Liguria da scoprire – L’Acquedotto Storico di Genova

Il numeroso stuolo di maestri dantelamo e piccapietra che vi operarono, i molteplici architetti e ingegneri che ne proseguirono il lavoro, gli scienziati nostrani e stranieri chiamati a consiglio, gli illustri patrizi che ne furono deputati alla cura, e l’immenso danaro profusovi dai nostri Avi, fanno fede della grande importanza del Monumento.

Franco Podestà – L’acquedotto di Genova 1071 – 1874
Acquedotto Storico di Genova (Ponte sul Rio Torbido)

Raccontare la Genova storica attraverso ciò che è ancora visibile e ciò che si può oggi solo immaginare, non è per nulla un’operazione che guarda al passato in modo nostalgico ed esclusivo bensì una colonna portante della valorizzazione del territorio. Camminando tra i carruggi e le antiche creuze alla scoperta di ciò che la città è stata dalla fine dell’impero romano al secolo scorso si possono narrare storie che vanno oltre il mero ritrovamento di un monumento o di un più semplice oggetto emerso da uno scavo. Le vie della Superba sono una fucina di bellezza nascosta che è fondamentale riportare alla luce perché parte costituente di un vasto patrimonio materiale e immateriale che non è solo culturalmente inclusivo, ma in quanto tale è anche collettivo e da condividere. La valorizzazione di ciò che resta, ossia il compito di offrire un futuro al passato genovese, ha una valenza pubblica e una fondamentale ricaduta economica, sociale e turistica.

Tra i superbi monumenti di Genova spicca senz’altro l’ardita costruzione dell’Acquedotto Storico della città. Ma quanto grande e utile fu quest’opera, doppiamente misere e oscure ne sono le memorie. Il rimpianto degli storici che lamentavano la penuria di scrittori e libri che ricordassero la magnificenza del primo acquedotto svanisce, però, di fronte al misterioso fascino di un monumento che lega una volta di più l’anima della città all’elemento dell’acqua. Un viaggio ideale che, partendo dalle sorgenti che sgorgano nell’entroterra di Genova, insegue il corso dell’acqua attraverso tutta la città fino al mare. Calcare le pietre dell’Acquedotto Storico offre al visitatore l’occasione di ripercorrere le mille storie della città attraverso uno dei suoi monumenti più iconici.

Le origini della via dell’acqua

Il percorso dell’Acquedotto Storico si sviluppa per ben 22 km, dalla Presa di Bargagli lungo la Valbisagno fino al centro cittadino e infine al Porto Antico.

Tutto ebbe inizio intorno al 202 a.C. in epoca romana, quando Genova sentì l’esigenza di aumentare i rifornimenti d’acqua necessari ad alimentare i cantieri navali, oltre che i tanti mulini e opifici entro e fuori le mura cittadine. La scelta ricadde saggiamente sulla sponda occidentale del torrente Bisagno, allora chiamato Feritore (Fortor in latino), in virtù delle caratteristiche morfologiche, climatiche e geologiche della valle. Infatti, la Valbisagno scende direttamente al cuore fortificato della vecchia città, era e rimane tuttora più piovosa della vicina Val Polcevera e infine presenta un substrato di roccia impermeabile ottimale per lo scorrimento superficiale delle acque.

L’acquedotto romano nasceva a Molassana, una zona all’epoca paludosa e nota come Mollicciana (terreno molle), sfruttando un bacino d’acqua del Lacus Dragonarius e scorrendo per 7 km all’interno di fossati e condotte fino ai piani di Sant’Andrea. Di questo primo impianto rimangono purtroppo pochissime tracce a causa del lungo periodo di abbandono che seguì la caduta dell’impero.

L’acquedotto rifiorì agli inizi degli anni mille a seguito dell’espansione della città sulle colline e dell’aumento del traffico portuale. L’originario impianto romano venne interamente sostituito con un nuovo tracciato a quota più elevata, raccogliendo le acque degli affluenti del Bisagno che sorgevano sopra la necropoli di Staglieno. Il primo acquedotto medievale consisteva in un canale a pelo libero con pendenza costante intorno al 2%. Solo nel corso del 1300 vennero costruiti i primi ponti canale, a partire dal Ponte di San Pantaleo nel 1303.

