Non solo Ancona – Spiritualità e segreti nelle Abbazie di Sant’Elena e Sant’Urbano

Allietare lo spirito nei momenti un po’ più bui è ciò che voglio proporvi oggi con il racconto di due abbazie tra le più importanti del territorio marchigiano: quella di Sant’Elena e quella di Sant’Urbano.

La prima, sotto il comune di Serra San Quirico, sorge alle sponde del fiume Esino e secondo la tradizione venne fondata da San Romualdo, il fondatore dell’ordine Camaldolese, all’inizio dell’anno 1000, durante il suo peregrinare in Vallesina, prima di partire a portare la parola di Dio, in Ungheria.

L’Abbazia ebbe immediatamente un forte sviluppo, tanto che nel XII sec, possedeva una cinquantina di chiese e una decina tra castelli e ville (borghi non protetti da mura), tra il territorio di Camerino, Jesi, Osimo e Senigallia, grazie alle donazioni dei feudatari locali che così si assicuravano il paradiso.

Prima del 1180 tuttavia, nonostante il forte sviluppo spirituale ma anche sociale dell’Abbazia, non ci sono documenti diretti su di essa, viene dunque nominata per la prima volta in tale anno, in un documento relativo alla sua congregazione all’ordine Camaldolese.

Alla fine del XII sec., passa sotto la diretta protezione papale, continuando a mantenere ottimi rapporti, con il Comune di Jesi e con la vicina Serra San Quirico.

In questo periodo la sua importanza civile era tale, che l’abate aveva il diritto di esercitare la giurisdizione civile e penale, aveva un proprio tribunale con diritto di vita e di morte, con notari e avvocati propri.

A metà ‘300 l’Abbazia era elencata al quarto posto tra i maggiori monasteri camaldolesi in base ai suoi beni, ma, ahimè, era anche documentata la sua decadenza spirituale e morale.

Arriviamo al sec. successivo che segna l’inizio della sua decadenza.

Si spopolò via via di monaci fino a che ne rimase solo uno: l’abate e per tale motivo, a fine secolo, venne nominato il primo abate commendatario con il conseguente definitivo e irrefrenabile declino.

A metà ‘800 l’Abbazia venne data in enfiteusi, con tutti i suoi beni, ad una famiglia privata,  che nei primi decenni del secolo scorso ne riscattò la proprietà.

Dal lato architettonico la Chiesa, le cui forme attuali sono quelle della fine del XII sec. , è in stile romanico/gotico, costruita in blocchi di pietra locale e vi si accede da una porta fortificata, tanto che assume l’aspetto di una chiesa fortezza.

Entrati nel cortile/chiostro eccoci di fronte alla imponente facciata sormontata da un campanile a vela e da una finestra, successivi alla costruzione della chiesa, con il portale decorato con motivi vegetali con foglie, fiori e grappoli: la vite rappresenta proprio Cristo in terra.

Il portale particolare dell’Abbazia di Sant’Elena

 Sull’architrave sono rappresentati 2 felini che difendono la croce che si trova al centro, o 2 draghi che scappano alla vista della croce, o ancora 2 cani nell’atto di mordersi la coda.

In questo ultimo caso ricordo che in mitologia il cane, era un animale che simbolicamente guidava lo spirito del defunto nell’aldilà, nel caso specifico poi i 2 cani si mordono la coda e formano il n° 8, numero simbolo dell’infinito.

I capitelli delle semicolonne laterali sono decorati con figure di aquile e quadrifogli le cui foglie si ripiegano internamente in 4 gigli: il quadrifoglio, secondo antiche credenze popolari rappresentava la buona sorte, inoltre la prima foglia identifica la speranza, la seconda la fede, la terza l’amore, la quarta la fortuna; il giglio rappresenta la purezza, la verginità.

A questo punto, entriamo all’interno e si ha l’impressione di trovarsi in una cattedrale per la vastità delle sue misure: 30 mt la lunghezza, 17mt la larghezza, 15 mt l’altezza!

L’interno dell’Abbazia di Sant’Elena

E’ divisa in 3 navate da pilastri che sorreggono gli archi ogivali nella navate centrale mentre si accede a quelle laterali attraverso archi a pieno centro.

