La Riviera di Ulisse e l’area archeologica di Minturnae (LT)

Cari lettori di Posti e Pasti, in questo nuovo articolo vorrei accompagnarvi alla scoperta dell’area archeologica di Minturnae… Sono certa che vi sorprenderà!

Le imponenti arcate di un acquedotto romano ci si parano davanti all’improvviso, percorrendo la Via Appia verso sud. La strada taglia il percorso rettilineo ed imponente di questa ennesima meraviglia del mondo romano che riforniva di acqua sorgiva l’antica Minturnae e dintorni.

Costruito in opus caementicium e arricchita da una decorazione in opus reticulatum, l’acquedotto percorreva ben 12 chilometri, dai piedi del Monte Petrella nei Monti Aurunci fino all’antica Minturnae e ancora oggi, sebbene in parte distrutto, mostra la sua imponenza stagliandosi nella pianura che porta al mare.


Siamo nell’estremo lembo della costa sud dell’odierna Regione Lazio a pochi chilometri dal confine con la Campania, segnato dallo scorrere lento del fiume Garigliano prima che le sue acque si confondano con il sale del Mar Tirreno.

Proprio qui, in posizione strategica tra la riva del fiume e la costa, prese forma l’antica città romana attraversata dalla Via Appia: l’area archeologica di Minturnae.

La sua importanza viene confermata proprio dall’esistenza dell’imponente acquedotto, costruito forse inizialmente in età Augustea e terminato sotto l’impero di Vespasiano nella seconda metà del I secolo dC.
Accanto scorre il Garigliano, difesa naturale ma anche fonte di commercio e scambi, testimone di tante battaglie perse o vinte e acqua di confine attraversata nei secoli da innumerevoli ponti.
Delle antiche vestigia, rimane solo il famoso ponte Borbonico: primo ponte sospeso a catenaria di ferro realizzato in Italia e costruito su progetto dell’ingegner Luigi Giura tra il 1828 e il 1832.
Il 14 ottobre 1943 la campata fu minata in due punti e fatta esplodere dall’esercito tedesco attestato lungo la linea Gustav e in ritirata verso Roma dopo l’armistizio. I restauri sono terminati nel 1998 e il ponte inaugurato solo nel 2001.

Ponte Real Ferdinando – Foto da napoli-turistica.com

Appena varcato il cancello dell’area archeologica di Minturnae veniamo portati secoli addietro e la storia ci si offre, come pagine di un libro da sfogliare, dal primo insediamento documentato fino alla sconfitta e l’abbandono della città sotto la spinta delle incursioni barbariche.

Ci accoglie una fila di antichi dolia, enormi contenitori di terracotta utilizzati per contenere liquidi come vino e olio o anche grano e legumi, presenti nei granai o nei magazzini dei palazzi o delle case private dove venivano interrati per garantire una migliore conservazione.

Accanto, i resti di una torre angolare in opera poligonale: enormi blocchi calcarei poggiati l’uno sull’altro a secco che rappresentano la prima testimonianza dell’esistenza del castrum, il nucleo della grande Minturnae che, attraversata in pieno dal percorso della Via Appia, doveva raggiungere nei secoli l’importanza e la vivacità testimoniata dalla presenza del grande acquedotto e dai resti dei suoi monumenti.


Percorriamo il cardo che incrocia il decumano massimo rappresentato dalla Regina Viarum che attraversava tutto il nucleo urbano e oltrepassava il Garigliano tramite un ponte ricordato da Cicerone in una delle tante lettere indirizzate al suo amico Attico.

Calpestiamo gli antichi basoli, circondati dalle testimonianze di un passato ancora perfettamente leggibili: i resti di templi ci raccontano la grandiosità, i chiavicotti fognari ispezionabili e le latrine narrano la quotidianità di una città.

