Storia in cammino
Qui vivono per sempre
Gli occhi che furono chiusi alla luce
Perché tutti li avessero aperti
Per sempre alla luce
Giuseppe Ungaretti – “Per i morti della Resistenza”
Avete mai sentito parlare dei Sentieri della Resistenza? In questo articolo scopriremo come sono nati, e quali sono i più belli da percorrere.
La guerra di Liberazione ha innegabilmente giocato un ruolo chiave nella storia d’Italia. Dopo vent’anni di regime, la Resistenza ha segnato l’esplicita rottura del consenso dato dal Paese al fascismo. Di più, l’esperienza partigiana ha ridato vita ai valori negati dalla dittatura, come la libertà, la democrazia e la giustizia sociale, poi elevati a Principi fondamentali nella Costituzione.
A quasi 80 anni dalla fine del conflitto, la scomparsa dei protagonisti rischia tuttavia di far sbiadire la memoria di quella straordinaria stagione morale e politica. Occorre allora rinvigorire quella memoria ancorandola ai luoghi in cui i partigiani hanno rischiato, e spesso perduto, la vita e ai tanti segni materiali che testimoniano la riconoscenza delle comunità locali.
In questa prospettiva, la progettazione e creazione di percorsi escursionistici incentrati sulla Resistenza diventa un potente strumento con cui promuovere la consapevolezza storica e civile, la conoscenza profonda del territorio e il rispetto dell’ambiente. Non va inoltre dimenticato quanto tali itinerari possano offrire una modesta ma qualificata opportunità di crescita alle aree montane rimaste ai margini dello sviluppo turistico.
L’Appennino Ligure-Piemontese è stato teatro di molti celebri episodi della Resistenza. Nel cuore dell’entroterra genovese, ai giorni della morte seguirono orgogliosi i giorni del riscatto, quando la popolazione martoriata si riconobbe in una nuova luce di speranza e giustizia.
Oggi vi è la possibilità di rivivere a piedi alcune di quelle storie, i cui protagonisti non erano eroi bensì gente comune, animata dall’indomito desiderio di riconquistare la libertà, percorrendo i Sentieri della Resistenza.
Il sentiero della Resistenza dei partigiani di Piancastagna

A Piancastagna (728 m), piccola frazione di Ponzone (AL), si trova il sacrario dedicato ai partigiani e ai civili uccisi dai nazisti durante il rastrellamento del 7-10 ottobre 1944. A poche decine di metri dal sacrario parte un giro ad anello di circa tre ore che tocca alcuni dei luoghi più significativi nella storia della Resistenza locale, ripercorrendo i tragici fatti dei giorni del rastrellamento e le eroiche gesta delle donne e degli uomini militanti nelle formazioni partigiane della Divisione Giustizia e Libertà “Ligure – Alessandrina”.

Tutto ebbe inizio il 7 ottobre, quando alle 5 del mattino partirono da Ovada otto camion e due autoblinde dell’esercito tedesco, con l’ordine di debellare la resistenza e riprendere a qualsiasi costo il possesso di una zona a tutti gli effetti strategica per il ripristino delle comunicazioni tra i comandi del savonese e dell’acquese (Acqui Terme).
I partigiani furono colti di sorpresa e l’avanzata tedesca non trovò particolari difficoltà a penetrare le improvvisate difese, terminando l’operazione con il macabro bottino di quattro contadini assassinati, sei partigiani giustiziati, oltre quaranta case date alle fiamme e venti civili presi in ostaggio e portati a Ovada.

