Una foresta ostinata
Forse vi starete chiedendo perché, in questo nuovo articolo, io abbia deciso di parlare della Foresta della Deiva, da me stesso definita “ostinata”.
Che io ricordi ho sempre amato la Liguria. Ricordo che da piccolo, in estate, andavo un mese al mare in questa regione ed il giorno in cui si partiva, per arrivare a toccare la sabbia era necessario prima attraversare monti coperti di boschi dai quali spuntavano qua e le piccole e ridenti borgate alternate a rocche inaccessibili.
Sarà questo che mi ha sempre affascinato della Liguria, il fatto che sia una piccolissima regione dove però si possono trovare una quantità infinita di ambienti, uno a fianco all’altro in un immenso mosaico di storie millenarie di rocce e esseri viventi; e quale modo migliore per esplorare tutta questa diversità se non addentrandoci in essa con scarponi ai piedi per osservarne i pregi da vicino.
La Liguria ospita uno dei parchi naturali più belli d’Italia, Il Parco del Beigua; un parco situato sui rilievi tra Genova e Savona, un’area di vasta estensione affacciata sul mar ligure a sud, sulle colline piemontesi a nord e il cui punto più alto consiste nel Monte Beigua (1287 m). Si tratta di un’area caratterizzata da un’immensa varietà di ambienti, un sito dal patrimonio geologico di grande valore, nonché scrigno di biodiversità senza eguali.

Al limite settentrionale del parco, a farsi strada verso le colline del Piemonte, nei dintorni del paese di Sassello, troviamo la Foresta della Deiva, un’ampia superficie boscosa che nasconde tra le sue pieghe montuose, anfratti degni di un quadro impressionista.



La Foresta della Deiva cresce su un substrato avverso; la roccia di cui è composta quest’area è la serpentinite: una particolare tipologia di roccia metamorfica che nasce da rocce magmatiche di mantello le quali a causa della tettonica, sono risalite fino ad emergere allo scoperto non prima di aver subito diverse trasformazioni.



Il nome particolare di questa roccia che è un ovvio riferimento ai serpenti è dovuto al suo colore che talvolta assume tonalità verdastre (come la pelle di certi serpenti d’altronde) ma che può presentare colorazioni anche tendenti al grigio o al bluastro. Si tratta di una roccia particolarmente ricca di magnesio, elemento chimico che nonostante sia fondamentale per i viventi (tra i quali ovviamente le piante che la impiegano nella fabbricazione di clorofilla), se presente in quantità eccessive può risultare tossico. Un po’ come se noi esagerassimo nel mangiare un cibo di cui andiamo matti.
Questa tossicità si può manifestare nelle conifere, con chiome spelacchiate, poco maestose e tronchi piccoli, incurvati. Sembra quasi che certe piante abbiano subito un incendio ma in realtà potrebbero essere vecchie di decenni.
La roccia di cui ho fatto riferimento poc’anzi è tipica di una vasta area appenninica tra Piemonte e Liguria, detta “Gruppo di Voltri” (si, Genova Voltri). Questo insieme di rocce comprende la cosiddetta sequenza ofiolitica (dal greco ofios = serpente) una serie di rocce anticamente parte di un fondale marino che ad oggi le ritroviamo “spalmate” sulle terre emerse del nord ovest italiano.
I serpenti non si ritrovano solamente nel colore delle rocce ma anche sul nostro cammino, infatti la foresta della Deiva presenta un’elevata diversità in rettili: dalla comunissima lucertola muraiola (Podarcis muralis) che scorrazza su rocce sentieri e tronchi, al maestoso ramarro occidentale (Lacerta bilineata) che si mimetizza tra la vegetazione. Come scordarsi poi della tanto demonizzata vipera comune ( Vipera aspis), animale che terrorizza generazioni e generazioni di gente di città e del biacco (Hierophis viridiflavus), la cosiddetta “biscia”, uno dei serpenti più comuni in Italia.
E se da noi vivono tre specie di bisce d’acqua, in questo luogo riusciamo a trovarle tutte e tre, dalla natrice dal collare (Natrix helvetica) alla natrice tassellata (Natrix tassellata), alla natrice viperina (Natrix maura) che a dispetto del nome non è per niente pericolosa o mordace ma anzi, come tutte le bisce d’aqua ha un temperamento schivo e mansueto.


Tra le varie specie più mitiche possiamo imbatterci nella luscengola (Chalcides chalcides) e nell’orbettino (Anguis veronensis), due bizzarre lucertole senza più zampe e dall’aspetto serpentiforme, che amano strisciare tra l’erba alla ricerca di qualche lombrico di cui cibarsi.
Tra le pieghe boscose di questi monti troviamo no di rado suggestivi ruscelli che di quando in quando si allargano a formare piccoli laghetti, come nel caso del Lago dei Gulli, originato dalla confluenza dei torrenti Erro e Ciua, nei pressi di un’imponente rocca serpentinitica.


E’ proprio in questi ambienti acquatici che possiamo trovare le sopracitate bisce acquatiche, qualche ranocchia o qualche leggiadra libellula dagli elettrici e vivaci colori, che aggiungono un tocco di vita in più al paesaggio che ammiriamo mentre stiamo percorrendo questi territori.
Ricordo che tempo fa portai un mio amico a far foto da queste parti e lui, affascinato dalla ricchezza di vita del luogo, e da un idilliaco panorama fatto di invitanti torrenti e severe rocce popolate da diverse specie di alberi, mi disse: “Ma cos’è? Siamo per caso finiti in Wyoming?”.


