La Strada per Menfi e Tebe passa per Torino
“La Strada per Menfi e Tebe passa per Torino”, così disse Jean-François Champollion nel 1824 vedendo la collezione di circa 5.000 pezzi che il re Carlo Felice di Savoia aveva acquistato da Bernardino Drovetti, console francese in Egitto.
Le trattative per l’acquisto furono fatte da Carlo Vidua, viaggiatore piemontese che sbarcò in Egitto nel 1819 e lì, incontrato Bernardino Drovetti, portò a termine l’accordo per l’acquisto del primo nucleo del museo.
Un museo in continua crescita, che grazie agli scavi condotti da Ernesto Schiapparelli nel primo quarto del XX secolo è diventato il secondo museo egizio al mondo dopo quello del Cairo.
Ma perché un museo egizio a Torino?
Tutto nasce nel XVI secolo, quando il duca Emanuele Filiberto di Savoia trasferisce la capitale del Ducato da Chambery a Torino, una città ancora medievale, senza un palazzo ducale ma con grosse potenzialità grazie alla sua posizione geografica sulle sponde del Po. In questo contesto i Savoia danno incarico agli storici del tempo di scrivere libri sulle origini della dinastia, sulla Sindone e sulla fondazione di Torino. E’ così che nel 1577 Emanuele Filiberto Pingone scrive un volume sulla storia della città. Secondo questo racconto attorno al V secolo, un principe egizio di nome Eridano, giunge nel villaggio di Taurasia, dove vivono delle popolazioni celto-liguri. Affascinato dal luogo e dal lungo fiume simile al Nilo, fonda sulle sue rive un villaggio con un grande tempio dedicato al dio Apis, il dio con la testa di Toro. Da qui il nome della città e il suo simbolo.
Il racconto dell’origine egizia di Torino venne ripresa da altri esperti di storia, come Emanuele Tesauro nel XVII secolo, o nella “Guida Turistica di Torino” datata 1753.
E’ grazie a questa leggenda che l’interesse della dinastia sabauda verso la cultura egizia crebbe. Così il duca Carlo Emanuele I nel 1630 acquistò una tavola d’altare, la “Mensa Isiaca”, dove soggetto principale è la dea Iside. Questa Mensa decorò, insieme ad altri pezzi antichi, la Wunderkammer del Duca, una galleria che congiungeva i palazzi Madama e Ducale.
La Tavola era detta anche Bembina, perché appartenuta alla famiglia romana dei Bembo e passata ai Gonzaga di Mantova per poi essere acquistata da Carlo Emanuele. La Tavola è in bronzo ed è decorata con diversi tipi di metalli preziosi, come argento e oro e colorata con leghe di rame e stagno. In centro Iside, la dea della magia e dell’amore ed intorno altre divinità e una serie di scritte apparentemente geroglifiche. Sarà Champollion, a Torino per studiare le collezioni Drovetti, a comprendere che la Mensa Isiaca non è originale, ma romana del I secolo d.C., in quanto i motivi egizi sono messi alla rinfusa e i geroglifici sono inventati e privi di senso.
L’acquisto di questa tavola ha spinto i Savoia a fare ricerche per comprenderne l’origine e ad investire in viaggi di scoperta in Egitto per trovare antichità complementari alla mensa isiaca.
Da citare è il viaggio di Vitalino Donati, docente di botanica dell’università, che tra il 1759 e il 1762 intraprese un viaggio in Egitto e nelle Indie Orientali per volere di Carlo Emanuele III. Dall’Egitto avrebbe dovuto portare qualche “manoscritto raro, qualche mummia, medaglie…”. Donati morirà al largo delle coste dell’India il 26 febbraio 1762 e sarà sepolto a Mangalore.
I suoi ritrovamenti, tra cui una statua di Iside che fa mostra di sé al museo, verranno spediti a Torino dal viceconsole veneto Bernardo Caprara che Donati conobbe ad Alessandria d’Egitto.
Sin dalle sue origini, il museo ha sede nel grande edificio barocco dell’Accademia delle Scienze, dove diverse antichità, non solo egizie, erano studiate e sovente ammirate dai viaggiatori e dagli ospiti della Capitale. Nonostante le varie proposte che si sono succedute negli anni, il Museo Egizio di Torino ha conservato la sua ubicazione storica, ingrandendosi nel 2015 negli spazi che erano occupati dalla Galleria Sabauda.