Ancora una volta meritano attenzione i capitelli decorati nelle semicolonne addossate agli imponenti pilastri: alcuni in stile corinzio decorati con volute, altri con San Michele Arcangelo, che con la spada sconfigge il drago, altri con sirene bicaudate (simbolo in epoca pagana della fertilità poi del peccato), altri ancora con animali fantastici e maschere mostruose, tutti in ogni caso di notevole interesse storico/artistico.

Il presbiterio, notevolmente rialzato, si erge sopra la cripta, ricostruita dopo un crollo, negli anni 50, divisa in 7 navatelle, sorrette da colonnine con semplici capitelli.

Il presbiterio dell’Abbazia di Sant’Elena

A sinistra dell’altare, incastonata alla parete, una pietra, ritrovata durante dei lavori di restauro, in cui si ricorda che la chiesa veniva riconsacrata, dopo ampi lavori di recupero e ingrandimento, nel 1212.

La pietra della consacrazione dell’Abbazia di sant’Elena

Prima di lasciare la stupenda Abbazia, oggi utilizzata per matrimoni con i banchetti nelle sale che una volta facevano parte del monastero camaldolese, 2 parole sulla titolare della chiesa: Sant’Elena che con suo figlio, l’imperatore Costantino, si convertì al cristianesimo, concedendo ai cristiani la libertà di culto.

Dopo aver abbandonato Roma cominciò a peregrinare in Terra Santa, e dove passava faceva costruire una basilica. Giunta a Gerusalemme, grazie a San Ciriaco, rintracciò e diseppellì la vera croce di Cristo… (ma questa è un’altra storia…)

Lasciamo ora Sant’Elena per dirigerci nell’altra importante Abbazia a pochi km di distanza, quella di Sant’Urbano.

L’abbazia di Sant’Urbano

Sorge in campagna, quasi isolata, nella valle di San Clemente, lungo il corso del torrente Esinante, sotto il comune di Apiro.

Se ne ha notizia la prima volta in un documento del 1033, ma probabilmente fondata già gli ultimi decenni prima dell’anno mille, dai benedettini.

Ben presto divenne centro di potere religioso, ma anche politico e civile: aveva giurisdizione infatti su una quindicina di chiese e su alcuni castelli nei dintorni.

Per la sua importanza, ebbe scontri con il vicino potente Comune di Apiro che intorno al XIII sec fece addirittura dar fuoco alla chiesa.

A questo punto l’Abbazia, per essere protetta, entrò sotto la giurisdizione di Jesi e venne così ampliata e ricostruita la chiesa.

Godette allora per un lungo periodo, della pace per la quale era stata fondata e divenne luogo di passaggio per i pellegrini diretti a Roma.

A causa però di problemi economici a metà ‘400 si unì all’ abbazia di Valdicastro abbracciando la regola Camaldolese.

Con le leggi napoleoniche nel 1810, fu messa in vendita ed acquistata da privati; oggi appartiene al comune di Apiro.

Originalissima e ricca di segreti è la sua architettura.

Cominciamo dall’esterno con le 3 ampie absidi che la caratterizzano: quella centrale è la più larga, con 3 monofore che danno luce alla navata interna, mentre una in basso, dà luce invece alla cripta.

La cripta dell’Abbazia di Sant’Urbano

Nell’alta facciata a capanna, sopraelevata nel XIX sec, si apre il portale, in parte interrato, in pietra bianca con pilastrini e semicolonne con capitelli con fogliame e conchiglie.

Ma è l’interno ad essere davvero originale: una chiesa nella chiesa!

La prima è quella in cui si accede dal portale, per i fedeli laici, che potevano assistere solo da lontano al rito religioso; alla sommità di alcuni ripidi gradini, separata da un muro, (l’iconostasi) dall’aula dei fedeli, c’è invece quella  per i monaci, che pregavano e meditavano senza essere disturbati.

La chiesa dei fedeli e il muro dell’iconostasi dell’Abbazia di Sant’Urbano

L’architettura, la divisione in 3 navate, la troviamo sia nella parte per i laici, sia nella parte del presbiterio, per i monaci, e le 2 parti erano comunque in comunicazione con 2 aperture ad arco nel muro dell’iconostasi.