La sconfitta mise in luce le gravi deficienze del movimento partigiano, tra le cui fila militavano molti disertori dell’esercito della RSI (Repubblica Sociale Italiana) privi di un adeguato addestramento e costretti a combattere con un armamento decisamente approssimativo. A pesare come un macigno era anche la mancanza di una precisa organizzazione interna alla Divisione, confermata in modo lampante dagli esiti della riunione che si tenne il giorno 8 ottobre tra i vertici delle brigate. Incapaci di prendere una decisione unanime, i comandanti si rifugiarono nella scelta di lasciare liberi i vari reparti di comportarsi secondo le proprie valutazioni.
Il risultato non fu certo dei più auspicabili: una brigata finì per sciogliersi e le restanti due ne uscirono particolarmente indebolite a causa dell’abbandono di numerosi effettivi.
Al contrario il fronte tedesco, già galvanizzato dal successo dell’operazione, ricevette ulteriori rinforzi dalla Brigata Nera e dalla San Marco. Consapevoli della disparità delle forze in campo, i gerarchi nazifascisti decisero di sferrare un secondo immediato attacco lungo due direttrici: Molare – Olbicella e Acqui Terme – Piancastagna.
Le formazioni partigiane si attendevano l’arrivo dei nemici ma, per una decisione incomprensibile del Comandante Vito Doria “Carlo”, si attestarono attorno a Olbicella, sede del comando, con l’intenzione di sostenere una difesa statica, una strategia in netto contrasto con la tattica della guerriglia fino a quel momento adottata. Il piano del Comandante “Carlo” si fondava essenzialmente sul successo di un piccolo nucleo di uomini, appostato in Località Binelle e dotato di mitragliatrice Breda 37, nel decimare truppe nemiche teoricamente già falcidiate dagli ordigni del campo minato piazzato lungo la strada diretta in città.
La storia fu purtroppo ben altra: avvistati i tedeschi vennero prontamente accese le micce delle mine ma queste non esplosero perché “Gabriele”, capitano del Genio ed incaricato di predisporre l’esplosivo, si rivelò in realtà un infiltrato fascista tra le fila partigiane. Le truppe tedesche arrivarono indisturbate al passo delle Binelle, dove il drappello oppose una strenua resistenza ma, una volta danneggiata la mitragliatrice, fu inevitabilmente costretto a cedere.
La città di Olbicella venne letteralmente messa a ferro e fuoco. Molti partigiani caddero in combattimento, altri fuggirono e sei vennero catturati e impiccati agli alberi della piazza, alla presenza della popolazione, come “nemici dell’Italia e della Germania”. Non ancora paghi, gli uomini della Brigata Nera si divertirono a dilaniare i corpi penzolanti con le baionette e diedero fuoco a molte cascine ubicate nei dintorni del paese.
La difesa di Piancastagna era stata invece affidata a un reparto di sessanta uomini guidato dall’ex sottotenente degli alpini Domenico Lanza, vice-comandante della Divisione e ormai noto con l’appellativo di battaglia “Mingo”, anzi “Capitano Mingo”. Il suo carisma infatti fu subito evidente ai compagni con cui diede vita al “Gruppo Celere Autonomo Mingo”, formazione che risultò più volte indigesta alle truppe tedesche schierate nell’area molarese ed ovadese.
Consapevole del grande divario tra le forze in campo, il “Capitano Mingo” si oppose fermamente ad una strategia militare volta allo scontro frontale, ribadendo tale posizione anche in occasione della predetta riunione tenutasi la sera dell’8 ottobre tra i comandanti dei vari distaccamenti. Ormai sicuro dell’imminente azione d’attacco dei tedeschi, la sera del 9 ottobre 1944 il “Capitano Mingo” si precipitò dai suoi compagni di stanza a Piancastagna.
Alle ore 6:30 del mattino del 10 ottobre le due colonne nazifasciste provenienti da Acqui e dal Sassello furono fermate dalle quattro mitragliatrici disposte dagli uomini di “Mingo” sulla cresta che domina la strada tra Abasse e Piancastagna. I partigiani resistettero sino a mezzogiorno poi, esaurite le munizioni, si sganciarono mentre “Mingo” rimase a coprire la ritirata. Fu in quel momento che l’uomo trasfigurò in mito: il “Capitano Mingo” si scagliò frontalmente contro la colonna investendola a suon di bombe a mano e venne colpito al torace da una mitragliatrice nemica. Prima di cadere riuscì però a distruggere un’autoblindo che bloccò il passaggio della colonna e permise ai partigiani di difendere la posizione e costringere i tedeschi a ripiegare dopo molte ore di conflitto.
Il mito venne ulteriormente alimentato dalle testimonianze di alcuni sopravvissuti che riportarono come a scontro ancora in corso un militare tedesco si avventò sul “Capitano Mingo” con l’intento di finirlo. A fermarlo fu incredibilmente il comandante tedesco, colpito a tal punto dal grande eroismo del partigiano da ordinare che fosse trattato con gli onori dovuti ad un soldato di guerra. Il corpo esamine del “Capitano Mingo” fu portato nella chiesetta di Piancastagna dove spirò verso mezzogiorno.

Descrizione tecnica dell’itinerario
Punto partenza/arrivo: Sacrario di Piancastagna
Sviluppo: 7 Km
Dislivello: 200 m complessivi in salita e in discesa
Difficoltà: E (Escursionisti)
Ore di marcia: 3 h
Periodi consigliati: primavera e autunno
Riferimento cartografico: carta EDM – FIE n°E-8 – Masone, Campoligure, Rossiglione, Tiglieto e Urbe

Tra i vari Sentieri della Resistenza, ho pensato di raccontarvi quello che parte dal borgo di Piancastagna (728 m). Da qui, si segue la provinciale per Ponzone per circa 150 metri, fino al bivio tra la strada per Olbicella e il viale di ingresso al Mausoleo del Partigiano Mingo. All’interno del Sacrario sono state poste quattro tavole dedicate agli aspetti fondamentali della Resistenza.