Sui muri delle latrine sono ancora visibili graffiti che tanto ci ricordano quelli che ancora oggi possiamo trovare nei nostri bagni pubblici: scritte che ne lodano la comodità e di come sia stato lieto il defecare in quel luogo o anche scritte che menzionano in maniera più o meno educata le madri o le spose di qualche conoscente, dove manca solo un numero di cellulare tanto per ricordare che alfine poco è cambiato da 2000 anni ad oggi.

Per quanto riguarda la necessità di lodare il luogo che tanto sollievo aveva portato al corpo, dobbiamo pensare alla dieta dei romani costituita essenzialmente da legumi, spezie molto forti e proteine che non aiutavano sicuramente quell’atto quotidiano a cui siamo abituati oggi per iniziare felicemente la giornata.
Se quindi, dopo due o tre giorni di costipazione si trovava un bagno che donava il sollievo tanto agognato, si rendeva necessario lodare quel luogo a imperitura memoria.

Le scritte, poco visibili al profano, sono state oggetto di studio accurato da parte degli archeologi che hanno effettuato gli scavi nel sito e ci hanno donato questa chicca di vita quotidiana.
Ma torniamo alla Via Appia, per cercare di immaginare la grandiosità del luogo attraverso i resti dei templi e del teatro che la fiancheggiavano.

La Via Appia


A rapire la vista è ovviamente ciò che resta del teatro, costruito all’inizio del I secolo d.C. e modificato nel corso del II secolo d.C., una modifica sostanziale di ampliamento che inglobò probabilmente la parte posteriore del portico del Foro Repubblicano.

L’impostazione del teatro è quella consueta con una distinzione dello spazio in tre parti, la scaena, l’orchestra e la cavea. Quest’ultima ha gradini realizzati per mezzo di muri radiali che formano gli ambulacri, utilizzati anche come spazi di servizio e aveva una capienza totale di circa 4600 posti a sedere.

In seguito ai restauri degli anni ’40, parte delle gradinate fu ricostruita e vennero ripristinati anche gli ambulacri sottostanti per l’allestimento di un Antiquarium.

Provate a sostare in un punto particolare della scaena e intonate una canzone o un monologo e rimarrete colpiti dalla potenza dell’acustica.


I nostri passi calpestano i basoli della Via Appia e ci lasciano immaginare la vita pulsante della città: i resti del Tempio della Concordia e il Capitolium, l’arco d’accesso al foro che ci immette nel macellum, le botteghe dove ancora è possibile vedere le guide per l’apertura e la chiusura delle prime porte scorrevoli di legno che potevano essere lasciate più o meno aperte a seconda del tempo o completamente tolte e posizionate accanto al muro durante l’apertura giornaliera.

Alla chiusura, il proprietario non faceva altro che svoltare l’angolo, salire qualche gradino per rientrare nella sua abitazione che era posizionata al piano di sopra per poter così controllare eventuali tentativi di effrazione. Una vita tutta casa e bottega!


Attraversata l’area del Macellum, ci troviamo nelle Terme che vennero realizzate in piena età imperiale, intorno al II sec. d.C.

Nella parte occidentale si trovano una serie di piccoli ambienti intercomunicanti, in alcuni dei quali si conservano ancora resti dei pavimenti a mosaico bianco e nero mentre uno ci offre una scena di puttini vendemmianti, nell’atto di pigiare l’uva.

Pavimento con scena della vendemmia


Sul lato orientale dell’area archeologica di Minturnae vi sono i resti del vero e proprio impianto termale con la sequenza del frigidarium, del tepidarium e del calidarium.

Ancora visibili i pilastrini in mattoni (pilae) sul quale poggiava il pavimento (suspensura) che veniva riscaldato grazie alla circolazione di aria calda nell’intercapedine e anche all’interno delle pareti, per quasi tutta la loro estensione, grazie a tubi in laterizio (tubuli).

Nell’angolo sud-orientale dell’intero impianto sono due strutture in laterizio, conservate per una certa altezza, che costituiscono i resti dei pilastri che sorreggevano le grandi volte di copertura del complesso termale.