Il presbiterio dell’Abbazia di Sant’Urbano (Chiesa riservata ai monaci)
L’arco che immette nella parte della chiesa riservata ai monaci dell’Abbazia di Sant’Urbano

Sotto il presbiterio si trova la cripta, oggi solo con 3 navate (ve ne erano cinque poi vennero costruiti 2 muri con funzione di rinforzo) caratterizzata da pilastrini, colonnine che sostengono gli archi a tutto sesto e dall’altare datato 1140.

Da ricordare i capitelli che decorano le colonne di sostegno  in entrambe le parti della chiesa (quella per i fedeli e quella per monaci) decorati con scene di caccia, animali immaginari, delfini, pesci, galli, fiori e fogliame, forse alcuni, recuperati da resti di palazzi romani  pagani.

L’abside dell’abbazia di S.Urbano Abside – foto di Mauro Gozzi

Ma l’elemento architettonico più interessante della chiesa è la pietra circolare nel pilastro della navata laterale sinistra della prima parte della chiesa (quella per i fedeli): ebbene il 25 maggio (quando si festeggia Sant’Urbano) e il 19 luglio, un raggio luminoso alle 7,40 del mattino, entra da un occhio sopra l’abside attraversando l’oscurità della chiesa colpendo tale cerchio, illuminandolo!  Lo stesso fenomeno succede nella cripta, con il raggio che entra dalla monofora dietro l’altare e illumina un cerchio scolpito in una delle colonnine!

Ecco che con tale raggio luminoso, in quelle 2 date, i fedeli venivano/vengono illuminati dalla luce di Dio!

Inoltre, in quei 2 giorni, se i fedeli poggiavano il capo sul cerchio che si era illuminato, guarivano ed erano protetti contro il mal di testa.

Il monaco che progettò la chiesa di sicuro aveva un’ampia conoscenza, oltre che di architettura, anche di astronomia.

Ebbene, il nostro giro per allietare lo spirito sta per terminare, ma prima devo ricordarvi che se passate da queste parti, visto che l’Abbazia è oggi agriturismo con ristorante e camere, se amate il brivido, chiedete di dormire nella stanza n° 6: oltre ad avere una feritoia che si apre direttamente sulla chiesa, durante la notte strane presenze vi faranno compagnia…

La feritoia della camera n° 6 che dà sulla chiesa nell’abbazia di Sant’Urbano

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Ciao, mi chiamo Cristina, lavoro nel turismo da 30 anni e dopo aver viaggiato qua e là per il mondo, per lavoro, sono tornata nelle Marche, nel mio paese, in collina, decisa a restare e far conoscere agli altri le meraviglie di questa discreta terra. 
“L’Italia in una regione”. così la definiva Guido Piovene nel suo libro “Viaggio in Italia” e non si sbagliava, infatti in pochi km di territorio troviamo di tutto: dalla costa con il suo mare e le sue spiagge di sabbia o le baie rocciose del Conero, alle affascinanti montagne dell’Appennino Umbro-Marchigiano, ricche di tradizioni e leggende, alle dolci colline con le “città balcone”, da cui godere di panorami mozzafiato!
Poi ci sono le città, ricche di arte, di storia, le chiese, quelle discrete e affascinanti romaniche, le abbazie nascoste, gli importanti santuari, come quello di Loreto, i parchi archeologici, i parchi naturali protetti, i piccoli incantevoli paesini e i borghi di collina e a completare e deliziare il tutto, l’ottimo cibo tipico di questa terra e i vini bianchi (in primis il Verdicchio) e rossi, prodotti nelle colline, a darci un po’ d’allegria.
Premesso tutto ciò, svolgo con passione il mio lavoro di guida turistica, anche in lingua francese, da 20 anni, da Ancona, a Loreto e Recanati, Jesi, Fabriano, Arcevia, Corinaldo, Numana, Sirolo, e tutto il territorio della provincia di Ancona, compresi i musei o le raccolte d’arte sparse nel territorio un po’ ovunque.
Collaboro anche con i Traghettatori del Conero e in estate potrete approfittare di un’escursione in barca per ammirare dal mare, delle bellezze della riviera del Conero.
Infine, da alcuni anni, sono anche istruttore guida in italiano, alle Grotte di Frasassi, tra i complessi ipogei più belli al mondo.

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