Proprio accanto al Sacrario, sulla destra, prende sviluppo una sterrata in salita che prende il nome di Sentiero dei Partigiani – Brigata Emilio Vecchia. Imboccata la strada, si affronta un primo tratto all’ombra degli alberi che consente di guadagnare velocemente quota, sbucando infine sul panoramico crinale sud-ovest del Bric dei Gorrei. Il belvedere offre ampie vedute verso ponente, scorrendo con lo sguardo dalle colline delle Langhe alle cime delle Alpi Occidentali.

Un ultimo breve strappo e si giunge di fronte ad un bivio, dove si svolta a destra sempre seguendo le indicazioni del Sentiero dei Partigiani. Si prosegue godendo di bei scorci sull’abitato di Piancastagna e trascurando una serie di sentieri che si staccano in discesa verso Cascina Tiole.
Superato un bosco di pini neri, l’itinerario incontra l’ennesima biforcazione, dove si piega a sinistra sul sentiero 531 per Tiglieto e per il punto panoramico “Il Poggio”. Una serie di veloci saliscendi precede l’ulteriore divisione della traccia: a destra il sentiero 531 inizia a scendere verso il paesino di Tiglieto, mentre a sinistra si affacciano i segnavia del percorso 561 diretto al Monte Poggio. Scelta quest’ultima opzione, si ritorna a guadagnare quota fino all’anonima sommità erbosa del Monte Fonegrone (800 m).
Trascurata la diramazione per Bandita, segnalata come percorso tecnico per soli escursionisti esperti (difficoltà EE), si prosegue fin sotto la cima del Poggio, facilmente conquistabile in pochi minuti seguendo una traccia che si districa tra arbusti e rocce. La deviazione è tanto breve quanto appagante: sulla vetta del Poggio (816 m) si apre uno spiazzo tra gli alberi, al cui centro poggia una panchina affacciata sulle dolci forme del Monferrato e sulle asperità del Beigua, le cui rocce serpentinitiche regalano suggestive sfumature rossastre e color turchese.
A questo punto bisogna necessariamente ritornare sui propri passi fino a ritrovare il sentiero 533 per Piancastagna e Cascina Tiole, distante solo qualche centinaio di metri di discesa. La Cascina è un vero e proprio rifugio forestale, dotato di una comoda area attrezzata con panche e tavoli e impreziosito da un apiario per la produzione del miele.

Proprio dalla Cascina parte un Sentiero Natura, da seguire in direzione sud per completare l’anello escursionistico. Il cammino viene cadenzato dalla successione dei pannelli che raccontano le maggiori emergenze naturalistiche della zona e consente di perdere rapidamente quota, immersi in un contesto vegetazionale in continuo mutamento. Si giunge così a intercettare nuovamente una pista sterrata, dove si svolta a destra come chiaramente indicato sia dalla segnaletica del Sentiero Natura sia dalle indicazioni relative al Sentiero dei Partigiani.
La strada conduce a una seconda area attrezzata, eventualmente anche raggiungibile percorrendo la rotabile proveniente da Piancastagna.
Il percorso originario del Sentiero dei Partigiani prevedeva per l’appunto di seguire l’asfalto, ma fortunatamente la creazione del Sentiero Natura ha offerto un’alternativa molto più gradevole, poco sotto la strada ma interamente nel bosco.
Non resta che percorrere questo tratto per terminare l’anello rientrando al Sacrario di Piancastagna!
Vi aspetto per percorrere insieme i i Sentieri della Resistenza!
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LUCA CAVIGLIA
Sono Luca Caviglia, Accompagnatore di Media Montagna iscritto al Collegio delle Guide Alpine della Liguria e membro del gruppo di Accompagnatori e Guide Alpine “Hike&Climb Liguria”.
Nato a Genova nel 1991, mi sono prima laureato in “Scienze Naturali” presso l’Università degli Studi di Genova e successivamente ho conseguito il titolo Magistrale in “Evoluzione del comportamento animale e dell’uomo” presso l’Università degli Studi di Torino, con specializzazione in ricerca e gestione di carnivori e ungulati. In seguito a concorso pubblico, dal gennaio 2023 sono anche Guardiaparco dell’Ente Aree Protette Alpi Marittime in Piemonte. Amo la montagna in tutti i suoi molteplici aspetti e ogni mia escursione vuole essere una tavolozza piena di colori, con cui dipingere insieme ai partecipanti le meraviglie del nostro territorio.