Fatta eccezione per lo spostamento dell’inizio dell’acquedotto più a monte in località Trensasco, non si registrarono importanti interventi prima del 1491, quando la grave penuria idrica spinse le autorità a istituire la figura del Magistrato delle Acque, incaricato di progettare un piano regolatore volto all’incremento delle risorse, mediante la creazione di canali laterali per captare ulteriori rii e torrenti. Dal canale principale l’acqua raggiungeva le utenze pubbliche e private attraverso dei semplici tubi in ottone, detti bronzini, e alimentava delle piccole vasche di raccolta chiamate “troglietti”. A partire dal 1437 fu ordinato di scolpire su tutti i bronzini lo stemma della città onde evitare il furto degli stessi. Ogni bronzino era assegnato ad un legittimo proprietario ed era marcato da un numero, identificativo del proprietario stesso. Non erano comunque in molti a poter godere del possesso di un bronzino e la fornitura dell’acqua al resto della popolazione avveniva mediante fontane e vasche pubbliche, alimentate dall’acquedotto attraverso tubi in marmo detti cannoni.

Il tracciato seicentesco e le grandi opere

La progressiva opera di ampliamento subì una forte accelerazione a partire dal 1623, anno di inizio dei lavori di prolungamento dell’impianto da Trensasco a Cavassolo e di lì fino alla località Schienadasino, ribattezzata “La Presa” nel 1639, dopo essere diventata la principale fonte di captazione dell’acquedotto cittadino.

Al termine dei lavori il tracciato dell’acquedotto si snodava per oltre 30 km, seguendo pedissequamente a mezza costa il versante occidentale della valle con lunghe serpentine e tratti estremamente instabili. In particolare il giro della Valle del Geirato apparve fin da subito problematico a causa dei frequenti eventi franosi, e già pochi anni dopo l’entrata in funzione se ne propose l’abbandono. Nel 1660, le pressioni di illustri ingegneri genovesi convinsero il Magistrato a deliberare l’ardita costruzione del Ponte sifone del Geirato, il primo ponte sifone della storia.

Nello studiarne il funzionamento, gli ingegneri incaricati ebbero anche lunghi carteggi con Galileo Galilei, decidendo infine per la costruzione di un ponte con tubature in marmo. Paradossalmente quegli stessi progettisti non videro mai nemmeno il cantiere del ponte, rimasto unicamente sulla carta fino all’avvio dei lavori nel 1772. I progressi nel campo dell’ingegneria idraulica permisero di limitare l’altezza dei ponti sfruttando il principio dei vasi comunicanti e mantenendo l’acqua in pressione all’interno delle tubature. Anche l’uso del marmo venne accantonato in favore del più funzionale e leggero ferro, ma le nuove tubazioni mostravano scarsa resistenza alla pressione dell’acqua. La questione fu risolta soltanto nel 1793 con la posa nei giunti di speciali cerchi in metallo, consentendo finalmente l’entrata in funzione del ponte e la considerevole riduzione della lunghezza del tracciato originario. La maestosa opera venne consacrata per tutto il secolo successivo come uno dei più pregevoli manufatti architettonici dell’epoca. Oggigiorno, al contrario, soffoca anonimamente tra i palazzi di una periferia irrispettosa degli antichi fasti del ponte.

Il Ponte sifone del Geirato supera un dislivello di 50 metri, presenta ben 22 arcate a tutto sesto per un totale di 640 metri di lunghezza. Al ponte si accede soltanto attraverso il locale della Casetta dei Guardiani dei Filtri, restaurato e utilizzabile come supporto multimediale per i visitatori. Anche il percorso seicentesco che aggirava la Valle del Geirato è oggi interamente percorribile grazie al prezioso lavoro di recupero attuato da un gruppo di volontari che ne curano la manutenzione e fanno parte della Federazione per la valorizzazione e la tutela dell’acquedotto storico.

