casa le cui stanze, come il calidarium, stanza per i bagni caldi e il tepidarium, ovvero sala con finzione di sauna, erano probabilmente riscaldate attraverso un sistema di riscaldamento chiamato suspensurae, dove l’aria calda, prodotta probabilmente nella cucina retrostante era fatta circolare tra intercapedini ricavate nel pavimento e tra le pareti. In particolare il calidarium conserva una ricca decorazione parietale in rosso e ocra e al centro alcune scene mitologiche tra cui spicca la figura di Ercole intento in una delle sue imprese nel giardino delle Esperidi.
La grande domus di Poppea Sabina, presenta al suo interno anche una serie di stanze identificate come ambienti servili dove le decorazioni sono molto scarne e dei depositi utilizzati come cantine. Qui le stanze si affacciavano su un piccolo giardino con al centro una fontana, e di fronte un grande ambiente riconosciuto come un larario, ovvero un piccolo santuario domestico per le cerimonie religiose in onore delle divinità protrettici della casa.
La villa di Poppea Sabina era sicuramente una delle tante e bellissime ville dell’otium che costellavano la costa campana, una delle mete preferite dall’aristocrazia romana, ma va detto che queste tenute erano non solo luoghi di ristoro ma anche ville produttive attraverso la coltivazione delle terre circostanti, allevamenti, peschiere e vivai specializzati.
Il sito archeologico di Oplontis seppur meno famoso delle vicine Pompei ed Ercolano, resta uno dei siti archeologici più belli ed affascinanti.
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Ciao, sono Roberta Paparo, guida turistica della Regione Campania dal 2011 e laureata in Conservazione e Restauro dei Beni Culturali. Amo il mio lavoro perché adoro la mia terra e tutto ciò che di bello ha da offrire.
Lavorare come Guida mi dà al possibilità di studiare e scoprire aspetti sempre nuovi ed interessanti del territorio campano, dalle bellezze storico-artistiche a quelle del paesaggio, dalle tradizioni popolari e folkloriche alle leggende e ai miti, rinnovando le mie conoscenze e visitando luoghi diversi ogni giorno.
Inoltre, amo anche l’arte a 360°, dalle arti figurative al teatro, dalla danza alla musica. Proprio per questo, recito nella compagnia teatrale amatoriale “Gli ardisti” da oltre 20 anni ed ho partecipato a diversi laboratori teatrali che mi hanno aiutata anche nell’approcciarmi in modo diverso rispetto ad una semplice visita guidata, cercando di coinvolgere i turisti in una esperienza che gli permetta di essere protagonisti e non passivi ascoltatori, con la speranza che tornando a casa possano portare con sé un po’ di Napoli nel cuore.