Il percorso è cronologico e parte dal periodo preistorico per arrivare fino all’epoca araba. La visita è un’immersione nel passato, nella lunga cultura egizia, ma è possibile apprendere in contemporanea un’altra storia, che è quella degli scavi fatti dalla Missione Archeologica Italiana, istituita da Ernesto Schiapparelli nel 1903.
Sulle pareti del museo le fotografie esposte testimoniano i luoghi degli scavi e le tombe come le ha viste Schiapparelli nel momento della scoperta.
Nella Sala dedicata alla tomba dell’architetto Kha e di sua moglie Merit le fotografie a parete ci mostrano come erano posizionati gli innumerevoli oggetti funerari che oggi sono stati contestualizzati nel museo.




E’ bello confrontare le immagini del 1906 con gli oggetti esposti nelle vetrine: i mobili, i sarcofagi e la maschera funeraria di Merit, così come è interessante osservare il trasporto di tutte le suppellettili fuori dalla tomba da parte di personale assoldato dalla Missione Archeologica in loco. Sono figure sfocate, perché in movimento, ma sembra sempre di scorgere un sorriso sui loro volti, quasi cercassero di mettersi in posa. Ognuno di loro ha in mano un pezzo: uno sgabello, una suppellettile che poi si può andare a cercare nelle vetrine!



La parte più emozionale del museo, per la maggioranza dei visitatori, è la Galleria dei Re, ovvero lo statuario allestito da Dante Ferretti nel 2006 con giochi di specchi e di luci. Il visitatore, talvolta un po’ affaticato dal lungo percorso museale, risveglia il suo interesse all’improvviso e nuovamente si immerge nella storia. Si cammina tra le molte statue di Sekhmet, dea guerriera, che brucia come il sole, ma che può usare diversamente la sua energia, in modo positivo, diventando dea della medicina.
La seconda sala vede capolavori come il colosso di Seti II, la triade con Amon, Ramses II e Mat, sfingi e il simbolo del museo, la meravigliosa statua di Remses II, arrivata rotta a Torino nel 1824, ma ricomposta nelle sue parti e ammirata da milioni di visitatori ogni anno e star dei sussidiari delle scuole elementari italiane degli anni ’70!

L’unica eccezione a tutte queste antichità frutto degli scavi archeologici italiani, è il tempio di Ellesija. Infatti il tempio, che occupa una sala del museo, è un regalo che il governo egiziano fece all’Italia nel 1966 per ringraziare il lavoro svolto dai nostri ingegneri per spostare il tempio di Abu Simbel dalla sua sede originaria e permettere di costruire lì la diga di Assuan.
Anche in esterno il museo sorprende perché è possibile scoprire nel suo cortile un giardino di piante, fiori ed erbe che crescono in Egitto: palme, papiri, fichi, origano e fiori di loto.


Dopo la visita al museo, il centro storico di Torino offre molte possibilità di godere di una pausa golosa.
In inverno consiglio un caldo zabaione, energetico al punto giusto. In estate, un buon gelato gianduia e fior di latte, o, per restare in “gusto egizio”, miele e fichi.
Vi aspetto per scoprire insieme questo suggestivo museo!
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Ciao, sono Donatella Ferraris. Avete sentito dire che Torino è una città industriale, grigia? O che in Piemonte non c’è molto da vedere, salvo le montagne? Allora il mio obiettivo sarà quello di farvi innamorare del mio territorio, non solo con gli articoli che scrivo, ma anche con delle visite pensate ad hoc per ogni esigenza. Mi piacciono la storia, l’arte, l’enogastronomia, le curiosità legate alla mia Regione e le lingue. È per me fantastico lavorare con turisti di altre Regioni d’Italia e con stranieri. Soprattutto quando tornano a casa con un po’ di Piemonte nel cuore.