Mentre ancora si discuteva su come costruire il ponte sifone, il tratto di acquedotto che va dalla Presa alle mura della città (Mura dello Zerbino) venne dettagliatamente illustrato in un atlante prodotto dal cartografo Matteo Vinzoni nel 1729, su precisa commissione del Magistrato dei Padri del Comune. L’Atlante delle acque si componeva di dieci grandi tavole tratte dalla planimetria dell’acquedotto, contenenti rilievi esemplari di tutti i caratteri architettonici e urbani. Inoltre, ogni tavola riportava fedelmente gli oratori, le ville e gli altri edifici storici dislocati lungo il percorso.

L’elaborazione dell’atlante fu anche propedeutica alla gestione dell’impianto. Infatti, ogni tavola corrispondeva a una custodia, ognuna delle quali segnalata da un cippo di marmo appositamente numerato. Una singola custodia era affidata a un custode che doveva provvedere alla manutenzione del tratto a lui assegnato e soprattutto alla sorveglianza denunciando eventuali abusi e furti. Non mancavano i tentativi dei genovesi di deviare il corso dell’acqua verso le loro proprietà o di ingombrare il canale principale per provocarne l’esondazione e il conseguente allagamento dei propri terreni agricoli.

Dopo la costruzione del Ponte sifone sul Geirato e il conseguente accorciamento dell’acquedotto, i cippi in marmo vennero correttamente riposizionati nel modo in cui sono giunti a noi.

Il ponte sul Geirato non fu però l’ultima grande opera realizzata per l’acquedotto. Nel corso del 1800 si susseguirono numerosi interventi atti a rendere la struttura sempre più sicura ed efficiente nella raccolta e trasporto dell’acqua.

Tra il 1826 e il 1830 venne scavata la Galleria della Ruinà (rovinata) su disegni dell’architetto Barabino, in modo da evitare la zona particolarmente franosa da cui deriva appunto il toponimo. Lunga 148 metri, la galleria termina con un portale ogivale di gusto neoclassico in mattoni, pietra e colonne doriche in marmo. Sia il percorso interno sia la zona antistante il portale sono state ripulite per opera dei volontari dell’associazione GAU, rendendo nuovamente la galleria parzialmente transitabile, anche se solo previa autorizzazione e alla presenza di una guida.

Nel 1835 l’acquedotto riforniva quasi 110 pozzi e 48 mulini a servizio della produzione agricola e tessile, senza dimenticare le numerose fornaci alimentate dalle acque dell’impianto.

Ma le alture genovesi crollano letteralmente verso valle e i fenomeni di dissesto idrogeologico sono da sempre la principale vulnerabilità del territorio. Proprio tali ragioni spinsero a commissionare sempre al Barabino la realizzazione di un secondo ponte sifone sul torrente Veilino. Già nel 1830 era chiaro come si dovesse abbandonare il tratto di acquedotto che aggirava la valle del Veilino (lungo 3400 metri) perché deteriorato e non più riparabile a causa della natura franosa del terreno su cui poggiava. I lavori iniziarono però solo nel novembre del 1837 e vennero ultimati nel 1842.

Il ponte è costituito da 18 archi a tutto sesto, per una lunghezza totale di 450 metri e un’altezza di 20,50 metri. Piuttosto curioso come in un primo tempo il progetto prevedesse un canale composto da tubi in ferro ed uno da tubi in marmo grazie al recupero di quelli ordinati per il Geirato e mai utilizzati, nel pieno rispetto della logica anti spreco tipicamente genovese. Tuttavia la mancanza di gran parte dei tubi in marmo, ormai usati per altre opere cittadine se non in alcuni casi oggetto di furto, obbligò all’uso dei soli tubi in ferro come accaduto per il ponte sifone del Geirato.

All’interno di due piloni del ponte vi sono due scale a chiocciola: la prima, non percorribile, scende all’interno del cimitero monumentale di Staglieno, mentre la seconda porta a Via Superiore del Veilino. Il ponte è accessibile solo in occasione di alcuni sabati e domeniche del mese, è pertanto opportuno verificare giorni e orari di apertura contattando l’associazione di volontari Aegua Fresca, capofila del Progetto di Gestione e Tutela del Ponte Sifone sul Torrente Veilino.