Per caso l’analogia con lo stato del Parco di Yellowstone può risultare ardita? Non lo so, comunque fatto sta che se a vedere questo, ti viene in mente quell’altro, direi che una garanzia di qualità ce l’abbiamo.
Tra le ampie aree boscate si riscontrano evidenti tracce della storica presenza dell’uomo come ad esempio muretti a secco, antiche casette fatiscenti o manifestazioni più nobili come il Castello Bellavista con il suo bellissimo giardino, solennemente imbiancato ad inizio primavera da fioriture di biancospino.


Esistono però altre manifestazioni dello storico impatto antropico su questa zona che si mostrano in modo evidente e malcelato. La vegetazione attualmente presente su questa zona, deve la sua composizione a specie arboree miste (principalmente roveri, faggi, ornielli, aceri, pini marittimi, pini silvestri e castagni), all’azione dell’uomo che nei secoli passati, ha fatto uso del bosco per i suoi scopi andandone periodicamente a modificare la composizione in forme e popolamenti a seconda delle sue esigenze.
Si è passati così ad avere castagneti da frutto nei primi secoli successivi al medioevo per soddisfare le esigenze alimentari della popolazione appenninica, a fustaie per la produzione di legna a scopo industriale o verso boschi cedui per la produzione di legna da ardere o legna ad uso artigianale, mentre altre zone hanno subito un radicale cambiamento dovuto all’insediarsi di zone a pascolo.
Tali trasformazioni hanno provocato il mescolamento della flora autoctona e naturale della regione con specie alloctone che non sempre hanno apportato dei benefici ma che continuano a vivere spontaneamente in queste zone.
Non solo animali piccoli e viscidi popolano questi monti ma anche animali grossi e pelosi come i caprioli (Capreolus capreolus) che possiamo vedere scorrazzare tra gli alberi per poi fermarsi e fissarci, i cinghiali (Sus scrofa), daini (Dama dama) e i mitici lupi (Canis lupus) che da qualche anno a questa parte hanno ricolonizzato il nord Italia, che come tutta la penisola, sta andando incontro ad una progressiva rinaturalizzazione delle campagne e delle aree non urbane.
Le Foresta della Deiva, oltre che trovarsi su un corridoio migratorio di alcune specie di volatili migratori quali le gru (Grus grus) e i nibbi (Milvus migrans), è anche destinazione estiva per le mitiche aquile dei serpenti, i bianconi (Circaetus gallicus) e se vogliamo cimentarci nel birdwatching, potremo osservare numerose specie di varie famiglie di uccelli.
Quando valichiamo questi confini per andare dalle paludi padane al mare in estate e dal finestrino della macchina o del treno buttiamo uno sguardo ai rilievi che fanno da sfondo alle nostre migrazioni stagionali e pensiamo a tutta la storia che hanno visto questi monti e alle tracce di essa che ancora ne colorano le cime. Non basterebbe una vita per imparare tutte le storie recenti o remote di cui sono custodi.
La rete di sentieri che attraversano questi monti ci permette di godere appieno delle peculiarità naturalistiche locali, dal clima, alla flora alla fauna, attraverso lunghe o brevi passeggiate in cerca di panorami, appostamenti per osservare gli animali di passaggio come ad esempio le numerose specie di uccelli che qui trovano la loro casa. Possiamo goderci la foresta in estate al calore dei raggi del sole ma … dalla fresca brezza delle alture appenniniche oppure cimentarci in epiche avventure invernali quando il paesaggio indossa un candido vestito nevoso.




Il Parco del Beigua, sede della magica e ostinata Foresta della Deiva, a causa della sua peculiare composizione rocciosa, è da anni minacciato dalla possibilità che all’interno di esso venga aperta un’enorme cava di titanio visto che da rilievi geologici effettuati in passato, risulta che l’area sia uno dei più grandi giacimenti d’Europa di questo minerale. L’apertura di questa cava, comporterebbe la deforestazione del Parco per decine di chilometri quadrati, un notevole incremento del traffico di mezzi pesanti su strada, di mezzi di movimento terra con un conseguente aumento dell’inquinamento atmosferico, sonoro e luminoso.
Tutto ciò porterebbe ad inevitabili alterazioni nelle dinamiche che da secoli trainano il funzionamento degli ecosistemi della Foresta della Deiva; la perdita di specie animali e vegetali sarebbe inevitabile e con essa, tutto ciò che da questa ricchezza deriva. Durante i miei anni universitari a Genova, furono molte le occasioni in cui i professori ci portarono a fare lezioni pratiche su campo proprio nel territorio di questo Parco, che ha visto nascere moltissimi naturalisti e biologi liguri e piemontesi.
Ma come la storia ci insegna, i popoli in difesa del proprio territorio possono vincere le loro battaglie contro la corruzione delle istituzioni che perseguono l’interesse di riempire proprie tasche a scapito del benessere dell’ambiente e della ricchezza che ci fornisce la natura. Supportiamo il parco, i suoi rifugi, le sue bellezze naturalistiche e non dimentichiamoci che se noi esistiamo è perché al mondo esistono luoghi come questo.
Namastè!
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Ciao a tutti, mi chiamo Matteo, e la natura è sempre stata una parte fondamentale della mia vita. Questa passione mi ha accompagnato durante la mia crescita, finché non è sfociata in determinazione nel volerla trasformare in una professione. Ho frequentato così un percorso universitario a tema ambientale naturalistico che mi ha dato modo di ampliare ed approfondire nel modo migliore le mie conoscenze in materia e, successivamente, spinto dal voler trasmettere le sensazioni che la natura può regalare, sono diventato guida escursionistica. Inoltre, faccio parte dell’associazione Docet Natura e collaboro con ASD La Ventura. Provo un’immensa soddisfazione nel vedere i sorrisi e gli sguardi pieni di meraviglia nelle persone che scoprono la maestosità di piccoli fenomeni naturali, a loro poco prima sconosciuti!