Calidarium


Le ultime scoperte archeologiche raccontano di un estremo tentativo di difesa della città contro le invasioni barbariche che posero termine al grande Impero Romano.
Il ritrovamento di cumuli di macerie lungo la Via Appia, danno vita ad un’ipotesi interessante e suggestiva: un ultimo disperato tentativo per sbarrare il passo agli invasori ostruendo la Via Appia verso il Ponte del Garigliano, utilizzando le colonne e le pietre dei meravigliosi templi ed edifici costruiti lungo la via come barricate.

L’area archeologica di Minturnae è stata teatro di una distruzione ancor più recente: l’ennesima ferita arriva durante la seconda guerra mondiale quando Minturno si trova in prima linea sotto il fuoco incrociato dei tedeschi, che qui avevano costruito la loro linea difensiva sud, e degli alleati che faticosamente avanzavano dagli sbarchi di Sicilia e Salerno nel tentativo di arrivare a Roma.

Minturno conosce la guerra appena dopo l’Armistizio, i tedeschi fanno saltare il Ponte sul Garigliano e danno ordine di evacuazione in tutti i centri vicini, lungo la costa e fino ai Monti Aurunci.
La guerra scelse questi luoghi per gli ultimi sanguinosi scontri del maggio 1944 quando finalmente le truppe alleate aprirono il passaggio verso Roma e Cassino.

Ma la Liberazione era ancora lontana e questi luoghi furono triste teatro di violenze e stupri, da parte dei reparti speciali francesi CEF che passarono alla storia sotto il nome di Marocchinate, raccontate più tardi dal grande Vittorio De Sica nel film La Ciociara.

A ricordare ancora gli eventi che cambiarono il mondo, è il Cimitero Inglese che si incontra lungo la Via Appia, prima di raggiungere i cancelli del sito archeologico.
Un prato all’inglese curatissimo, delimitato da maestosi pini ci introduce nell’area dove giacciono più di 2000 soldati.

Qui si respira la pace e il silenzio e difficile è immaginare il rombo della battaglia e il dolore e il sangue che ha macchiato questi luoghi: una terra bella e ricca – incorniciata da monti, bagnata da fiume e mare – che tutti hanno voluto possedere.


Scrivendo questo articolo, mi è venuta voglia di rileggere un bellissimo libro che copre un secolo di storia dal primo Novecento.La scrittrice, Melania Mazzucco, è originaria di questi luoghi e il titolo del libro è Vita.

Ve lo consiglio, e vi aspetto per scoprire insieme la meravigliosa riviera di Ulisse e l’area archeologica di Minturnae!


VALERIA SIMEONE
Ciao a tutti! Mi chiamo Valeria e sono guida turistica abilitata e accompagnatore turistico.
Sono nata a Gaeta, un’incantevole cittadina sul mare ricca di storia e baciata da una natura spettacolare ma ho vissuto tanti anni tra l’Umbria, Bologna e nove dei miei anni più belli a Venezia. Sono poi tornata nella mia città e qui ho scoperto il mestiere più bello del mondo: un lavoro che mi ha fatto guardare la mia terra con occhi diversi e mi ha insegnato ad amare questi luoghi profondamente. Gli anni vissuti in giro per l’Italia mi hanno poi reso più facile e appassionante il lavoro di Accompagnatore Turistico che svolgo in tutta Italia per clienti americani e australiani.
Come Guida Turistica invece, lavoro nella Regione Lazio e più esattamente nella Provincia di Latina. Una Provincia giovane che ha riunito due mondi storicamente diversi: il Regno di Napoli e lo Stato della Chiesa: una terra ricca di storia, leggende e non solo. La chiamano La Riviera di Ulisse!
Perché questo nome? Lo scopriremo insieme ed esploreremo i luoghi più belli di questa terra incantata perché si sa… con la guida è TUTTaUN’aLTRaSTORIa!