La messa in sicurezza dell’impianto non terminò neppure con la costruzione del secondo ponte sifone. Infatti, nel 1878 venne aperta una nuova galleria in corrispondenza di Via Inferiore di Gambonia; lungo addirittura 500 metri, il tunnel permise di abbandonare l’ennesimo tratto franoso su cui poggiava l’acquedotto seicentesco.

L’ultimo importante intervento sull’acquedotto venne completato nel 1900 e comportò la sostituzione della copertura originale con grandi lastre in pietra di Luserna importate dal Piemonte, decisamente più sottili e facili da rimuovere rispetto agli antichi rivestimenti in pietra locale. Negli anni che seguirono l’impianto fu unicamente oggetto dell’ordinaria manutenzione, d’altronde il Novecento fu un secolo decisamente breve per la vita dell’acquedotto storico di Genova. Nel 1917 le sue acque vennero classificate come “non potabili” e anche se continuarono ad alimentare numerose fontane e lavatoi fino al 1951, la dichiarazione suonò come una sentenza capitale. Ampi tratti dell’acquedotto furono tristemente abbandonati al degrado, in alcuni casi interamente eliminati come in occasione della costruzione del casello autostradale di Genova Est nel 1966. L’unica eccezione fu rappresentata dalla parte più a monte, riqualificata nel 1957 dall’Amga mediante la costruzione dei nuovi filtri di Prato e ancora oggi gestita dall’attuale società delle acque.

La restante parte dell’acquedotto è rimasta nell’oblio fino ai primi anni del nuovo millennio, quando alcuni privati cittadini e associazioni di nostalgici e appassionati del territorio decisero di rianimare questo prezioso patrimonio della città di Genova. A partire dal 2005 undici associazioni hanno iniziato a fare rete e a promuovere una serie di eventi volti al recupero e alla valorizzazione dell’Acquedotto Storico, anche coinvolgendo e trascinando le istituzioni. Da allora, molteplici sono state le attività culturali ed escursionistiche che hanno coinvolto insegnanti di ogni ordine e grado di istruzione, dalle scuole materne fino all’università, e illustri esperti storici e ambientali. Manifestazioni che nel tempo hanno anche centrato l’obiettivo di coinvolgere aziende e attività commerciali in qualità di sponsor. La progressiva riscoperta di antichi tratti dell’impianto e di pregevoli monumenti ha generato entusiasmo e favorito l’ulteriore intensificarsi degli sforzi di recupero. Nel 2020 è stata costituita la “Federazione delle Associazioni per la Tutela e la Valorizzazione dell’Acquedotto Storico”, attualmente composta da 18 associazioni e capofila di un progetto di restyling completo dell’acquedotto, avviato nel marzo 2021 in collaborazione con il Comune di Genova.

La via dell’acqua ha finalmente ripreso a scorrere e la sua storia continua e trova nuova linfa nei passi di tutti coloro che si apprestano a percorrerla con il rispetto e la consapevolezza del valore di ciò che li circonda. Vi aspetto per esplorare insieme le bellezze naturalistiche della Liguria!


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LUCA CAVIGLIA

Sono Luca Caviglia, Accompagnatore di Media Montagna iscritto al Collegio delle Guide Alpine della Liguria e membro del gruppo di Accompagnatori e Guide Alpine “Hike&Climb Liguria”.
Nato a Genova nel 1991, mi sono prima laureato in “Scienze Naturali” presso l’Università degli Studi di Genova e successivamente ho conseguito il titolo Magistrale in “Evoluzione del comportamento animale e dell’uomo” presso l’Università degli Studi di Torino, con specializzazione in ricerca e gestione di carnivori e ungulati.
Amo la montagna in tutti i suoi molteplici aspetti e ogni mia escursione vuole essere una tavolozza piena di colori, con cui dipingere insieme ai partecipanti le meraviglie del nostro territorio.

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